linea Rossa
(nr.15 - aprile-maggio 2000)

 

IL PARTITO E IL DIBATTITO



Questo ottimo articolo del compagno Costa, della segreteria prov. di Milano, è, a nostro avviso, un eccellente esempio di utilizzazione dello strumento della dialettica materialista alla fase storico-politica italiana e i compiti attuali del partito, nella necessità di mantenere una identità comunista e contemporaneamente operare una politica di alleanze (che sono sociali e politiche insieme). Esso infatti coniuga, appunto dialetticamente, la critica del capitale (e i conseguenti processi di americanizzazione senza fordismo anche nella sfera politica), la frantumazione di classe e la strategia e i valori (la direzione della lotta per il socialismo) che debbono supportare l'azione dei comunisti oggi, specie quelli interni al progetto della rifondazione comunista. Identità, princìpi e tattica non sono indifferenti, nel loro intreccio dialettico, al radicamento popolare e di classe del Partito del proletariato. Senza cadere nè nell'autoemarginazione settaria (ci mancherebbe anche questa, vista l'emarginazione costante a cui spinge la classe dominante borghese nei confronti della rappresentanza e della memoria storica dei comunisti) nè nella degenerazione opportunista, purtroppo facile in una società che progressivamente va americanizzandosi e a cui va opposta una resistenza forte, tale da trasformarsi in controffensiva.

Alleanze e identità comunista

di Antonio Costa*

La giusta - e permanente, in ogni situazione- ricerca di una politica di "alleanze" che non oscuri le motivazioni di una militanza, deve sempre fare i conti con l' esigenza di misurare tale ricerca con ciò che è fondamentale sempre per un partito operaio: il rafforzamento della sua influenza politica tra i lavoratori. Se si ottunde un tale nesso, soprattutto in una forza politica che non vive una fase di espansione, i rischi divengono immediatamente leta li. Nel vecchio PCI, ad esempio, l' ossessione dello stare "al centro del conflitto politico" è stata la foglia di fico dell' abbandono del collegamento organico con i bisogni delle masse popolari e delle lotte conseguenti che ne scaturivano. In una situazione qualitativamente diversa e opposta, nell'attuale Rifondazione comunista, un elemento diversivo rischioso è quello che collega un tema vero come quello delle forme nuove di partecipazione politica a quello errato - in questa fase- di un sempre imprecisato nuovo soggetto politico, un soggetto politico,  peraltro, mai escludente una sua soggettività politica generale e quindi di un suo specifico momento generale di direzione. L' elemento è rischioso in quanto la battaglia di Rifondazione comunista e altri che non vorranno definitivamente abbandonare il terreno della lotta di classe, è oggi a un punto critico che evidenzia contenuti ineludibili. La battaglia cioè si vince se lentamente ma inesorabilmente potranno avanzare tra le masse popolari nuovi convincimenti circa la possibilità e la necessità di una lotta per il socialismo.
Soggettivamente i rifondatori comunisti hanno recuperato la cultura della criticità alla società nella quale viviamo. Il problema è ora l' estensione a una parte decisiva del movimento dei lavoratori di tale possibilità o necessità. Non possiamo però credere che i nostri punti di analisi siano scontati nell'orientamento di massa, ecco perché la battaglia è di contenuto, di indirizzo politico generale.  Solo se tale indirizzo ridiventerà vincente si potranno porre anche problemi di schieramento politico. Andiamo al sodo. Oggi alla socialdemocrazia o al partito americano viene mantenuta la possibilità di esercizio del potere politico. Un potere peraltro ben delimitato e controllato dal ruolo egemonico svolto nella società dal grande capitale e dagli intellettuali che lo servono. La socialdemocrazia deve continuare a fornire in cambio la base di massa, politica ed elettorale, di cui il sistema ha bisogno. La socialdemocrazia o partito americano non è più (come poteva esserlo ai tempi del vecchio riformismo) una variante del socialismo, ma la sua negazione. La socialdemocrazia non si propone più, affatto,  la trasformazione del sistema capitalistico, non propone più la via di un miglioramento delle condizioni nell'ambito di questa società, come obiettivi parziali lungo la via del socialismo, ma come elementi di correzione o anche di rafforzamento del sistema. Sia chiaro, non si vuole qui riesumare vecchie teorie sul tradimento dei capi, caso mai si vorrebbe correggere qualcosa della concezione leninista che vedeva fenomeni di opportunismo o riformismo come fenomeno di "aristocrazia operaia". Si tratta invece di sottolineare la permanente ambivalenza della condizione generale dei lavoratori, tra i quali vi è sempre una tendenza alla lotta nell' ambito della società per migliorare le condizioni e una spinta invece alla negazione radicale e al rovesciamento della società. Solo la coscienza di classe (Marx) e la dottrina rivoluzionaria (Lenin) diventano elementi di valutazione generale nei rapporti di classe e danno uno sbocco socialista alle tendenze permanenti e spontanee operanti tra i lavoratori. Ma tutti ci rendiamo conto dell' impatto di queste affermazioni con l'arcisicurezza dei capitalisti e dei loro servitori che ritengono di aver vinto definitivamente la loro battaglia contro le società corporative. Il capitalismo,  il suo dinamismo, coltiva la frantumazione e la marginalità della classe operaia. Il capitalismo che è stato capace di trasformarsi: una rivoluzione tecnologica già attivata e un'altra - progettata - che vorrebbe dare il colpo finale a ogni suggestione di organizzazione collettiva della società. E allora tutti siamo richiamati alla dura realtà dei rapporti di forza tra le classi. Una dura realtà che si affronta e si supera con le ragioni non tutte nuove, ma quanto resistenti, degli ideali del socialismo. La riaffermazione della superiorità globale delle idee del socialismo e del tratto iniziale di strada che esse hanno compiuto nei decenni di questo secolo malgrado che l'esperienza storica si sia mossa, diversamente dall'ipotesi marxista, non dai punti alti dello sviluppo, ma con la rottura  della catena imperialista nei punti deboli. Un capitalismo costretto a dare certe risposte in parti limitate del mondo mentre più in generale il debito soffocante ed esplosivo dei paesi in via di sviluppo (condizione del benessere delle aree più forti del sistema) generava e genera contraddizioni esplosive. E la miseria mondiale entro lo sviluppo capitalistico si salda ora in modo crescente alle contraddizioni dei paesi sviluppati,  proprio nel pieno della globalizzazione. Lo sviluppo capitalistico si dimostra più che mai incompatibile con la piena occupazione. Torna a costituirsi l'esercito di riserva da impiegare per spezzare il potere contrattuale dei lavoratori. Non si tratta solo dei disoccupati a pieno titolo, ma dell' ancor più insidioso esercito di precari che tende a costituire la grande maggioranza di tutte le nuove assunzioni. Si acutizza la contraddizione fra l'utilizzazione del progresso tecnico e della ricerca scientifica da parte del capitale e il progresso sociale e la condizione dei lavoratori: in un'epoca nella quale si affermano possibilità di grandiose trasformazioni a vantaggio dell'umanità,  il progresso scientifico e tecnico nelle mani del padronato diventa uno strumento di sfruttamento e oppressione. La "mondializzazione" capitalistica non solo non elimina ma aggrava gli squilibri, sia quelli territoriali, sia fra i diversi settori della produzione. In questo quadro,  il rifugiarsi anche da parte socialdemocratica sul ritornello delle libertà e della democrazia conculcate dai comunisti appare davvero miserevole sin quasi all'insulto. Certo,  la democrazia politica borghese rimane un progresso storico e sociale indiscutibile, che consente ai lavoratori di organizzarsi, maturare politicamente e prendere coscienza della propria forza. Ma un traguardo davvero alternativo della nostra era non può essere ormai altro che quello di una democrazia socialista fondata su un regime che liquidando la ineguaglianza economica tra gli uomini, attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione dia, per la prima volta nella storia, un corrispondente contenuto sociale alla democrazia politica.  Anche per questo essere comunisti ha un significato decisivo per quanto di vecchio e di nuovo vi sia in queste posizioni. Comunista non è un etichetta applicabile a qualsiasi contenuto. Nella stessa ricerca del cosiddetto 'eurocomunismo', vale a dire l'indicazione ritenuta meno avanzata dell'esperienza passata, ben saldi rimanevano i punti caratterizzanti la specificità e diversità comunista:

- la definizione di regole per il mercato e le attività economiche, che senza eliminare l'esistenza di imprese private, fossero tali però da consentire di aumentare, in funzione di alcuni obiettivi, l'insieme dello sviluppo economico;

- lo sviluppo della più ampia partecipazione dei cittadini per dare un fondamento più solido agli istituti della democrazia rappresentativa, vale a dire il contrario di tutto l'indirizzo attuale che attraverso leggi elettorali e norme di rafforzamento generalizzato del potere esecutivo portano a lobby e ristretti vertici di partito, sempre più di opinione, sottratti a un vero controllo democratico di base;

- lo sviluppo di  una grande battaglia culturale e ideale a fenomeni diffusi e radicati di particolarismi e corporativismi, in nome di valori nuovi di solidarietà sociale, ma anche in nome della democrazia e dell'unità nazionale.

Comunista è stata poi la forza storica che ha cambiato il mondo, ha contrassegnato un'esperienza ultra settantenale di questo secolo, è la base di un potere perdurante in aree di centinaia di milioni di esseri umani, è la molla ideale e la concreta spinta di lotta di tante esperienze in tutti i continenti. Qualsiasi ipotesi di rinuncia al termine (come da parte di un compagno autorevole del PRC è stato evocato) non sarebbe segno di impegno rinnovato, ma di vecchio cedimento. Questa forza (il comunismo, le sue ragioni, i suoi obiettivi - tattici e strategici -) ha bisogno, in Italia, di essere completamente riassunta in un partito anticapitalista e antimperialista, internazionalista e rivoluzionario. Tale processo non può essere  avviato -  definitivamente - che all'interno del Partito della Rifondazione Comunista. Un partito che,  proprio mentre avvia una nuova fase della sua politica di alleanze - la Consulta - per non correre il rischio di essere trascinato (dato il suo ancora fragile radicamento di massa e la sua ancora non completamente definita identità politica e culturale) su quei pericolosi versanti della rinuncia all'azione soggettiva comunista e alla stessa forma partito autonoma comunista (rinunce che caratterizzano alcune aree della "sinistra critica e antagonista") deve - ancor più di prima - sollecitare un proprio disegno di radicamento autonomo e una propria ricerca culturale e politica. Solo in questo modo - rafforzandosi sia sul piano della prassi che della teoria - il PRC potrà "aprirsi" senza rischi alle più ampie politiche di alleanze; solo in questo modo esso potrà essere il cuore e il cervello di un più vasto fronte di "sinistra alternativa" che, avente al suo centro un partito comunista autonomo e propulsore, potrà dispiegare una propria forza critica e conflittuale, costruttrice dell'alternativa.

*Segreteria prov. Prc Milano
articolo apparso sul nr. 8/99 de L'Ernesto


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