RECENSIONE A 'BIFO'


La nefasta utopia
di 'Bifo'

-- Ferdinando Dubla --


Il titolo dell'ultimo libro di 'Bifo' (Franco Berardi), già teorico del movimento degli 'indiani metropolitani' del '77, è mutuato dall'articolo che Giorgio Bocca scrisse agli inizi del 1979 per le colonne di 'Repubblica' e che imputava alle concezioni operaiste di essere state la matrice ideologica degli anni di piombo. Ma francamente, non sappiamo che idea un giovane si possa fare leggendo quell'articolo e questo saggio dallo stesso titolo, La nefasta utopia di Potere Operaio, sull'esperienza del Potop, come sinteticamente veniva indicata quell'organizzazione negli anni '68/'69. Entrambi, a nostro modesto avviso, fanno torto a quell'esperienza e alle passioni, alla militanza che suscitò nell'area della sinistra comunista e più generalmente antagonista. Bifo, infatuato delle teoretiche sulla comunicazione infotelematica e approdato tramite le teorie dei 'nuovi filosofi' francesi Deleuze e Guattari, all'astratta categoria dell' high-tech proletariat (il Levy di Cyberculture e N.Witheford) trasforma l'operaismo e la sua articolazione teorico-pratica nel padre del cosiddetto metodo composizionista, una metodologia eclettica di composizione-scomposizione del reale, a metà strada tra i funambolismi fenomenologici alla Husserl del mondo-della-vita (Lebenswelt) e le concezioni di rifiuto del lavoro di Antonio Negri.
Insomma, una miscellanea che nel libro si propone e pretende di interpretare in modo efficace le mutazioni sociali e tecnologiche, cancellando politica ed economia, consegnando la prima all'archeologia del XX secolo e la seconda, più prosaicamente, alla globalizzazione capitalista.
Conviene dunque partire dagli approdi del discorso: "La novità implicita nella digitalizzazione del processo produttivo sta qui: il ciclo capitalistico si è, per la prima volta nella storia del capitale, scollegato dal conflitto sociale. La società reale non può bloccare il circuito di connessione produttiva." [pag.233], che tradotto significa che la lotta di classe è morta. Ma non c'è solo questo, c'è di più e ben altro: "La verità è che la sinistra, realista o vittimista, liberista o statalista, è morta, e sopravvive come rappresentazione di un ceto residuale e di identità prive di futuro." [pag.234]; fine della sinistra, dunque. Allora, solo macerie? Si salva unicamente il 'principio femminile', ma attenzione, non l'esperienza, pur contraddittoria, del movimento femminista, ma il principio come sottrazione: "socialità senza competizione, irriducibilità del corpo al disciplinamento economico, primato del dono rispetto allo scambio salariato, ecc.." [pag.236].
Come è possibile questo 'guazzabuglio' di teorie e prestiti culturali che si vedono incollati al modo di un mosaico inguardabile? Se non fosse perché, nel trentennale del '68, questo libro di F.Berardi potrebbe arrivare a dei giovani in cerca di documentazione storica, non varrebbe sinceramente la pena di interessarsene. Il metodo composizionista, la digitalizzazione del flusso vitale intercomunicativo, l'esaltazione della disoccupazione come tempo di vita liberato et similia, poco c'entrano con Potere Operaio. Organizzazione che può avere avuto delle colpe e delle responsabilità storiche anche pesanti nel non essere riuscita a dare esito e sbocco compiuto alla lotta di classe e al movimento del '68/'69, ma che sono ben altre rispetto ai torti imputatigli da 'Bifo'. Il quale data al primo convegno nazionale del gennaio 1970 lo sviluppo della degenerazione leninista, un Lenin-salma che nulla poteva dire per le contraddizioni nelle metropoli (l'unico a capirlo, in quegli anni, oltre a Berardi naturalmente, fu il povero H.J.Krahl, ridotto a un antileninista antelitteram) contraddizioni che pure Potop intuisce essere centrali nell'interpretazione delle fasi capitalistiche e del conflitto capitale/non-lavoro e dei cicli della valorizzazione.
"Ma che senso può mai avere il leninismo nelle metropoli?" - si chiede (retoricamente) 'Bifo' -, "che senso può mai avere l'idea del partito di quadri quando il lavoro mentale diviene un continuum superindividuale che connette e globalizza innumerevoli cervelli? Il leninismo non poteva vedere altro che la rottura politica. Il lavoro mentale vede distintamente che il problema non è quello della forma politica ma quello del paradigma." [pag.69]
Ed è per la netta visione di questo paradigma (che rivendica l'azzeramento della contraddizione dialettica in favore dell' asimettria paradigmatica, alla Francois Lyotard) che l'antileninismo porta a conclusioni ovviamente anticomuniste e financo grottesche? Quelle, ad es., che liquidano le esperienze socialiste del XX secolo come 'criminali', in quanto "il comunismo è stato una forma di violenza antiproletaria e antiumana, un mostro di oppressione autoritaria, di conformismo culturale, di ipocrisia ripugnante, di dominio delle burocrazie feudali e militari più feroci, più ignoranti, più fasciste.", [pag.144] e anche oggi, pensate, Cina e Russia "sono (..) due potenze capitaliste a direzione nazi-comunista", [pag.235], affermazioni tipiche di una deriva, oltre che 'futurologica', reazionaria e becera, oggettivamente di destra, che infatti conclude con la vecchia, stravecchissima eternità del capitale: " Il capitale è probabilmente eterno, insuperabile. Questa è un'altra acquisizione filosofica dell'antistoricismo." [pag.145] Bifo e la sua 'nefasta utopia' arrivano dunque allo stesso punto di Ricardo e A.Smith, queste 'novità teoriche' di un secolo e mezzo fa. Dove si dimostra che l'antileninismo non può che approdare al liberismo premarxista, camuffandosi solo goffamente con teorie nuoviste e iperuraniche!
Per cui un merito il libro ce l'ha: dimostra l'impossibilità di connettere una concezione leninista con gli esiti estremi dell'operaismo. Una vera lezione, di metodo e di contenuto.

Franco Berardi (Bifo):
LA NEFASTA UTOPIA DI POTERE OPERAIO
Lavoro tecnica movimento nel laboratorio politico del Sessantotto italiano
Castelvecchi 1998


scritto nell'ottobre 1998 da
Ferdinando Dubla





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