linea Rossa

(nr.14 - gennaio-febbraio 2000)

 

LA MEMORIA TRADITA



DAL CAPITOLO III
Angiolo Gracci: LA RIVOLUZIONE NEGATA - Il filo rosso della Rivoluzione italiana,
La Città del Sole, 1999
Paragrafo 1: Verità storica e revisionismi di destra e di sinistra, pp.223/225


 


Verità storica e revisionismi di destra e di sinistra

Le forze della conservazione, in quanto tali, hanno sempre prodotto e alimentato culture revisioniste atte a combattere quelle rivoluzionarie prescindendo dal fatto che queste risultassero, al momento, perdenti o addirittura sconfitte.
La cultura revisionista tende a soddisfare una serie di esigenze indispensabili per assicurare continuità al potere politico delle minoranze dominanti.
Esse si sono manifestate, storicamente, attraverso verso una quadruplice sequenza metodologica:

1) contenimento dell'effetto espansivo della rivoluzione (isolamento e blocco);

2) corrompimento e assorbimento del suo quadro dirigente ("decapitazione" politico-organizzativa);

3) indebolimento e sottrazione del sostegno di massa (sradicamento sociale);

4) dispersione e manipolazione della memoria (cancellazione storica).

In sintesi: contestare e/o rimuovere valori, credibilità, legittimazione politica alla rivoluzione; negarla nella pratica politica essendo impossibile negarla, in via di principio, quale incoercibile tensione dell'umanità verso sempre più ampi orizzonti di verità-libertà.
Obiettivo primario del revisionismo è il raggiungimento della normalizzazione, il sostanziale ristabilimento, anche in forme nuove (ma col maggior consenso possibile), dell'ordine scosso o turbato dal movimento rivoluzionario e dall'agitazione dei suoi ideali, rivendicazioni e programmi.

Il revisionismo consiste nell'uso strumentale di verità parziali per negare ragioni e validità storiche alla rivoluzione.
Il revisionismo storico ha sempre assunto una duplice veste: di "destra" e di "sinistra".
Quest'ultima, misura la penetrazione raggiunta dallo schieramento delle forze conservatrici in quello progressista e si pone in piena evidenza nel trasformismo politico, fenomeno che, non a caso, è andato sempre più caratterizzando il comportamento di gran parte del ceto politico italiano, specialmente a livello parlamentare.

Il revisionismo di destra si presenta, invece, o esplicitamente controrivoluzionario o nelle vesti più accattivanti di "moderato" accreditandosi con lo sfruttamento più o meno abile delle omissioni, reticenze, ambiguità e degli errori manifestatisi all'interno del movimento antagonista e, per opportunismo, non sottoposti a critica e conseguente rettifica.
D'altra parte, il revisionismo di sinistra consiste, almeno in gran parte, proprio in quelle omissioni, reticenze, ambiguità, errori e configura un comportamento che ha rinunciato alla forza rivoluzionaria della verità, alla sua incessante ricerca e coerente difesa e, quindi, anche alla capacità di verifica, autocritica e correzione.

In entrambe le versioni il revisionismo si presenta, in ultima analisi, come timore razionalizzato della verità storica.

Sotto molti aspetti, soprattutto nell'epoca contemporanea, il revisionismo di sinistra precede e apre allo sviluppo di quello di destra. Pertanto, il recupero e la difesa della memoria storica del movimento rivoluzionario italiano richiedono una più
compiuta riflessione su questa variante della cultura revisionista. Essa, infatti, si è dimostrata strumento efficace per consentire alle attuali classi conservatrici di prevalere sul piano della battaglia culturale. Infatti, è questa battaglia che non solo precede e prepara il terreno a quella convenzionale, materialmente combattuta sul campo, ma l'accompagna e, in buona parte, determina l'esito dell'intero conflitto, costituendone, comunque, la costante essenziale nella lotta di classe.

La superiorità storica della battaglia culturale su quelle politiche e/o militari è evidenziata dal fatto che continua anche al di là di esse, suscettibile, anche, di influenzarne e perfino modificarne gli esiti, soprattutto nel medio o lungo termine.

È stata, del resto, proprio la rivoluzione borghese a dare lampante dimostrazione della fondamentale importanza strategica della battaglia culturale nella lotta contro le classi dell' "ancien régime", nobiltà e alto clero. Inimmaginabile, ad esempio, il primo atto rilevante della Rivoluzione (la presa e distruzione, a furor di popolo, della Bastiglia, il 14 luglio 1789) senza collegarlo consequenzialmente al lungo attacco culturale portato avanti contro quel sistema di dominio dalla coraggiosa avanguardia degli intellettuali illuministi. Essi, con la loro critica serrata ed eversiva, crearono le condizioni culturali per legittimare politicamente l'esplosione, a livello di massa, di incontenibili, dirompenti contraddizioni sociali.

Da anni, in Italia persiste all'ordine del giorno, nonostante tutto, il dibattito sul fenomeno storico, politico, culturale del "revisionismo". Ed è su questo che porteremo le riflessioni conclusive del nostro saggio, non impegnandoci nella polemica sul revisionismo "politico-ideologico", ma prendendo, invece, in considerazione il collaterale revisionismo storico -  meglio,
storiografico - funzionale agli interessi delle forzepolitico-sociali al potere.
In quest'ultimo capitolo affronteremo, infatti, alcuni temi essenziali della polemica revisionista riaccesasi, in modo significativo e ampio, nell'imminenza e nel corso delle celebrazioni del secondo centenario della Repubblica Napoletana; vedremo, per ciò, questi temi in collegamento e sovrapposizione con quelli, in atto da decenni, delle vicende storiche salienti di questo secolo.

Dall'analisi critica di alcuni momenti e contenuti essenziali del revisionismo sul Bicentenario, argomento centrale del saggio, trarremo occasione per fornire al lettore "la chiave" per una più adeguata comprensione di quello, ancora in pieno corso, scatenato contro l'ultima tappa raggiunta dal movimento della Rivoluzione nazionale italiana: la Resistenza.
 
 

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