linea Rossa
(nr.14 - gennaio-febbraio 2000)

 

IN PRIMO PIANO



"Alla ricerca del partito perduto": o forse del partito che non c'è mai stato. Si potrebbe parafrasare così il tentativo del gruppo dirigente del Partito della Rifondazione Comunista di rimodulare la propria organizzazione per renderla funzionale a una strategia più complessiva di alternativa strutturale alla società capitalista, ai processi di globalizzazione, all'imperialismo del cosiddetto 'pensiero unico' che è il pensiero della classe dominante globale, la borghesia imperialista. L'organizzazione, dice Bertinotti, è un elemento centrale oggi della stessa strategia (rintracciamo qui un'elaborazione secchiana, sebbene mutata dalla fase storico-politica) e deve guidare, ad esempio nell'opposizione e nel boicottaggio ai referendum antisociali e antidemocratici, alla costruzione di un nuovo partito comunista di massa (ancora una volta, però: come è possibile edificarlo senza una politica di formazione dei quadri su una linea di massa?). Citazioni di Gramsci, Mao-Tse-Tung e K.Marx: ma più che citarli, essi andrebbero approfonditi da tutto il partito e, particolarmente, applicati nel fuoco delle trasformazioni epocali del conflitto capitale-lavoro, creativamente e produttivamente. Un'analisi comunque stimolante e soprattutto necessaria.


 

UN PARTITO COMUNISTA DI MASSA
per rifondare il senso della politica

stralci dall'intervento conclusivo di Fausto Bertinotti, segretario del PRC, al convegno di Chianciano (5-6 febbraio 2000) sul partito e la sua organizzazione

Care compagne e cari compagni,
in questo nostro dibattito abbiamo riscontrato un disgelo in atto nei movimenti sociali e nello stesso tempo abbiamo osservato l'enorme disparità di forza tra la prospettiva di alternativa e la conservazione.
Questi elementi ci consentono tuttavia di avanzare un'ipotesi politica, che potrei sintetizzare in una formula semplice: "invece si può", cioè si può fare altrimenti rispetto all'ordine delle cose presenti. (..)
abbiamo di fronte a noi delle scadenze gravi e importanti, come quella del referendum sulla legge elettorale. Nel caso di una vittoria dei proponenti del referendum si realizzerebbe un blocco reale della democrazia, con l'affermazione di un sistema maggioritario integrale, nel quale si confronterebbero solo le forze affini al mercato, con l'esclusione della presenza nelle istituzioni delle forze critiche e antagoniste.
In questo modo il secolo che si apre potrebbe addirittura diventare quello che segna la distruzione della politica come trasformazione della società e della democrazia come concreta organizzazione della medesima. (..)
"Provare e riprovare", questo diceva Antonio Gramsci, non certo per affermare un basso pragmatismo, ma per sostenere che un progetto politico può solo avanzare su esperienze concrete. (..)
Dobbiamo perciò fare i conti con tre grandi cambiamenti che sono intervenuti nella società e nel senso comune.
In primo luogo siamo di fronte ad un cambiamento profondo della società in tutti i suoi aspetti. Non siamo solamente in una condizione diversa rispetto ai nostri padri, siamo in una situazione completamente mutata rispetto a quando noi stessi abbiamo cominciato a fare politica. La globalizzazione in atto è un gigantesco processo politico che produce delle grandi novità. Quella principale è che l'innovazione nella tecnologia e nell'organizzazione della vita produttiva, il suo accelerato dinamismo, per la prima volta si divaricano da un progresso sociale. Così noi conosciamo una rivoluzione capitalistica e insieme una regressione della civiltà.
Noi siamo cresciuti in una condizione esattamente opposta, in cui potevamo ragionevolmente pensare di piegare l'innovazione in direzione del progresso sociale, realizzando un compromesso dinamico tra i processi di ristrutturazione capitalistica e i fenomeni di emancipazione sociale. Ora la situazione è diversa: il lavoro salariato, nelle sue varie forme, resta comunque centrale in questa rivoluzione capitalista, e lo si vede anche dall'insistenza con cui il capitale cerca lavoro a basso costo oppure, nel caso italiano in particolare, insiste per la libertà di licenziamento. In sostanza il capitale sempre di più considera il lavoro una variabile dipendente dal mercato. Però assistiamo allo smembramento delle fabbriche, delle unità produttive, delle concentrazioni operaie, insomma ad una disintegrazione del lavoro dipendente. Il rapporto tra produzione e riproduzione sociale è cambiato. Prima il sistema capitalistico tendeva ad integrare le forze del lavoro, per cui poteva essere funzionale ad esso un sistema democratico e persino il dispiegarsi in forme non traumatiche della lotta di classe, oggi invece esso ha sostituito al progetto di integrazione quello di disintegrazione delle figure sociali contrapposte e in sostanza vuole vincere senza convincere.
Da qui nasce l'attacco alla democrazia: non solo perchè essa rappresenta un costo insopportabile in questa strategia, ma perchè non si vuole che le classi si riconoscano come tali.
E' stato detto, stupidamente, che il comunismo è incompatibile con la libertà. Non solo dobbiamo contestare a fondo questa analisi, ma dobbiamo affermare che è il moderno capitalismo ad essere incompatibile con la democrazia e con la libertà.
Da qui deriva per noi un compito politico difficile, perchè, venendo meno le elementari regole del gioco, rischia di esserci sottratto il terreno stesso della lotta.
Oggi la ribellione è necessaria, ma non basta. (..)
In secondo luogo, conosciamo una crisi della sinistra senza precedenti. Alla fine di questo secolo ci portiamo appresso le domande di liberazione che l'ha interamente attraversato. Ma le risposte a questo sono assi diverse e divaricate. Guardiamo ad esempio alla traiettoria intellettuale dei democratici di sinistra: il loro congresso ha rappresentato un'indubbia novità, infatti oggi essi si collocano su un campo diverso da quello di provenienza. E' inutile misurare oggi la loro distanza dalle idee comuniste: il loro approdo è ormai quello in una cultura liberale.
Si può porre allora una domanda: perchè Rifondazione comunista non fa la scelta di occupare il terreno, oggi completamente scoperto, che sarebbe proprio di un partito socialdemocratico?
Penso che questa prospettiva sia stata completamente bruciata dalla crisi del riformismo classico derivante dalla ristrutturazione capitalistica. Di fronte alle contraddizioni di fondo, alla insopportabilità delle medesime per la vita umana, che da quest'ultima sono indotte, si può solo rispondere con la rifondazione di un'idea comunista. (..)
In terzo luogo, siamo di fronte a una rottura di quel senso comune e unitario che viveva nella storia del movimento operaio di questo nostro paese. Domandiamoci con franchezza: cosa vuol dire essere di sinistra o comunisti oggi? In tempi passati molta gente votava a sinistra per una sorta di accumulazione storica di senso comune. Oggi, anche recenti sondaggi, ci dicono che una parte rilevante dei nostri elettori decide di votare per noi solo negli ultimi 15 giorni o all'ultimo momento delle elezioni.
Quel mondo della sinistra di cui parlava Pasolini si è frantumato. Facciamo un esempio: nel passato quante propensioni razziste che pur vivevano sotto traccia nel popolo, erano impedite dal fatto di essere di sinistra. E ancora: nell'individuazione netta e precisa di un avversario di classe, si individuavano più facilmente le responsabilità del proprio disagio individuale, anziché riversarle su altri che pure lo subiscono.
Oggi invece assistiamo, nel nostro campo, ad una separazione tra area votante e area militante. Tutti questi elementi hanno a che fare con una profonda insicurezza sociale. Vi è una crisi di identità.
Contro questa insicurezza dobbiamo costruire la certezza di un percorso, di un cammino comune. Dobbiamo costruire un'osmosi con i movimenti. Mao Tsetung, in una famosa massima, diceva che conta di più insegnare a pescare e distribuire pesci. La penso allo stesso modo, con in più la necessità di operare una sorta di scambio: il partito deve imparare oltre che insegnare.
Abbiamo dato del partito che vogliamo una definizione che difendo: nuovo partito comunista di massa. (..)
Si può e si deve discutere sul concetto di "massa". Noi vediamo nel permanere e nell'allargarsi dello sfruttamento e dell'alienazione la necessità del superamento di questa società. Siamo di fronte ad una disgregazione del lavoro e delle figure sociali che lo compiono, ma questo conferma esattamente la previsione di Carlo Marx per cui il potere del capitale deriva non solo dalla trasformazione del pluslavoro in plusvalore, ma dalla finalizzazione al profitto dell'insieme delle attività condotte nella società. In questo modo si realizza una dimensione assoluta della mercificazione dell'attività umana in ogni campo, che contrappone il lavoro alle persone. Dobbiamo perciò reindagare il concetto di "massa", scoprendo le nuove caratteristiche sociali e soggettive delle persone che la compongono e le loro variegate ragioni di contrapposizione al capitale. (..)
Abbiamo di fronte la battaglia referendaria. La sentenza della corte costituzionale non cancella il veleno che rimane nell'operazione politica, che consiste nel congiungere la liberalizzazione dei licenziamenti con la modifica in senso maggioritario della legge elettorale. Così si vuole colpire il mondo del lavoro e allo stesso tempo deprivarlo della sua rappresentanza politica. Dobbiamo perciò boicottare i referendum, la loro logica, determinare la loro sconfitta. (..)
In conclusione, desidero indicare, senza nessuna pretesa di completezza, tre terreni di impegno immediati che ci possono far fare un concreto passo in avanti.
Il primo è quello di mettere a valore tutto quello che già abbiamo, come ad esempio il nostro quotidiano "Liberazione" di cui forse troppo poco qui si è parlato, e che invece è uno strumento fondamentale; infatti noi dobbiamo utilizzare tutti i mezzi, nel campo delle comunicazioni, da quelli più poveri, a quelli, se ci riusciamo, più ricchi.
Il secondo è quello di costruire una strumentazione per il nostro lavoro: penso proprio alla definizione di un manuale per mettere in condizione chiunque di noi, a partire dal semplice militante o simpatizzante di fare un volantino, un comizio, di organizzare una manifestazione.
Il terzo è quello di proseguire il lavoro di inchiesta: sono convinto che l'inchiesta e la formazione siano punti nevralgici e strategici nella costruzione di un nuovo e moderno partito comunista di massa. Dobbiamo incoraggiare in tutto il corpo del partito un lavoro continuo di lettura dei testi e della realtà, di inchiesta, di autoformazione e di informazione. Dobbiamo fare tutto questo per costruire una attiva partecipazione alla vita del nostro partito.
E' questo il modo che ci permette una nuova selezione dei gruppi dirigenti, promuovendo quelli che hanno la capacità di produrre cambiamento.


scrivete a linearossa@virgilio.it

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