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  I NODI AL PETTINE

 Come leggere i dati ISTAT da comunisti. Ancora su alcune incertezze per il decollo della Federazione della Sinistra. I nodi al pettine per il movimento operaio italiano e le forze comuniste.

----- Fosco Giannini -----

su L'ERNESTO del 03/02/2010

Impressionanti sono gli ultimi dati forniti in questi giorni dall’ISTAT in relazione al mondo del lavoro in Italia: una vera e propria “passata” di carta vetrata sulla falsa pelle vellutata con la quale il governo Berlusconi ha nascosto la crisi economica e le condizioni di vita della classe operaia e dell’intero mondo dei salariati e degli stipendiati.

L’ISTAT ci dice oggi che, ormai, i disoccupati, in Italia, oltrepassano di parecchio i due milioni. E andiamo, concettualmente, al di là dei numeri: oltre due milioni di persone in carne ed ossa ( e, per superare la tautologia gramsciana, in spirito) con nomi e cognomi, vita, angoscia e grandi ristrettezze personali che, alla fine del mese, non percepiscono un euro per sopravvivere, rischiando di aggiungersi da un giorno all’altro a quell’area di sette milioni e mezzo di persone già socialmente collocate sotto il livello della miseria.

Ma l’ISTAT va avanti impietosamente: tra i due milioni di disoccupati una gran parte sono giovani, che possono vivere solo grazie a quella che appare davvero essere l’ultima fase del “welfare familiare”, nel senso che anche l’aiuto delle famiglie ai figli e ai nipoti appare agli sgoccioli, sia dal punto di vista temporale che da quello strettamente economico.

Il tasso di disoccupazione – prosegue l’ISTAT- a fine dicembre 2009 è salito all’8,5% ( a fine dicembre 2008 era del 7%) : in un anno sono andati in fumo oltre 306 mila posti di lavoro! ( La Confindustria parla addirittura di un tasso di disoccupazione del 10,1%, includendo i cassaintegrati).Tra i giovani che vanno dai 18 ai 24 anni, usciti dal ciclo scolastico e che dovrebbero già essere nel mondo del lavoro, la disoccupazione giunge al 30%, mentre nell’Eurozona è del 23%. Numeri e simboli di un vero e proprio dramma sociale che non emergevano dal 2004 e che sarebbero stati certamente peggiori se non vi fosse stato un massiccio ricorso alla cassa integrazione e ai contratti di solidarietà, l’una e gli altri ormai giunti alla fine, all’ “impossibilità” di replica ( la CGIL afferma che negli ultimi 15 mesi un milione di lavoratori ha usufruito di un miliardo di ore di Cig !). Cassa integrazione e contratti di solidarietà che trovano peraltro e spesso durissime contrarietà alla loro estensione ed erogazione, specie quando i padroni sono espressione chiara della penetrazione imperialista nell’economia italiana, come nel caso dell’ “Alcoa”, fabbrica produttrice di laminati passata da “partecipazione statale” ad azienda colonizzata in mano ad una multinazionale USA, azienda che gli americani – appunto – rifiutando con protervia cassa integrazione e ammortizzatori sociali, vorrebbero chiudere attraverso un totale licenziamento.

Nel quadro sociale delineato dall’ISTAT – già di per sé gravissimo e che rende drammaticamente circense l’allegria di Sacconi, Brunetta e Berlusconi – mancano poi altri dati fondamentali: l’ISTAT non ricorda che dell’intera area dell’occupazione il 30% è ormai occupazione precaria ( con medie salariali di 700 euro mensili al nord e di 400 al sud d’Italia); non ricorda che il salario medio dei lavoratori a contratto indeterminato ( dai postini agli infermieri; dagli operai di fabbrica ai ferrovieri, ecc.) è di mille e cento euro al mese ( dopo venticinque anni di lavoro – ad esempio – un impiegato medio delle Poste e Telegrafi ha in busta paga mille e duecento euro; un operaio di un Cantiere Navale – senza notturni e straordinari – poco più di mille euro); non ricorda – l’ISTAT – in questa sua ultima “fotografia” sociale che la spesa giornaliera media di una famiglia “operaia” ( lavoratori di fabbrica, postini, infermieri, ecc.) con due figli a carico è di circa 60 euro ( dati “ Sole 24 Ore”) complessivi, con dentro- cioè - la spesa alimentare, quella per la casa ( detersivi e tanto altro), le rate e le bollette di luce, acqua, gas e telefono. Sessanta euro per 30 giorni sono mille e ottocento euro mensili, cioè 700 euro in più dello stipendio medio di un lavoratore ( tenendo conto, tra l’altro, che una famiglia deve sostenere anche le spese per la scuola dei figli e infinite altre e varie…).

Da questi dati, per altro, è facile capire perché le famiglie italiane sono tra le più indebitate d’Europa: poco oltre la metà del mese le famiglie consumano lo stipendio o il salario; l’accumulazione del debito le spinge in banca a chiedere piccoli mutui, ad alto tasso d’interesse; alla terza richiesta di piccolo mutuo la banca risponde “no”: a quel punto il capofamiglia si rivolge ad una Finanziaria privata per chiedere due o tremila euro, che viene concesso con un tasso di interesse da usurai.

Questo meccanismo perverso, di cui nessuno parla, è in verità la dura realtà che si ripete nel tessuto sociale profondo quotidianamente.

Anche della mancanza dell’adeguamento dei salari e degli stipendi al costo della vita quest’ ultima ISTAT non parla, mentre tale fenomeno ( anche grazie a quel santo di ritorno che pare oggi essere Bettino Craxi) incide sempre più pesantemente nel processo di sottosalarizzazione di massa in corso.

Anche i dati forniti in queste settimane dall’Eurostat ( una sorta di ISTAT europea) la dicono lunga sullo stato reale delle cose sociali: nell’Europa dell’euro il tasso di disoccupazione – a fine 2009 - è stato del 10% ( era dell’8% a fine dicembre 2008); 23 milioni sono i disoccupati nell’Ue dei 27 stati membri, di cui 15 milioni nella zona dell’euro.

Tutto ciò conferma l’analisi della crisi economica successiva alla “bolla americana” condotta dagli economisti di matrice marxista e comunista, una crisi da basarsi – secondo questi economisti – non solo sulle contraddizioni sviluppatesi dalla vasta speculazione finanziaria USA e internazionale, ma – soprattutto – da basarsi sul fenomeno capitalistico di fase segnato, contemporaneamente, da una sovrapproduzione di merci e – specularmente – da una sottosalarizzazione di massa su scala internazionale.

E’ del tutto evidente che, specie a partire dagli ultimissimi dati forniti dall’Eurostat (disoccupazione con caratteri di massa nell’Ue), è necessario avanzare – dal punto di vista comunista, di classe – un’analisi politico-economica, che riteniamo centrale: nell’Ue il fenomeno, dai caratteri internazionali, della sovrapproduzione capitalistica e quello della sottosalarizzazione di massa si combinano, si uniscono, con l’esigenza delle forze economiche neoimperialiste dell’Ue ( “il polo neoimperialista europeo”) di abbattere salari, diritti e stato sociale – sull’intera area Ue - al fine di abbattere il costo delle merci “europee” e vincere la nuova e dura concorrenza con gli USA, con gli altri poli imperialisti e con le nuove potenze economiche in crescita a livello mondiale.

Una natura neoimperialista, quella dell’Ue, che emerge anche dalle contraddizioni sociali descritte dall’ultima Eurostat e che chiederebbe una ben altra analisi e – soprattutto – una ben altra lotta sociale, su scala continentale, di quelle sviluppate dalla debole sinistra italiana.

Ma per tornare agli ultimi dati ISTAT per l’Italia, già commentati sopra: essi descrivono una situazione sociale italiana dai caratteri davvero difficili e – soprattutto – evocano un attacco del capitale contro il lavoro ed una sofferenza sociale di massa che richiederebbero ben altra risposta di quella molle che oggi sta mettendo in campo la sinistra italiana, compreso il movimento sindacale confederale.

Vi è – in questo quadro – un punto dai caratteri particolarmente “contingenti” : il ruolo sociale che dovrebbe saper svolgere la Federazione della Sinistra.

I sondaggi per le prossime elezioni regionali sono inquietanti. Ma i sondaggi, come si sa, sono anch’essi parte della lotta della classe dominante e dei suoi partiti politici contro il movimento operaio complessivo e contro le forze comuniste e di sinistra.

Il punto, però, è che – al di là dei sondaggi – le debolezze della Federazione della Sinistra si avvertono nelle piazze, nelle scuole, di fronte alla fabbriche e ai luoghi di lavoro; la Federazione sembra cioè paralizzata e chiusa in un involucro freddo, che le impedisce di diramarsi sul piano sociale e prendere la testa delle lotte.

Perché? Quali sono le ragioni oggettive e soggettive di questa situazione, che sconta, certo, pesanti eredità negative?

Che fine ha fatto il referendum contro la Legge 30 che la Federazione della Sinistra doveva lanciare e sostenere in tutte le piazze, davanti a tutte le fabbriche?

Perché, dal 5 dicembre 2009 – dal giorno, cioè, che la Federazione della Sinistra è stata lanciata a Roma sul piano nazionale – essa non è partita, non ha destato passioni e nuova militanza, esponendosi così anche a nuove, possibili, debàcle elettorali?

Occorrerebbe andare a fondo di tali interrogativi, in modo non semplicistico e certamente non solo in chiave soggettivistica. E la vigilia di una difficile campagna elettorale non è certo il momento più adatto (né siamo tra quelli – mai lo siamo stati - che irresponsabilmente credono nel “tanto peggio, tanto meglio”). Ma i nodi stanno per venire prepotentemente al pettine. Il movimento operaio complessivo, e con esso le forze comuniste italiane, l’intera sinistra anticapitalista e il movimento sindacale, sono di fronte a grandi problemi, che avranno bisogno, per essere risolti, di uno strenuo impegno politico, sociale e culturale.

Noi non ci tireremo indietro.