linea Rossa
(nr.17 - ottobre/novembre 2000)

 

IL PARTITO E IL DIBATTITO

IL PROBLEMA ORGANIZZATIVO

Di che partito comunista abbiamo bisogno? Abbiamo bisogno di un partito consapevole sul piano teorico e che lotti in modo organizzato, che sappia legare le lotte parziali ad una strategia rivoluzionaria complessiva. Abbiamo bisogno di un partito marxista e leninista

----- Hans Heinz Holz -----

Con ciò siamo giunti all’ultimo punto, che resta brevemente da trattare, ovvero, quello delle conseguenze delle nostre considerazioni; infatti, non ci siamo qui riuniti per avere una discussione seminariale sulla situazione storica mondiale allo scopo di poter dire, alla fine con soddisfazione, “ecco come stanno le cose!”: il nostro scopo, invece, è trarre conclusioni operative da quanto diciamo. Le nostre, insomma, sono riflessioni teoriche, a cui siamo non contemplativamente, ma politicamente interessati: noi ci manteniamo fermi al postulato dell’unità teoria-prassi.
Posta la situazione che abbiamo delineato, quali ne sono le conseguenze organizzative per un rnovimento socialista,  comunista?
Secondo Hans Luft due sono i binari lungo i quali muoversi; il primo corre entro i confini dell’esistente società capitalistica: è il binario lungo il quale si muove il PDS, che ha una presenza parlamentare ed opera attenendosi a margini di manovra interni alla società capitalista, per cui possiamo lasciar cadere la domanda di quanto effettivo spazio di rnanovra.le forze dominanti possano lasciargli. Naturalmente, un partito deve lottare, con la migliore efficacia possibile, all’interno dell’ordine sociale esistente, confrontandosi con i processi sociali che in esso si svolgono, nell’interesse di quanti il partito rappresenta e vuole indirizzare. Insomma, il partito deve sapersi muovere su un terreno, che noi diciamo “sindacale” oppure riformistico. Questo è del tutto chiaro.
In una situazione non rivoluzionaria, il binario delle riforme interne al capitalismo è l’unica linea possibile ai comunisti – il che significa un oscuro, quotidiano ed instancabile lavoro politico, il quale conduce là dove è lo scopo ultimo della nostra azione. Questo si capisce da sé.
Ciò che, invece, non si capisce da sé è l’attenersi  contemporaneo al secondo binario, quello della nostra volontà rivoluzionaria.
Al fondo di ogni attività riformatrice, interna a questa società; sottesa ad ogni tentativo di limitare il dominio della classe dirigente e le pratiche disumane del capitale, deve comunque restar desta la consapevolezza che non si tratta di migliorare questo o quell’aspetto della società attuale per ottenere finalmente che tutto sia in ordine; piuttosto, l’obiettivo è rovesciare questa società.
L’apparente successo del capitalismo non deve farci dimenticare che viviamo nell’epoca della sua disintegrazione e superamento. Il che significa: al di sotto dell’interno processo dei  piccoli, continui cambiamenti – che riconosciamo nella società ed a cui contribuiamo -, deve mantenersi la consapevolezza che questa società in quanto tale – così come essa è – né può essere mantenuta in piedi attraverso le riforme, né varrebbe la pena di mantenerla in piedi ma che, piuttosto, il compito è  “togliere”questa società mediante un’altra, la socialista, che dell’attuale è la negazione determinata.
Fin quando si vive in una fase di piccoli cambiamenti e di riforme e finché la necessità politica impone di contenere in questi limiti la lotta, è un problema di formazione teorica  quello di mantener desta negli aderenti ad un partito ricoluzionario (che, però, non ha da dirigere alcuna rivoluzione) la coscienza di quale sia l’effettivo scopo ultimo, insomma, di quale sia il radicale mutamento sociale che si persegue; è suo compito far avvertire costantemente lo scarto tra la pratica quotidiana e l’obiettivo di lungo periodo – ma non solo lo  scarto, bensì anche la sua intollerabilità.
Liberiamoci da ogni illusione!  In una fase storica di riforme, la prospettiva politica, che realisticamente si offre alle masse, è solo quella “socialdemocratica”. Riuscire a mantenere viva la tensione interna, che può condurre la politica riformistica dei piccoli passi all’accoglimento di più radicali finalità rivoluzionarie -  e riuscire a far ciò, senza lasciarsi invischiare nelle maglie del riformismo – è un compito dell’avanguardia, la quale, facendosi forte della propria chiarezza teorica, può riuscire a divenire quel punto di coagulo, in cui sempre più possano raccogliersi uomini, sulla base del crescente approfondirsi delle contraddizioni interne alla società presente.
 Mantenersi avanguardia non sporcata da compromessi, anche al prezzo di restare per lungo tempo minoranza numericamente insignificante, è compito storico di un partito comunista.
Una linea teorica combattiva è momento ineliminabile della politica dei comunisti. Il superamento del capitalismo  mediante una società alternativa deve essere, in ogni caso, l’obiettivo strategico, che funga da presupposto per quanti, vivendo e  soffrendo in questa società, si impegnano – tatticamente – nella  ricerca di mutamenti e correzioni da apportare pur all’interno di questa stessa società.
Si tratta di una lotta, che si dispone su vari piani. L’esperienza fatta delle strutture burocratiche e antidemocratiche che, presenti nei Paesi una volta socialisti, ha condotto spesso ad una raffigurazione idealistica della democrazia parlamentare borghese ed a considerare le sue istituzioni  come l’unico scenario della lotta politica.
Al contrario, noi dobbiamo vedere nella democrazia parlamentare borghese, per come essa è nata e per come si è trasformata, la forma di organizzazione statuale, che corrisponde agli interessi dei gruppi di potere; dobbiamo renderci conto che, nell’ambito di tale democrazia, l’universale partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato non costituisce affatto il momento decisivo.
I grandi Stati - nei quali ogni cinque anni i cittadini si recano alle urne a scegliere i loro rappresentanti (in realtà, già designati nelle liste di partito) – rappresenta solo un minimo  livello di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini alla  formazione della volontà politica. In Paesi come la Svizzera e l’Olanda la situazione muta di poco, solo di poco.
In Svizzera, perché esiste anche la diretta democrazia referendaria che, ora, - sotto la pressione della Comunità europea, che potrebbe avocare a sé molte funzioni – corre il pericolo di essere revocata (e si sta lavorando in questo senso).
 All’interno di questa forma di ordinamento, vi è stata finora la possibilità di promuovere iniziative dal basso; come anche una democrazia comunale eccezionalmente ben funzionante, dato che - a confronto dei grandi Stati centralistici -in Svizzera, i comuni hanno una gamma di competenze ben più ampie. Non è questa, però, la regola della democrazia borghese; lo è, invece, quella degli Stati fortemente centralizzati, dato che – ovviamente – non sono situazioni eccezionali che possono fornire i criteri di valutazione di tale democrazia.
Piuttosto, bisogna osservare come tale democrazia funzioni in grandi Stati, quali la Germania, l’Inghilterra, la Francia, l’Italia, gli USA, dove i processi decisionali si volgono anonimamente ed il potere dei grandi gruppi sfugge ad ogni controllo.
Da quanto detto ricaviamo che quella parlamentare e borghese non offre certo un modello di democrazia partecipativa.
Oltre a ciò, va detto che la democrazia parlamentare è sottoposta costantemente al potere della burocrazia ministeriale.
I parlamentari ed i ministri non sanno pressocchè nulla di tutte le complessità in materia di amministrazione e di attività legislativa: chi effettivamente ha in mano la produzione di leggi e, dunque, è in condizione di influenzare i processi sociali è la burocrazia ministeriale, che nel migliore dei casi è supportata da esperti, il cui punto di vista politico non ha alcuna importanza. Come si vede, tutto ciò non ha nulla a che spartire con la partecipazione democratica.
Credo che la democrazia parlamentare venga valorizzata come medio per la costruzione di una volontà generale e, dunque, come lo scenario della lotta politica degli oppressi, quando la si concepisce come la forma di movimento della libertà politica.
La battaglia - che noi, da comunisti, dobbiamo condurre -  ha da cominciare con lo sviluppare poco a poco una coscienza di classe, a partire da quei punti, in cui si riannodano con chiarezza i conflitti di questa società; ciò non significa solo lottare per la soluzione di questo o quel conflitto, ma anche – e più ancora – legare a ciò un ampliamento della consapevolezza che ogni conflitto determinato non è altro che un aspetto particolare, in cui si esprime una più ampia connessione sociale e che solo dal modo in cui si inserisce in questa più ampia connessione il problema particolare riceve il suo senso. Non si tratta solo di combattere, ad es., questa o quella progettata installazione atomica, bensì un’intera prospettiva politica. Naturalmente la singola lotta è pur giusta, ma più ancora lo è legarla alla lotta contro l’insieme dei rapporti sociali a cui rimanda.
Per poter fare ciò, abbiamo bisogno di una valutazione teorica della situazione storica, in cui ci troviamo; in altre parole, abbiamo bisogno di un partito consapevole sul piano teorico e di lottare in modo organizzato.
La linea politica ed i suoi obiettivi non possono essere il frutto dell’opinione personale di questo o di quello; naturalmente gli obiettivi della lotta devono essere discussi, ma perché la volontà politica possa acquistare forza è necessario che si traduca in organizzazione politica.
Per evitare equivoci:  on sto parlando di una forma organizzativa con tutte le deformazioni, apportate da un apparato burocratico e che noi, purtroppo, ben conosciamo; sto parlando, piuttosto, di un autentico partito comunista, capace di condurre la lotta di classe, il cui apparato sia sottoposto al controllo dei militanti.
Insomma, un partito democratico che, però, non si diluisca in un pluralistico club di discussori, ma che sia piuttosto dotato di una sicura capacità organizzativa e di lotta, sulla base appunto della sua interna democrazia.
Pur in quanto piccola minoranza – come in questa società siamo -, non possiamo sottrarci al compito di dare una precisa forma organizzata al nostro fare politico, se vogliamo riuscire ad essere il punto di coagulo di più larghi movimenti sociali ed il riferimento di un più ampio numero di persone.
In breve, abbiamo bisogno di un Partito marxista e leninista.

Da Comunisti oggi – Il Partito e i suoi fondamenti teorici, La Città del Sole, 1999, pp. 137/141



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Il partito secondo la concezione marxista-leninista
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