"Editoriale"


Ferdinando Dubla

AMERICANISMO SENZA FORDISMO

Processi oggettivi e limiti soggettivi nella crisi della militanza a sinistra

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Quanta parte gioca l’incomprensione da parte della sinistra dei processi oggettivi in atto e quanto questi influiscono sulla crisi della militanza che colpisce sia la sua parte più moderata sia quella antagonista o addirittura proclamantesi rivoluzionaria? (1) E’ un interrogativo non facile, specie dopo i risultati delle elezioni europee del giugno scorso, che hanno consegnato, oltre un dato che si rafforza e consolida nel nostro paese, che è quello dell’astensionismo intorno e oltre il 30%, il successo delle organizzazioni cosiddette ‘leggere’, prive cioè di apparati di partito e impianti organizzativi consistenti, in primis Forza Italia, ma anche la Lista Bonino e quella dell’Asinello; queste tre forze, assommate artatamente insieme, costituiscono oltre il 40% di coloro che hanno deciso di recarsi alle urne. Prive di partito reale e organizzazione capillare, certo; ma contraddistinte da una grande capacità di investimento economico-finanziario, dalla capitalizzazione di questo investimento nelle comunicazioni mediatiche, dall’assecondare il senso comune più deteriore di cui sono comunque stimolatori ed egemoni. E’ cioè la rappresentazione politica dell’americanismo, del processo di americanizzazione sociale che sta investendo l’Europa e l’Italia in particolare, dissolvendo sedimentazioni storiche di lungo corso e resistenze culturali che, proprio perché prodotti sovrastrutturali, non possono impedire altre sovrapposizioni di culture imperialiste che affondano nell’anatomia della struttura materiale della società.
C’è il vezzo, in alcune elaborazioni della sinistra di classe, di discettare, non senza arguzia analitica, di costruzione del polo imperialista europeo, che inevitabilmente dovrà scontrarsi con il polo imperialista made in USA e con quello del modo di produzione asiatico (Giappone, Corea, Taiwan, ecc..). Bene, ma chi impedisce ai poli imperialisti di concorrere assomigliando fra di loro nel modello sociale di riferimento? E qual è il modello sociale di riferimento dell’imperialismo transnazionale (dizione più corretta di quella di imperialismi e/o superimperialismo)? (2) : la società liberista non più liberale, il capitalismo ad egemonia finanziaria-speculativa, in cui il ruolo dello Stato è solo ed unicamente di supporto alle esigenze delle imprese multinazionali e monopolistiche, sotto la copertura delle medie e piccole imprese. Su questo modello, la storia ha consegnato la palma della direzione mondiale, che è oggi schiacciante supremazia militare, agli Stati Uniti d’America.
Storicamente, abbiamo scritto: e lo aveva ben compreso Gramsci, nelle note dal carcere su americanismo e fordismo, cercando di legare, da grande marxista creativo, i processi strutturali con quelli sovrastrutturali.
Oggi manca alla sinistra una simile capacità interpretativa dei processi oggettivi; manca alla cosiddetta sinistra moderata, il cui compito sembra essere quello classico delle peggiori socialdemocrazie e dunque destinate sempre più ad essere svuotate di funzioni significative, dopo aver messo il proprio radicamento popolare al servizio del capitale (3); manca alla sinistra antagonista, che cerca sempre meno il riferimento ideologico prendendo causa per effetto (4); e persino nella sinistra che si vuole rivoluzionaria o “ultrasinistra”, incapace di superare la sua cronica autoreferenzialità da ‘piccole sette crescono’ e da cui non può aspettarsi nulla di più, almeno allo stato attuale, che il solitario abbaiare alla luna. (5)
E il processo, aggressivo e dirompente, dell’americanizzazione del polo imperialista europeo e italiano in esso, continua incessante. Un americanismo senza più fordismo.
L’ipotesi interpretativa è schematicamente questa: la classe operaia tendenzialmente si smembra e passa dalla sua concentrazione fisica alla frantumazione, per un disegno politico di evitare la sua direzione sull’intero proletariato moderno, che rende centrali le figure del lavoratore precario, in affitto, flessibile e mobile.(6)
Alcuni individuano questo come neocorporativismo, altri lo imputano più marxianamente alla crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale e di merci. Se il fordismo era il tentativo di espandere la grande fabbrica taylorizzata all’archittetura sociale complessiva, ora l’americanismo della precarizzazione e della delocalizzazione e del dominìo del capitale speculativo, impedisce la risposta in chiave unitaria della classe (della classe operaia e del proletariato moderno) e rende estremamente fragile la sua rappresentanza politica.
Le conseguenze dell’americanismo senza fordismo sono
l’impoverimento progressivo della militanza attiva a sinistra, per la trasformazione in senso rivoluzionario dell’esistente;
la centralità degli apparati del consenso mediatico, la cui forza e potenza si è moltiplicata esponenzialmente da un secolo a questa parte, tanto da divenire l’arma con cui l’imperialismo cerca di vincere le sue nuove guerre.
La sfida è questa e il limite soggettivo più profondo della sinistra è nella sua risposta in difensiva: rinunciare ai propri riferimenti ideali e identitari, rinunciare al proprio radicamento popolare (formazione e qualificazione dei quadri-‘linea di massa’), inseguire l’avversario sul suo proprio terreno.
E infatti il nuovo americanismo spinge politicamente sempre più a destra, istituzionalmente a forme di delega estrema nel vuoto della partecipazione delle masse, in favore di un palcoscenico in cui a decidere le parti degli attori è un solo e unico regista, la grande borghesia del capitalismo speculativo e finanziario.
La cancellazione di una forte connotazione ideologica di sinistra è il più grande successo di questo regista: lo iato che si crea tra speranza e possibilità della trasformazione strutturale della società capitalista, viene riempito dai valori del mercato e dal feticismo della merce.

Da ciò non può assolutamente concludersi che la sinistra antagonista e di classe debba partire dalla propria autoaffermazione ideologica: è sempre l’essere sociale a determinare la coscienza.
Sbagliano dunque coloro che premettono l’impianto ideale preconfezionato ad ogni azione nella prassi. E’ l’errore speculare di chi ha deciso di annegare nell’empirismo insussistente dell’attuale pratica sociale dominante.
La sfida è aperta invece per coloro che a sinistra rifiutano sia il debole riformismo pragmatista sia il settarismo estremista, entrambi convergenti nell’inefficacia della loro azione. Costruire una linea di massa è possibile se si intreccia correttamente l’analisi della realtà con l’azione conseguente in termini politici.
E’ uno dei compiti decisivi della rifondazione comunista in Italia, in Europa e nel mondo.
 

(1) I processi oggettivi inducono alla disperazione sociale e politica? In occidente, la disperazione sociale è notevolmente inferiore a quella del Terzo e Quarto mondo, grazie ancora alla divisione internazionale del lavoro; la disperazione politica non è mai stato tratto caratteristico del marxismo e del leninismo, meno che mai del maoismo (“guerra popolare di lunga durata-linea di massa”). Insomma, la tradizione comunista non ha mai praticato né teorizzato il terrorismo, centrale invece in alcune forme estreme della tradizione anarchica e nihilista, nonché arma occulta delle classi dominanti. E invece anche fra di noi si stenta a contrastare l’offensiva di chi vuole, soggettivamente o oggettivamente, concepire il proprio ruolo come avanguardia di tipo leninista, quando invece è o di retroguardia (la disperazione sociale e politica) o scopertamente reazionaria (l’illegalità della borghesia).

(2) La guerra è imperialista, ma essa si vince, oltre che sul piano militare, anche e soprattutto su quello mediatico e del controllo dell’informazione, come ha dimostrato la recente crisi nei Balcani, con l’invasione della Jugoslavia, l’occupazione del Kossovo e la colonizzazione dell’Albania. Ad un certo punto, si decide di rendere centrale la figura del profugo in fuga: e spariscono tutte le altre migliaia e migliaia di popolazioni senza patria e permanentemente in diaspora. Si costruisce il fantoccio-Milosevic novello Saddam novello Gheddafi, si scoprono fosse comuni (ricordate Timisoara?), diventa etereo e “necessitato” il sacrificio e il massacro di una popolazione, quella serba, rabbassati a livello di “effetti collaterali”. Uno degli esempi dello scivolamento che questa nuova forma di dominio presuppone, è l’equidistanza tra le parti contendenti anche nella concezione di chi dovrebbe combattere la propaganda armata del terrorismo NATO. E’ da questa vittoria in avanti che i ‘crociati della menzogna’ e i loro padroni costruiscono la loro vittoria strategica. Essi sanno infatti che il Vietnam fu perso non per debolezza militare, ma per l’ancora fragile riproduzione mediatica del consenso alla guerra. Un consenso che, però, si badi, è effimero e caduco, non dura nel tempo, non riesce permanentemente ad occultare e a mascherare la realtà effettiva. La “Blizkrieg” nel campo dell’informazione mediatica è una forma necessaria di questo dominio, che le reti informatiche non possono ancora oggi nemmeno scalfire per l’analfabetismo di massa di queste tecnologie, così come per il mancato possesso degli strumenti della decodifica dei messaggi nella cultura dominante.

(3) Nella sinistra moderata, classicamente socialdemocratica e votata al pragmatismo insussistente, è da annoverare oggi, oltre al PDS, anche il PdCI, nonostante il suo goffo tentativo di espropriare la classe del suo riferimento politico tradizionale nella memoria storica, che è il PCI. Smascheramento che purtroppo non sembra interessare poi molto neanche il PRC.

(4) Per sinistra antagonista si intende la sinistra che fa capo al PRC o che intorno ad essa, costruisce ipotesi praticabili di alternativa sociale al neoliberismo e alla globalizzazione capitalista. Attualmente sembra che il riferimento identitario e ideologico di questa sinistra, che pure ci sembra l’unica che possa promuovere l’attivismo militante e una pratica realmente rivoluzionaria (che non significa rinuncia a priori alla rappresentanza istituzionale, questo è tratto tipico dei gesuiti custodi della rivoluzione che non viene mai) sia il Keynesismo, un marxismo generico e nominalista, un guevarismo iconografico di facciata. Il riflesso condizionante, in Rifondazione, dei processi oggettivi che abbiamo chiamato americanismo senza fordismo, è l’ulteriore rinuncia al proprio riferimento ideologico costitutivo, con un pericolo grave, quello di perdere la propria connotazione vitale, l’antagonismo strutturale e radicale alla borghesia imperialista.

(5) Non basta proclamarsi per esserci davvero. Così come nelle prove dell’esistenza di Dio che Anselmo d’Aosta contesta a Tommaso D’Aquino, se l’essenza è uguale all’esistenza, perché se immagino di avere tanti quattrini in tasca, essi non ci sono veramente? Nonostante l’ammonimento di Mao (“la rivoluzione non è un pranzo di gala”), se immagino di essere rivoluzionario, perché la rivoluzione non si sviluppa nel concreto della lotta di classe? O sbaglio l’analisi o sbaglio intervento attivo nella pratica sociale. Entrambe le cause, non opportunamente corrette, portano a quello che Lenin etichettò come ‘ultrasinistrismo’ e che oggi, rispetto a ieri, in occidente ha aumentato la propria incapacità e ininfluenza sulle masse popolari. In Italia, oggi, tutti i critici da ‘sinistra’ del PRC, non riescono a misurarsi con queste aporìe, che sono l’ABC dell’intera esperienza comunista di questo secolo.

(6) Rilevamento aprile 1999: 282mila posti in piu' di lavoro in Italia. Il governo D’Alema ha esultato per i dati diffusi  dall'Istat, anche se si tratta di un risultato frutto essenzialmente di contratti a termine e di part-time, quindi precari, riguardanti giovani del centro-nord. Il tasso medio di disoccupazione cala infatti solo dello 0,4% lasciando un 'buco' nell'industria e nell'agricoltura che perdono complessivamente 81mila posti di lavoro. Secondo l'Istat il tasso di disoccupazione e' ora in Italia al 12,1%

e-mail:dubla@planio.it

This page was last modified on July 26, 1999
L'articolo presente in questa pagina e' stato pubblicato sul n.12 - luglio-agosto 1999 de 'IL PARTITO-LINEA ROSSA'

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