IL PROBLEMA DELLA TRANSIZIONE NEL
PERIODO RIVOLUZIONARIO SECONDO MAO
E’
questo un discorso scritto di Mao-Tse-Tung che, pur nella necessità
imprescindibile di contestualizzazione, dimostra la sua estrema flessibilità
nella tattica, facendo rimanere ben salde la strategia e gli obiettivi che
discendono dai principi del marxismo-leninismo. Bandendo ogni estremismo
velleitario e ogni avventurismo (che sono accuse ricorrenti verso il maoismo),
Mao si sforza di inquadrare i compiti che la fase storico-politica richiede e,
in chiave rivoluzionaria, ritiene che il problema della democrazia e delle
alleanze sociali per il proletariato siano decisive per la vittoria finale. Egli
distingue cioè le fasi, non adotta una sola tattica per tutte le fasi. E qui si
interroga sul problema cruciale della transizione nel periodo rivoluzionario,
affermando che “dirigere
con mano sicura la rivoluzione democratica è la condizione per conquistare la
vittoria del socialismo” e
che “il passaggio dalla prevalenza
della borghesia alla prevalenza del
proletariato è un lungo processo di lotta, di lotta per l’egemonia, il cui
successo dipenderà dagli sforzi compiuti dal Partito comunista per elevare la
coscienza politica e il grado di organizzazione del proletariato, dei contadini
e della piccola borghesia urbana.” Una grande lezione in cui risalta con forza la
questione del partito, dell’importanza di una efficace organizzazione, della
formazione dei quadri, della dialettica interna e del centralismo democratico.
Più forte l’organizzazione, più forte l’intero movimento della lotta di
classe. Un tema di estrema attualità, che può benissimo essere coniugato con
le riflessioni in Italia di Gramsci al riguardo (cfr. la questione
dell’egemonia e della transizione in occidente) e del modo di concepire
tattica e strategia nella militanza attiva di Secchia nel PCI già durante la
Resistenza.
Le
note in calce sono a cura della redazione delle edizioni Rapporti Sociali nelle Opere di Mao (vol.V) da cui è tratto lo scritto.
MAO-TSE-TUNG
CONQUISTARE A
MILIONI LE MASSE NEL
FRONTE UNITO
NAZIONALE ANTIGIAPPONESE
(7 maggio 1937)
Conclusioni
presentate dal compagno Mao Tse-tung alla Conferenza nazionale del
Partito
comunista cinese tenuta a Yenan nel maggio 1937
Compagni! Durante la discussione di questi ultimi giorni sul mio
rapporto, “I
compiti del Partito comunista cinese nel periodo della resistenza al
Giappone”, tutti
hanno espresso il loro accordo, tranne alcuni compagni che hanno
manifestato
opinioni diverse. Queste opinioni hanno un carattere abbastanza
significativo, perciò
nelle mie conclusioni ne parlerò prima di trattare altri problemi.
IL
PROBLEMA DELLA PACE
Da
circa due anni il nostro partito lotta per la pace all’interno del paese. Dopo
la
terza sessione plenaria del Comitato esecutivo centrale del Kuomintang, noi
abbiamo
detto che questa pace è già stata conquistata, che la fase della “lotta per
la
pace” è superata, che oggi si pone un nuovo compito: “consolidare la
pace”.
Al
tempo stesso affermiamo che questo compito è legato alla “lotta per la
democrazia”,
ossia che dobbiamo consolidare la pace attraverso la lotta per la
democrazia.
Alcuni
compagni ritengono che questa nostra opinione non sia fondata. Le loro
conclusioni
sono dunque opposte alle nostre, oppure una via di mezzo. Infatti essi
dicono:
“Il Giappone si sta ritirando (1)
,
Nanchino oscilla sempre di più, le contraddizioni
fra
i due paesi si attenuano e si accentuano quelle all’interno del paese”.
Naturalmente,
se si parte da una valutazione di questo genere, non è nemmeno
il
caso di parlare della nuova fase e dei nuovi compiti e ci si ritrova alla fase
precedente,
se non in una situazione ancora peggiore. Ma ritengo che una simile
valutazione
sia errata. Quando noi diciamo che la pace è stata conquistata, ciò non
significa
che la pace sia consolidata; al contrario noi diciamo che la pace non è
solida.
Instaurare la pace all’interno del paese e consolidarla sono due cose
diverse.
Nella storia sono possibili temporanei ritorni al passato e la pace può
incontrare
una serie di difficoltà, perché esistono l’imperialismo giapponese, i
collaborazionisti
e il gruppo filogiapponese. Tuttavia, dopo l’Incidente di Sian, la
pace
interna è divenuta una realtà. Questa situazione è dovuta a una serie di
circostanze
(la politica fondamentale del Giappone orientata verso un’offensiva
militare,
l’atteggiamento dell’Unione Sovietica e anche dell’Inghilterra, degli
Stati
Uniti
e della Francia a favore della pace in Cina, la pressione esercitata dal popolo
cinese,
la politica di pace del Partito comunista durante l’Incidente di Sian e la sua
politica
diretta a porre fine all’antagonismo fra i due poteri, la differenziazione
verificatasi
in seno alla borghesia e le scissioni intervenute nelle file del
Kuomintang,
ecc.) e Chiang Kai-shek da solo non è in grado di instaurare o di
rompere
la pace interna. Per rompere questa pace dovrebbe dichiarare guerra a
molte
forze, avvicinarsi agli imperialisti giapponesi e al gruppo filogiapponese.
Non
vi è dubbio che l’imperialismo giapponese e il gruppo filogiapponese
cercano
ancora di protrarre la guerra civile in Cina e se fino a oggi la pace non
è
stata consolidata lo si deve proprio a questo. Data la situazione, la nostra
conclusione
è la seguente: non tornare alle vecchie parole d’ordine “cessare la
guerra
civile” o “lottare per la pace”, ma fare un passo avanti lanciando la
nuova
parola
d’ordine “lottare per la democrazia”. Soltanto così potremo consolidare
la
pace
interna e condurre la resistenza contro il Giappone. Perché noi lanciamo la
triplice
parola d’ordine “consolidare la pace”, “lottare per la democrazia” e
“resistere
al Giappone”? La risposta è che vogliamo fare avanzare il carro della
rivoluzione
e che la situazione ci permette di farlo. Se si nega che ci troviamo di
fronte
a una nuova fase e a nuovi compiti, se si nega che il Kuomintang “ha
cominciato
a cambiare” e con la stessa logica si arriva a negare il successo delle
diverse
forze che nell’ultimo anno e mezzo hanno lottato per la pace all’interno
del
paese, ciò significa che abbiamo segnato il passo, che non abbiamo fatto un
solo
passo avanti.
Perché
questi compagni fanno un tale errore di valutazione? Perché nell’esaminare
la
situazione attuale non partono dall’elemento essenziale, ma da un certo
numero
di fenomeni isolati, transitori (la diplomazia di Stato, il processo di
Soochow
(2)
,
la repressione degli scioperi, il trasferimento dell’Armata del nord-est
a
oriente (3)
,
la partenza di Yang Hu-cheng per l’estero (4)
,
ecc.) ed è per questo che
si
fanno un quadro molto fosco. Noi diciamo che il Kuomintang ha cominciato
a
cambiare politica, ma affermiamo allo stesso tempo che è ancora ben lontano
dall’averla
mutata completamente. Non si deve infatti pensare che la politica
reazionaria
seguita dal Kuomintang in questi dieci anni possa radicalmente
cambiare
senza che da parte nostra e da parte di tutto il popolo si compiano nuovi
e
più notevoli sforzi. Molti che si dicono di “sinistra”, che hanno sempre
insultato
il
Kuomintang e che al momento dell’Incidente di Sian erano per l’eliminazione
fisica
di Chiang Kai-shek e per una “irruzione attraverso il passo di Tungkuan” (5)
,
oggi,
assistendo, subito dopo l’instaurazione della pace, ad avvenimenti come il
processo
di Soochow, si meravigliano e chiedono: “Perché Chiang Kai-shek
continua
a compiere azioni del genere?”. Costoro dovrebbero capire che né i
comunisti
né Chiang Kai-shek sono dei santi o degli individui isolati, ma fanno
parte
di un partito, di una classe. Il Partito comunista è capace di far progredire
la
rivoluzione poco per volta, ma non è in grado di eliminare da un giorno
all’altro
tutti
i mali del paese. Chiang Kai-shek e il Kuomintang hanno cominciato a
cambiare
politica; ma essi non potranno in un sol giorno, né senza sforzi ancora
più
notevoli da parte di tutto il popolo, togliersi di dosso tutto il fango di cui
si
sono
coperti negli ultimi dieci anni. Noi affermiamo che il paese va verso la pace,
la
democrazia e la resistenza, ma questo non significa che senza particolari sforzi
sia
possibile eliminare completamente mali così radicati come la guerra civile, la
dittatura
e la non-resistenza al nemico. I mali inveterati, il fango, gli zigzag nello
sviluppo
della rivoluzione e anche i possibili ritorni al passato possono essere
eliminati
soltanto attraverso gli sforzi e la lotta e per di più con degli sforzi e con
una
lotta prolungati.
“Il
loro unico desiderio è quello di distruggerci.”
È
proprio vero, essi cercano sempre di distruggerci. Riconosco tutta la giustezza
di
una tale valutazione e non tenerne conto significherebbe essere ciechi. Ma il
problema
sta nel vedere se i metodi con i quali vogliono distruggerci sono
cambiati.
Io penso che siano cambiati. La politica di guerra e delle uccisioni di
massa
ha ceduto il posto a una politica di riforme e di inganno, la politica rigida
ha
ceduto il posto a una politica elastica, la tattica militare alla tattica
politica. Ma
perché
tali cambiamenti? Di fronte alla minaccia dell’imperialismo giapponese, la
borghesia
e il Kuomintang sono costretti a cercare un alleato temporaneo nel
proletariato,
come noi cerchiamo un alleato nella borghesia. Per esaminare questo
problema
occorre partire da questa situazione. Sul piano internazionale, il
governo
francese è passato dall’ostilità verso l’URSS all’alleanza con essa (6)
e
l’ha
fatto
per la stessa ragione. Sul piano interno anche per noi i compiti politici hanno
sostituito
quelli militari. Ma noi non abbiamo bisogno di ricorrere ai complotti e
all’inganno;
il nostro scopo è quello di unire tutti gli elementi della borghesia e
del
Kuomintang che sono per la resistenza al Giappone e di vincere attraverso uno
sforzo
comune l’imperialismo giapponese.
IL PROBLEMA DELLA DEMOCRAZIA
“Mettere
l’accento sulla democrazia è sbagliato, bisogna insistere unicamente
sulla
resistenza al Giappone; senza un’azione diretta contro il Giappone non vi
può
essere un movimento democratico. La maggioranza vuole soltanto resistere
al
Giappone, non vuole la democrazia; bisognerebbe avere un altro movimento
simile
a quello del 9 dicembre”.
Permettetemi
innanzitutto di fare alcune domande. Possiamo dire che nella fase
precedente
(quella che va dal Movimento del 9 dicembre 1935 alla terza sessione
plenaria
del Comitato esecutivo centrale del Kuomintang nel febbraio del 1937)
la
maggioranza del paese ha voluto soltanto la resistenza al Giappone e non ha
voluto
anche la pace interna? Era sbagliato, in quel momento, mettere l’accento
sulla
pace interna? Possiamo dire che era impossibile avere un movimento a
favore
della pace interna senza un’azione diretta contro il Giappone (l’Incidente
di
Sian e la terza sessione plenaria del Comitato esecutivo centrale del Kuomintang
ebbero
luogo quando già la resistenza armata nel Suiyuan aveva avuto termine
e
oggi non c’è ancora nulla che possa equivalere alla resistenza nel Suiyuan o
al
Movimento
del 9 dicembre)? Tutti sanno che per resistere al Giappone occorre
la
pace interna, che senza questa pace non può esserci resistenza, che questa pace
è
la condizione stessa della resistenza. Nella fase precedente, tutte le azioni
direttamente
o indirettamente connesse alla resistenza antigiapponese (dal
Movimento
del 9 dicembre alla terza sessione plenaria del Comitato esecutivo
centrale
del Kuomintang) ruotavano attorno alla lotta per la pace interna. Il
problema
della pace interna è stato, nella fase precedente, il perno, l’elemento
essenziale
del movimento antigiapponese.
Anche
in questa nuova fase, la democrazia è l’elemento essenziale per la
resistenza
al Giappone e lottare per la democrazia significa lottare per la
resistenza.
La resistenza e la democrazia si condizionano a vicenda, proprio come
la
resistenza e la pace interna, o la democrazia e la pace interna. La democrazia
è
la garanzia della resistenza e questa a sua volta può creare le condizioni
favorevoli
allo sviluppo del movimento per la democrazia.
Noi
speriamo che in questa nuova fase avvengano, e certamente avverranno,
tutta
una serie di lotte dirette o indirette contro il Giappone; ciò sarà
d’impulso
alla
guerra di resistenza e contribuirà fortemente al movimento per la democrazia.
Tuttavia
la conquista della democrazia è l’essenza, la sostanza del compito
rivoluzionario
che la storia ci ha affidato. È dunque un errore mettere l’accento
sulla
democrazia? Non mi pare.
“Il
Giappone batte in ritirata, l’Inghilterra e il Giappone tendono a stabilire
una
situazione
di equilibrio, Nanchino oscilla sempre di più”.
Questi
timori ingiustificati sono da attribuire al fatto che non si sono comprese
le
leggi dello sviluppo storico. Se in Giappone ci fosse una rivoluzione e di
conseguenza
questo si ritirasse veramente dalla Cina, ciò non farebbe che aiutare
la
rivoluzione cinese e risponderebbe pienamente ai nostri desideri, inoltre
segnerebbe
l’inizio del crollo del fronte internazionale dell’aggressione. Che
ragione
ci sarebbe di preoccuparsi? Ma per il momento non siamo ancora a questo
punto.
Le manovre diplomatiche di Stato non sono altro che preparativi per una
guerra
di vaste proporzioni e questa guerra ci minaccia da vicino. La politica
inglese,
che è caratterizzata dall’indecisione, non porterà ad alcun risultato; su
questo
non ci sono dubbi, dati i contrasti d’interessi fra l’Inghilterra e il
Giappone.
Se
Nanchino tentennerà a lungo sarà considerata un nemico da tutto il popolo;
d’altronde
questa indecisione sarebbe in contrasto con i suoi stessi interessi. Una
temporanea
ritirata non può cambiare le leggi generali della storia. Non si può
quindi
negare l’esistenza di una nuova fase né la necessità di porre come compito
la
lotta per la democrazia. In ogni caso la parola d’ordine della lotta per la
democrazia
non è fuori luogo, giacché tutti possono vedere che il popolo cinese
non
gode di troppa democrazia, anzi ne manca completamente. La realtà ci ha
dimostrato
inoltre che impostare il problema dell’esistenza di una nuova fase e
definire
i compiti della lotta per la democrazia significa compiere un passo avanti
verso
la resistenza al Giappone. La situazione si evolve, non cerchiamo di
riportarla
indietro.
“Perché
insistere tanto sull’Assemblea nazionale?”
Perché
potrà influire su tutti gli aspetti della vita del paese, perché sarà il
ponte
tra
la dittatura reazionaria e la democrazia, perché avrà un’importanza per la
difesa
nazionale,
perché sarà un’istituzione legale. I nostri compagni hanno proposto,
giustamente,
di riprendere lo Hopei orientale e il Chahar settentrionale, di
combattere
il contrabbando (7)
,
la “collaborazione economica” (8)
,
ecc., ma tutto
questo
non è affatto in contrasto con la lotta per la democrazia e per un’Assemblea
nazionale,
anzi non fa che integrarla. Tuttavia le cose essenziali sono l’Assemblea
nazionale
e la libertà del popolo.
La
lotta quotidiana contro il Giappone e la lotta per il miglioramento delle
condizioni
di vita del popolo devono essere legate al movimento per la
democrazia;
ciò è del tutto giusto e nessuno può contestarlo. Tuttavia, nella fase
attuale
il compito centrale, quello più importante, è la lotta per la democrazia e
la
libertà.
IL PROBLEMA DELL’AVVENIRE DELLA RIVOLUZIONE
Alcuni
compagni hanno sollevato questo problema. Posso rispondere solo
brevemente.
Se
un’opera si compone di due parti, si scrive la seconda solo quando si è
finita
la
prima. Dirigere con mano sicura la rivoluzione democratica è la condizione per
conquistare
la vittoria del socialismo. Noi lottiamo per il socialismo e ciò ci
distingue
da qualsiasi altro fautore dei Tre principi popolari rivoluzionari. I nostri
sforzi
di oggi devono essere diretti verso questo grande obiettivo futuro; perdere
di
vista questo grande obiettivo significa cessare di essere comunisti. Ma anche
ridurre
gli sforzi volti ad adempiere i compiti odierni significa cessare di essere
comunisti.
Noi
siamo fautori della teoria della trasformazione della rivoluzione (9)
,
siamo per
la
trasformazione della rivoluzione democratica in rivoluzione socialista. La
rivoluzione
democratica attraverserà diverse fasi di sviluppo, tutte con la parola
d’ordine
della repubblica democratica. Il passaggio dalla prevalenza della
borghesia
alla prevalenza del proletariato è un lungo processo di lotta, di lotta per
l’egemonia,
il cui successo dipenderà dagli sforzi compiuti dal Partito comunista
per
elevare la coscienza politica e il grado di organizzazione del proletariato, dei
contadini
e della piccola borghesia urbana.
Sicuri
alleati del proletariato sono i contadini e dopo di loro la piccola borghesia
delle
città. La borghesia è invece nostra rivale nella lotta per l’egemonia.
Per
vincere l’indecisione e l’inconseguenza della borghesia, noi dobbiamo
appoggiarci
sulla forza delle masse popolari e seguire una politica giusta,
altrimenti
la borghesia prenderà il sopravvento sul proletariato.
Noi
vogliamo una trasformazione senza spargimenti di sangue e dobbiamo
lottare
al meglio per questo, ma il risultato dipenderà dalla forza delle masse
popolari.
Noi
siamo fautori della teoria della trasformazione della rivoluzione e non della
teoria
trotskista della “rivoluzione permanente”(10)
.
Noi vogliamo arrivare al
socialismo
passando attraverso tutte le necessarie fasi di sviluppo della repubblica
democratica.
Noi siamo contro il codismo, ma anche contro l’avventurismo e la
precipitazione.
Opporsi
alla partecipazione della borghesia alla rivoluzione con il pretesto che
sarebbe
soltanto temporanea o chiamare capitolazione l’alleanza con gli elementi
antigiapponesi
della borghesia (in un paese semicoloniale) è una tesi trotskista
con
la quale non possiamo essere d’accordo. Oggi quest’alleanza è il ponte
necessario
per arrivare al socialismo.
IL PROBLEMA DEI QUADRI
IL PROBLEMA DELLA DEMOCRAZIA ALL’INTERNO DEL PARTITO
Per
raggiungere questi obiettivi è necessaria la democrazia all’interno del
partito.
Se vogliamo un partito forte, dobbiamo praticare il centralismo democratico
in
modo da stimolare lo spirito d’iniziativa di tutti i suoi membri. Nel periodo
della
reazione e della guerra civile, il centralismo si è fatto sentire in maniera più
forte.
Nel nuovo periodo, il centralismo deve essere strettamente legato alla
democrazia.
Applicando la democrazia, possiamo incoraggiare lo spirito d’iniziativa
in
tutto il partito e incoraggiando questo spirito possiamo formare un gran
numero
di nuovi quadri, liquidare le sopravvivenze di settarismo e rendere così
il
partito compatto e forte come l’acciaio.
L’UNANIMITA’ DELLA CONFERENZA E L’UNITA’ DI TUTTO IL PARTITO
Dopo
gli opportuni chiarimenti, le differenze di opinione sui problemi politici
che
si sono manifestate durante la conferenza hanno ceduto il posto a una
concordanza
di opinioni e le divergenze esistenti fra la linea del Comitato centrale
e
la linea della ritirata, adottata sotto la direzione di alcuni compagni, sono
pure
state
superate (12)
.
Ciò dimostra che il nostro partito è fortemente unito. Questa unità
è
la base più importante dell’attuale rivoluzione nazionale e democratica,
perché
solo
attraverso l’unità del Partito comunista cinese si può raggiungere l’unità
di
tutta
la classe e di tutta la nazione e soltanto con l’unità di tutta la classe e
di tutta
la
nazione si può sconfiggere il nemico e portare a termine la rivoluzione
nazionale
e democratica.
CONQUISTARE
A MILIONI LE MASSE NEL FRONTE
UNITO NAZIONALE ANTIGIAPPONESE
La
nostra giusta linea politica e la nostra solida unità hanno questo scopo:
conquistare
a milioni le masse nel fronte unito nazionale antigiapponese. Le
larghe
masse del proletariato, dei contadini e della piccola borghesia urbana si
attendono
da noi un lavoro di agitazione, di propaganda e di organizzazione.
Dobbiamo
lavorare ancora di più per stringere un’alleanza con quella parte della
borghesia
che è contro il Giappone. Perché la politica del partito divenga la
politica
delle masse, dobbiamo compiere molti sforzi, sforzi tenaci e insistenti,
dando
prova di grande pazienza e di grande perseveranza. Senza di ciò non
riusciremo
a raggiungere nulla. La formazione e il consolidamento del fronte unito
nazionale
antigiapponese, il raggiungimento degli obiettivi che esso si prefigge,
la
creazione in Cina di una repubblica democratica sono impossibili senza questi
sforzi
per conquistare le masse. Se riusciremo con i nostri sforzi a metterci alla
testa
delle
masse, alla testa di milioni e milioni di uomini, potremo adempiere
rapidamente
il nostro compito rivoluzionario. I nostri sforzi avranno certamente
come
risultato la disfatta dell’imperialismo giapponese e la completa liberazione
nazionale
e sociale.
N O T E
1.
Dopo l’Incidente di Sian gli imperialisti giapponesi assunsero,
temporaneamente, un
atteggiamento
conciliatorio per spingere le autorità del Kuomintang a sabotare la pace
interna
che si era appena stabilita e rompere il fronte unito nazionale antigiapponese
in
via di formazione. Essi spinsero il governo fantoccio autonomo della Mongolia
interna
a inviare due messaggi al governo del Kuomintang a Nanchino, uno nel
dicembre
del 1936 e l’altro nel marzo del 1937, per dichiarargli il suo appoggio. Il
ministro
degli esteri giapponese Sato cercò di attirare Chiang Kai-shek dalla sua parte,
dichiarando
ipocritamente che il Giappone desiderava migliorare i suoi rapporti con
la
Cina e contribuire alla sua unificazione politica e alla sua rinascita
economica. D’altra
parte
il Giappone inviò in Cina la cosiddetta “missione d’inchiesta sulle
condizioni
dell’economia”,
capeggiata da Kenji Kodama, magnate della finanza, con il pretesto di
aiutare
la Cina a “organizzarsi in Stato moderno”. Questa “diplomazia di Stato”,
questa
“ritirata
del Giappone”, come la chiamavano certe persone ingannate dagli intrighi dei
giapponesi,
altro non erano che manovre d’aggressione.
2.
Nel novembre del 1936 il governo del Kuomintang fece arrestare a Shanghai sette
capi
del
Movimento per la resistenza al Giappone e per la salvezza della patria, tra cui
Shen
Chun-ju.
Nell’aprile del 1937 l’Alta Corte del Kuomintang a Soochow intentò un
“processo”
contro di loro. Furono imputati di “attentato alla sicurezza della
Repubblica”,
accusa
gratuita di cui si servivano abitualmente le autorità reazionarie del
Kuomintang
contro qualsiasi movimento patriottico.
3.
Prima dell’Incidente di Sian, l’Armata del nord-est, che si trovava al
confine fra le
province
dello Shensi e del Kansu, era stata a diretto contatto con l’Esercito rosso
dislocato
nella parte settentrionale dello Shensi. Fortemente influenzata da
quest’ultimo,
essa
organizzò più tardi l’Incidente di Sian. Nel marzo del 1937, per ordine dei
reazionari
del Kuomintang decisi a rompere i legami che si erano stabiliti fra l’Esercito
rosso
e l’Armata del nord-est e a seminare così la discordia nelle file di
quest’ultima,
l’Armata
del nord-est fu costretta a dirigersi verso est e a raggiungere le province
dello
Honan
e dell’Anhwei.
4.
Capo
militare del nord-ovest della Cina, fu, assieme a Chang Hsueh-liang, il
promotore
dell’Incidente
di Sian. Per questo i loro nomi furono messi l’uno accanto all’altro e
venivano
chiamati “Chang-Yang“. Dopo la liberazione di Chiang Kai-shek, Chang
Hsueh-liang
accompagnò quest’ultimo a Nanchino e qui fu arrestato. Yang Hu-cheng
nell’aprile
del 1937 fu destituito dalla cricca reazionaria del Kuomintang e obbligato ad
andare
in esilio. Quando ebbe inizio la Guerra di resistenza, Yang ritornò in Cina con
l’intenzione
di prendere parte alla lotta contro il Giappone, ma fu a sua volta arrestato
da
Chiang Kai-shek. Nel settembre del 1949, quando l’Esercito popolare di
Liberazione
si
avvicinava a Chungking, Yang Hu-cheng fu assassinato in un campo di
concentramento.
5.
Il passo di Tungkuan è un importante punto strategico al confine fra le
province dello
Shensi,
dello Honan e dello Shansi. Al tempo dell’Incidente di Sian, le truppe del
Kuomintang
erano per la maggior parte dislocate a oriente del passo di Tungkuan.
Alcuni
elementi, che si dicevano “di sinistra”, fra cui Chang Kuo-tao, insistevano
sulla
necessità
di un’“irruzione attraverso il passo di Tungkuan”, il che equivaleva a
intraprendere
un’offensiva contro le truppe del Kuomintang. Questa proposta era
contraria
alla politica del Comitato centrale del Partito comunista cinese che tendeva
a
regolare pacificamente l’Incidente di Sian.
6.
Dopo la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, l’imperialismo francese seguì per
molto
tempo
una politica ostile nei riguardi dell’Unione Sovietica. A partire dal 1918
fino al
1920
il governo francese prese parte attiva all’intervento armato delle quattordici
potenze
contro l’Unione Sovietica e continuò a condurre una politica reazionaria di
isolamento
dell’URSS anche dopo il fallimento di questo intervento. Solo nel maggio
del
1935, in seguito all’influenza che la politica di pace dell’Unione Sovietica
esercitava
sul
popolo francese e anche per la minaccia che la Germania fascista costituiva per
la
Francia,
questa concluse con l’Unione Sovietica un patto di mutua assistenza. Ma il
governo
reazionario francese non tenne fede a questo patto.
7.
Si allude all’entrata di contrabbando di merce giapponese in Cina.
8.
Si tratta di una parola d’ordine lanciata dal Giappone con lo scopo di
saccheggiare
e
di aggredire economicamente la Cina.
9.
Sul tema della trasformazione della rivoluzione democratica in rivoluzione
socialista
si
vedano K. Marx e F. Engels, Manifesto
del partito comunista,
parte 4; V.I. Lenin, Due
tattiche
della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica,
parte 12 e 13; Storia
del
Partito
comunista (bolscevico) dell’URSS (breve corso),
cap. 3, par. 3.
10.
Sulla concezione trotskista della “rivoluzione permanente” si vedano gli
scritti di J.
Stalin:
Principi del leninismo,
parte 3; La
Rivoluzione d’Ottobre e la tattica dei comunisti
russi,
parte 2; Questioni
del leninismo,
parte 3.
11.
Vedasi Discorso nel palazzo del Cremlino per la promozione degli allievi
dell’Accademia dell’Esercito
rosso (maggio 1935), dove Stalin dice: “[...]
di tutti i capitali preziosi
che
esistono al mondo, il capitale più prezioso e più decisivo sono gli uomini, i
quadri.
Bisogna
comprendere che nelle nostre attuali condizioni ’i quadri decidono di tutto’”.
12.
Si tratta delle divergenze esistenti tra la linea del Comitato centrale del
partito e la linea
della
ritirata sostenuta da Chang Kuo-tao negli anni 1935-1936. Vedasi nota 22 in Sulla
tattica
contro l’imperialismo giapponese.
Quando dice che “le
divergenze [...] sono state
superate”,
il compagno Mao Tse-tung si riferisce all’unificazione dell’armata del 4°
fronte
dell’Esercito rosso con l’Esercito rosso centrale. Quanto all’aperto
tradimento di
Chang
Kuo-tao, che ebbe luogo in seguito con il suo passaggio nel campo della
controrivoluzione,
esso non ha nulla a che vedere con le divergenze riguardanti la linea
del
partito, ma si tratta di un atto di tradimento assolutamente individuale.