http://www.resistenze.org/ - osservatorio
- italia - politica e società - 18-03-07
da: Il Manifesto
L'effetto doppio della
guerra
Censure belliche. La propaganda stravolge la
verità e l'oscura. Il «fronte interno» criminalizza il dissenso sociale e
politico. Questo sta succedendo da noi
sull'Afghanistan
Fosco Giannini
17-03-2007
Un paese in guerra produce due effetti tra loro
speculari: da una parte la rimozione, la censura e persino la menzogna rispetto
ai motivi reali della guerra; dall'altra la militarizzazione interna allo stesso
paese in guerra: il fronte esterno e il fronte interno, entrambi da
presidiare.
Accade così, anche oggi, in Italia. Dopo sei anni dall'
attacco americano quasi nessuno ne ricorda più il motivo scatenante proclamato:
la cattura di Bin Laden. Ma poiché non si può invadere un paese e bombardarlo
per sei lunghi anni, ridurre un popolo alla fame e ammazzare oltre 100.000
persone solo per catturare un uomo, la cultura dominante ha dovuto diffondere,
rimuovendo il primo, un nuovo messaggio, più realistico: non bombardiamo per
catturare Bin Laden ma contro i talebani. Sono dunque i talebani il motivo della
guerra?
La verità è che il controllo militare dell'Afghanistan,
per il Pentagono, è parte preponderante e teorizzata del progetto generale di
guerra infinita e permanente, dell'estensione della Nato nel cuore dell'Asia, ai
confini dell'Iran, del Pakistan e soprattutto della Cina, ormai primo e
strategico avversario degli Usa. Sono già otto le basi Nato costruite o in
costruzione in Afghanistan e dovrebbero diventare venti. Per organizzare tanta
capacità di fuoco e controllo egemonico, in quell'area strategica, si può ben
mettere in conto ogni genere di distruzione.
Ma oltre che costruire una falsa coscienza di massa un
paese in guerra ha bisogno di aprire anche e controllare anche un fronte
interno, militarizzando la società, l'informazione, la politica, i partiti. E
cos'altro è, se non una forma della militarizzazione, questo coro
filo-imperialista, questa inquietante voce univoca della quasi totalità
dell'apparato mediatico italiano volto a sorreggere e ad ampliare l'intervento
bellico in Afghanistan? E anche: che cos'è, se non un vero e proprio
trasferimento interno del fronte militare la minaccia e la pratica
dell'espulsione di alcuni comunisti «dissidenti» dai loro partiti? Non se ne
pentirà questa sinistra quando la guerra si estenderà in tutto l'Afghanistan,
coinvolgendo direttamente anche i nostri soldati?
Chi scrive è stato uno dei primi «otto dissidenti».
Dallo scorso maggio ci siamo battuti per la conquista di una uscita strategica
dall'Afghanistan. Ora, su chi scrive, come su altri, è sospesa ogni giorno
l'ascia dell'espulsione oltre che l'argomento del ritorno delle destre qualora
Prodi dovesse nuovamente trovarsi in minoranza sulla politica internazionale. Un
argomento vero, poiché è certo che siamo di fronte a una delle destre più
reazionarie e guerrafondaie d'Europa. Ma un argomento che diviene strumentale
nel momento in cui la sinistra d'alternativa non lotta più adeguatamente, sul
piano istituzionale e soprattutto sociale, per la conquista dell'uscita
strategica da Kabul e contro il raddoppio della base Usa a Vicenza. Sta qui
l'ambiguità: nel scegliere solo il dettato politico di Rutelli e D'Alema e nel
non voler capire che la vittoria strategica della destra si va già organizzando
sulle politiche deludenti dell'Unione. Deludenti per quei milioni di persone di
sinistra che da questo governo si attendevano una svolta.
Sono sempre più contrario alla guerra in Afghanistan e
nel contempo vorrei poter non smettere di battermi dentro il mio partito, il
Prc, dove è ancora possibile rafforzare ed estendere una posizione autonoma
dalla sinistra moderata e chiaramente antimperialista, comunista, pacifista. Ma
il mio partito deve scegliere, in tempi politici, da che parte stare. Dalla
parte del movimento per la pace e degli interessi del movimento operaio
complessivo, o sul versante della difesa aprioristica e a tutti i costi di una
politica e di un governo che, ove prescindesse dalla conquista di obiettivi
tangibili, rischierebbe di mutarsi in governismo fine a se stesso? Non si
dimentichi che già alla fine degli anni '80, durante il primo attacco contro
l'Iraq, sulla questione della adesione all'aggressione imperialista finì la
storia del Partito comunista italiano e vide il suo nuovo inizio la vicenda di
un nuovo atlantismo neo-liberale e moderato targato Pds.
*senatore del Prc