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memoria resistenti - storia - 18-10-07 - n. 199
La questione del
partito e ”Che” Guevara
Note per un contributo ad una formazione
ideologica
A cura di Flavio Rossi - Centro Cultura e
Documentazione Popolare
Ottobre 2007
Prologo
Approfondendo la storia del Che possiamo scoprire un
rivoluzionario “diverso” da quello comunemente conosciuto, che non rientra
completamente nella figura dell’eroe romantico donchisciottesco, molto
“rivoluzionario” in senso lato, ma poco ”comunista”, nel senso più
politico.
Un esame profondo del contenuto ideologico dell’attività
rivoluzionaria di Ernesto Guevara De La Serna, detto il “Che”, al contrario, ci
restituisce un comunista, marxista e leninista.
Questo approfondimento è utile se legato alla storia della
rivoluzione cubana e alla costruzione del socialismo a Cuba, perché quella
storia è stata determinante nel percorso politico di Guevara.
Capita allora di scoprire una storia del socialismo cubano
poco noto, spesso affidato a pochi aneddoti miscelati al folklore
tropicale..
Ricordiamoci che la rivoluzione cubana è relativamente
giovane, e che negli anni 60’ l’inviato dell’Unità all’Avana, Saverio Tutino,
non ebbe mai l’onore di intervistare il Che, il che la dice lunga sui limiti
della sintonia politico-ideologica del PCI d’allora con il governo
rivoluzionario cubano prima e con il Partito Comunista Cubano (PCC)
poi.
La deriva revisionista dominante ha impedito un autentico
apprendimento di quella lezione rivoluzionaria, e su Cuba è finito col gravare
una visione benevola ma con riserva, solidale purché distaccata sul piano
ideologico, fino ad arrivare oggi ad una sottile ma sostanziale “condanna”
d’autoritarismo e di ortodossia vetero-marxista.
Questo lavoro di ricerca non deve spaventare, perché
non ci porta alla demolizione del mito, piuttosto ci avvicina alla dimensione
più autenticamente umana del Che, quella del suo agire frutto di idee precise,
idee che appartengono alla storia del più glorioso movimento per l’emancipazione
dell’umanità, quello comunista.
Scopriamo allora che il Che non è di tutti, nonostante sia
diventato il più grosso simbolo della rivoluzione nella storia moderna.
Nonostante sia diventato icona e chiunque può indossare una maglietta con il suo
viso facendone etichetta per qualsivoglia manifestazione ribelle, il Che è stato
ed è ancora anzitutto un esempio di comunista, un compagno eroico che si
identificava nel socialismo novecentesco.
La questione dell’organizzazione politica e il
“Che”
Sintetizzare il contributo di E. Guevara sulla questione della
forma - partito non è facile.
La personalità eclettica del Che unita, alla sua prematura
scomparsa, ha lasciato ai posteri una ricca eredità, il cui fascino è
accresciuto dal richiamo del sacrificio eroico, sicché focalizzare il tema
“partito” all’interna dell’esperienza rivoluzionaria guevariana comporta il
superamento della dimensione simbolica che questa ha assunto. Tale compito ci
costringe ad affrontare la realtà storica abbandonando il terreno del
leggendario, si tratta di riordinare le tracce di una preziosa esperienza
rivoluzionaria scendendo dall’olimpo in cui si è soliti trovarla.
Un compito impegnativo eppure necessario se vogliamo
oltrepassare la superficialità dell’elogio celebrativo.
L’unica occasione in cui Guevara esprime in modo sistematico
ed esauriente il proprio ideale di partito è“L’uomo e il socialismo a
Cuba”, un articolo in forma di lettera apparso sul settimanale
uruguayano “Marcha” a Montevideo il 12 marzo 1965, e in “Verde Olivo” a Cuba,
nell’aprile dello stesso anno. Si snocciolano qui gli elementi comuni al modello
leninista:
partito d’avanguardia, ammissione selettiva, minoranza di
quadri formati, impegno ad elevare il livello di coscienza delle masse,
programma comunista, carattere esemplare e pedagogico della militanza, spirito
di abnegazione e sacrificio. Ne risulta la piena conformità alla
tradizione bolscevica.
“ .. Il partito è un’organizzazione d’avanguardia. I
lavoratori migliori vengono proposti dai loro compagni per farne parte. E’
minoritario, ma dotato di grande prestigio per la qualità dei suoi quadri. La
nostra aspirazione è che il partito sia di massa, quando però le masse avranno
raggiunto il livello di sviluppo dell’avanguardia, vale a dire quando saranno
state educate per il comunismo. E verso questa formazione va indirizzato il
lavoro. Il partito è l’esempio vivente; i suoi quadri devono essere modelli di
laboriosità e sacrificio; con la loro azione devono portare le masse al
compimento degli obiettivi rivoluzionari e ciò implica anni di dura lotta contro
le difficoltà della costruzione, i nemici di classe, le piaghe del passato,
l’imperialismo…
Vorrei spiegare ora il ruolo che svolge la personalità
umana, l’uomo come individuo dirigente delle masse che fanno la storia. E’ la
nostra esperienza diretta, non una ricetta. Fidel ha dato alla rivoluzione
l’impulso nei primi anni e il tono sempre; ma oggi esiste un buon gruppo di
rivoluzionari che si sviluppa all’unisono con il nostro massimo dirigente una
gran massa che segue i suoi capi perché ha fiducia in loro; e ha fiducia perché
questi dirigenti hanno saputo interpretare le loro
aspirazioni.
Non si tratta di sapere quanti chili di carne si mangino o
quante volte l’anno ognuno possa andarsene a passeggiare sulla spiaggia, e
neppure quante belle cose provenienti dall’estero si possano acquistare con gli
attuali salari. Si tratta, piuttosto, di far sì che l’individuo si senta più
completo, con molta maggiore ricchezza interiore e senso di responsabilità. Il
cittadino nel nostro paese sa bene che l’epoca gloriosa che si sta vivendo è
fatta di sacrifici; e sa bene che cosa sia il sacrificio. I primi impararono a
conoscerlo sulla Sierra Maestra e ovunque si è combattuto; e poi lo abbiamo
conosciuto in tutto il paese. Cuba è l’avanguardia dell’America e deve fare i
sacrifici perché sta in prima linea, perché indica alle masse latinoamericane il
cammino verso la completa libertà. All’interno del paese, i dirigenti hanno il
dovere di assolvere il proprio ruolo di avanguardia; ed è bene dirlo in tutta
sincerità, in una vera rivoluzione alla quale si consacra tutto, dalla quale non
ci si attende alcuna ricompensa materiale, il compito del rivoluzionario di
avanguardia è a un tempo magnifico e angoscioso.
I nostri rivoluzionari d’avanguardia devono idealizzare
questo amore per i popoli, per le cause più sacre e renderlo unico,
indivisibile. Non possono scendere con la loro piccola dose di affetto
quotidiano nei luoghi in cui lo esercita l’uomo comune.
I dirigenti della rivoluzione hanno figli che nei loro
primi balbettii non imparano a nominare il padre; mogli che devono partecipare
al sacrificio della loro vita, al fine di condurre la rivoluzione verso il suo
destino; la cerchia dei loro amici coincide con quella dei compagni della
rivoluzione. Non c’è vita al di fuori di questa.
In tali condizioni, bisogna avere una grande dose di
umanità, un gran senso di giustizia e di verità per non cadere in eccessi di
dogmatismo, in freddo scolasticismo, nell’isolamento dalle masse. Bisogna
lottare ogni giorno perché questo amore per l’umanità vivente si trasformi in
fatti concreti, in atti che servano di esempio, di
mobilitazione.
Il rivoluzionario, motore ideologico della rivoluzione in
seno al partito, si consuma in quest’attività ininterrotta, che finisce solo con
la morte, a meno che il processo non si estenda su scala mondiale. Se il suo
impegno rivoluzionario si affievolisce quando i compiti più urgenti vengono
realizzati su scala locale e l’internazionalismo proletario viene dimenticato,
la rivoluzione che egli stesso dirige cessa di essere una forza propulsiva e
affonda in un tranquillo letargo, di cui approfitta il nostro inconciliabile
nemico, l’imperialismo, per riguadagnare terreno. L’internazionalismo proletario
è un dovere, ma anche una necessità rivoluzionaria. Così educhiamo il nostro
popolo.
E’ chiaro che nella situazione attuale vi sono
pericoli.
Non solo quello di dogmatismo, e non solo quello di
congelare i rapporti con le masse proprio a metà della grande impresa. C’è anche
il pericolo delle debolezze in cui si può cadere. Se un uomo pensa che per
dedicare tutta la propria vita alla rivoluzione non può permettere che la
propria mente sia distratta preoccupazione che a un figlio manchi un determinato
prodotto, che le scarpe dei bambini siano rotte, che la sua famiglia sia priva
di certi beni indispensabili, allora egli con questo ragionamento lascia
infiltrare i germi della futura corruzione.
Per quanto ci riguarda abbiamo stabilito che i nostri
figli debbano avere o essere privi di ciò che hanno o di cui mancano i figli
dell’uomo comune; e la nostra famiglia deve comprenderlo e lottare per questo.
La rivoluzione si fa attraverso l’uomo, però l’uomo deve forgiare giorno dopo
giorno il proprio spirito rivoluzionario.
Così marciamo. Alla testa dell’immensa colonna non ci
vergognamo e non esitiamo a dirlo c’è Fidel; poi i migliori quadri del partito e
subito dopo così vicino che si avverte la sua forza enorme viene il popolo nel
suo insieme: una solida struttura di personalità che avanzano verso un fine
comune; individui che hanno preso coscienza di ciò che è necessario fare; uomini
che lottano per uscire dal regno della necessità ed entrare in quello della
libertà.
Questa immensa moltitudine si dispone in un certo ordine
che corrisponde alla consapevolezza della sua necessità; non è una forza
dispersa in migliaia di frazioni disseminate nello spazio come frammenti di una
granata, che cercano di raggiungere con qualsiasi mezzo, in una lotta accanita
contro i propri simili, una posizione, qualcosa che sia di sostegno per
l’incerto futuro.
Mi sia consentito trarre qualche conclusione. Noi
socialisti siamo più liberi perché siamo più completi, siamo più completi perché
siamo più liberi.
Lo scheletro della nostra libertà è ormai formato, mancano
la sostanza proteica e il rivestimento: li creeremo. La nostra libertà e il suo
supporto quotidiano hanno il colore del sangue e sono gonfi di sacrificio. Il
nostro sacrificio è cosciente; è un tributo da pagare per la libertà che stiamo
costruendo. La strada è lunga e in parte ignota; conosciamo bene i nostri
limiti. Ma faremo l’uomo del XXI secolo: noi stessi.
Ci forgeremo con l’azione quotidiana, creando un uomo
nuovo con una nuova tecnica.
La personalità svolge un ruolo di mobilitazione e
direzione e per il fatto che di incarnare le più alte virtù e aspirazioni del
popolo e non si allontana dal cammino.
Chi apre la strada è il gruppo d’avanguardia, scelto tra i
migliori, il partito.
L’argilla fondamentale del nostro lavoro è la gioventù: in
essa riponiamo le nostre speranze e la prepariamo perché un giorno prenda la
bandiera dalle nostre mani.
Se questa lettera balbettante chiarisce qualcosa, ho
raggiunto l’obiettivo per il quale la invio.
Riceva il nostro saluto di rito, come una stretta di mano
o un’“Ave Maria Purissima”.
Patria o morte!
(Che Guevara “Scritti Scelti” R. Massari - Ed. Erre Emme Vol.
II pagg. 710/711)
Sebbene in forma di propaganda più esplicita, il Che
aveva già assunto tale posizione nel 1963“Il partito marxista-leninista” edito
dal Pursc*, contenente un capitolo del manuale del marxismo-leninismo di Otto
Wilhelm Kuusinen, leader del comunismo finlandese e noto
filosovietico., quando scrisse la prefazione al libro
“I marxisti (i quadri di partito, n.d.a.) devono essere i
migliori, i più capaci, i più completi degli esseri umani … militanti di partito
che vivono e vibrano con le masse; orientatori che plasmano in direttive
concrete i desideri qualche volta oscuri delle masse; lavoratori infaticabili
che danno tutto di se stessi al loro popolo, che sacrificano alla Rivoluzione le
loro ore di riposo, la loro tranquillità personale, la loro famiglia e perfino
la loro vita, ma che non sono mai indifferenti al calore del contatto
umano.”
(“Che Guevara - Pensiero e politica dell’utopia” R. Massari -
Ed. Erre Emme pagg. 136 - 137)
L’approvazione del modello di partito conforme alla
tradizione bolscevica è documentabile anche a proposito del principio del
partito unico. In una nota intervista concessa al giornalista
nordamericano Maurice Zetlin nel 1961, Guevara si pronuncia decisamente contro
la formazione di correnti in seno al partito definendole focolai di
frazionismo.
(Si veda R. Scheer-M. Zetlin “Cuba an american tragedy” Ed.
Penguin 1964 o R. Massari “Pensiero e politica dell’utopia” Ed. erre emme pag.
135)
Egli prese posizione contro ogni forma di dissidenza
foriera di indebolimenti della linea rivoluzionaria già nella polemica scoppiata
in piena rivoluzione fra “Sierra” e Llano”, vale a dire fra montagna e
pianura, cioè i due tronconi politici del “Movimento 26 di Luglio”, dove la
pianura rappresentava l’ala moderata e movimentista. La polemica si concluse con
lo scioglimento della direzione del “llano” il 3 giugno 1958 in seguito alla
ricerca dell’unificazione ideologica e al fallimento dello sciopero generale del
9 aprile organizzato dal “llano”.
“.. Si sarebbe seguita la “linea della Sierra”, ossia
della lotta armata diretta, estendendola ad altre regioni e dominando in questo
modo il paese, per questa via si metteva fine a certe ingenue illusioni di
pretesi scioperi generali insurrezionali, mentre la situazione non era maturata
abbastanza perché si potesse verificare un’esplosione di questo tipo, e senza
che il lavoro precedente avesse assunto le caratteristiche di una preparazione
conveniente a un’impresa di tale entità.”
La pianura assumeva una posizione apparentemente più
rivoluzionaria, cioè quella della lotta armata in tutte le città, che sarebbe
sboccata in uno sciopero generale che avrebbe rovesciato Batista e permesso la
presa del potere in poco tempo.
Ma questa posizione era più rivoluzionaria soltanto in
apparenza, perché ancora in quell’epoca non si era completato lo sviluppo
politico dei compagni del llano e i loro concetti di sciopero generale erano
troppo angusti”
(“Ricordi della guerra rivoluzionaria” 1963 in “Che Guevara -
Pensiero e politica dell’Utopia” R. Massari Ed Erre Emme pagg. 309 – 310)
Ancora sull’argomento, nella già citata prefazione de “Il
partito marxista-leninista” Guevara arriva a scrivere:
“.. l’Esercito ribelle era ormai ideologicamente
proletario e pensava in funzione della classe operaia. Il llano era ancora
piccolo - borghese, tra i suoi dirigenti c’erano alcuni che più tardi tradirono,
ed era molto condizionato dall’ambiente in cui operava.”
(“Che Guevara - Pensiero e politica dell’utopia” R. Massari -
Ed. Erre Emme pag. 313)
Crediamo che non si debba nutrire un eccessivo stupore di
fronte a questo Che Guevara così insolitamente bolscevico, vale la pena di
ricordare quanto scrisse nel fuoco della polemica in una nota lettera
indirizzata a Renè Ramos Latour, dirigente del “Llano”:
“.. Appartengo, per la mia preparazione ideologica, al
gruppo di coloro che credono che la soluzione dei problemi del mondo si trovi
dietro la cosiddetta cortina di ferro e considero questo movimento come uno dei
tanti provocati dall’affanno della borghesia di liberarsi dalle catene
economiche dell’imperialismo. Ho sempre considerato Fidel come un autentico
leader della borghesia di sinistra, anche se la sua personalità è caratterizzata
da qualità personali di straordinario valore che lo pongono molto al di sopra
della sua classe. Con quello spirito ho iniziato la lotta: onestamente senza la
speranza di andare al di là della liberazione del paese, disposto ad andarmene
quando le condizioni della lotta successiva facessero girare a destra
(verso quello che voi rappresentate) tutta l‘azione del
movimento.”
(“Scritti Scelti” R. Massari - Ed. Erre Emme Vol. I pag.
372)
Anni dopo, a vittoria ormai conseguita, Guevara farà
autocritica stemperando il tono polemico di quel testo, del resto quello
del Che non è semplice filosovietismo manicheo, lo prova la sua
estraneità alla cosiddetta “microfaccion”, la corrente filosovietica capeggiata
da A. Escalante, prima attaccata politicamente dal gruppo dirigente castrista,
poi repressa giudiziariamente nel 1968 (Escalante fu condannato a 15 anni di
carcere).
Ciò che è sicuramente interessante è documentabile è
la conformità del Che ai principi del partito secondo la tradizione
marxista-leninista.
Eppure molto è stato scritto circa il superamento della forma
partito operata da Guevara nei suoi ultimi quattro, cinque anni di vita,
moltissimo è stato scritto, tant’è vero che domina incontrastata l’immagine del
profeta di una sorta d’umanesimo rivoluzionario che poco avrebbe da spartire con
il comunismo novecentesco. Questa tesi è impossibile ignorarla, doveroso
verificarla.
Come ci informa lo stesso R. Massari, autore di un imponente
lavoro di ricerca storica e convinto assertore del “superamento”, si tratta di
una tesi che non può essere confermata da alcun documento, semmai dedotta dagli
atti politici dell’ultimo Guevara.
“ ..il Che si lascia assorbire interamente dalle questioni
dell’economia ancora per tutto il 1964, prima di riprendere le proprie
peregrinazioni “diplomatiche”, all’estero, alla ricerca di una nuova dimensione
internazionale della rivoluzione. Nei viaggi e nei soggiorni a Cuba, lavora
indefessamente alla costruzione di nuovi organismi politici sovranazionali, come
la futura Olas (Organisacion latinoamericana de solidaridad) – originariamente
una sua diretta creatura – e la Tricontinentale.
Al di là delle parole, egli dimostra con questi
fatti di considerare superata la vecchia “forma partito”, morta e sepolta
l’esperienza dell’organizzazione politica “marxista-leninista”, soprattutto
nella versione nazionale. Un tale strumento, impegnato nella gestione quotidiana
dell’esistente – vale a dire nella traduzione pratica di direttive centrali,
sulle quali pure egli avrebbe molto da ridire – privo di un’effettiva capacità
di proposizione autonoma, appare a Guevara ormai come un organismo senza vita,
senza dinamica e senza potenzialità rivoluzionarie.”
(“Che Guevara - Pensiero e politica dell’utopia” R. Massari
Ed. Erre Emme pag. 138)
Gli organismi “diplomatici” sopra indicati puntavano alla
creazione di strutture marxiste-leniniste svincolate dai partiti comunisti
revisionisti imbrigliati nella logica democratico - parlamentare, favorendo così
la lotta armata secondo la strategia nata dall’esperienza vincente
cubana.
La direzione sarebbe stata continentale, cioè in grado di
superare le opportunistiche delle prospettive nazionali. La proposta di dare
spazio a nuove organizzazioni marxiste-leniniste in concorrenza aperta con i
partiti che non accettavano la lotta armata, avrebbe dovuto far scartare la
lotta politica convenzionale a favore della guerra rivoluzionaria.
Nella tragica impresa boliviana Guevara stringe rapporti a
360°; con il partito comunista “tradizionale”, con i trotzkisti, con i radicali
democratici di Juan Lechìn, accoglie nel nucleo guerrigliero alcuni militanti
del PCB dissidenti filocinesi di Moisés Guevara.
Ci troviamo di fronte ad una tattica spregiudicata, adeguata
al progetto di guerriglia intercontinentale descritta in “Due, tre …
molti Vietnam.”
“Nell’America latina si lotta con le armi alla mano in
Guatemala, Venezuela, Bolivia e già spuntano i primi segnali in Brasile. Ci sono
altri focolai di resistenza che appaiono e poi si estinguono. Ma quasi tutti i
paesi di questo continente sono ormai maturi per una lotta che, per risultare
vittoriosa, non può fare a meno di instaurare un governo di tipo
socialista…
Oggi ci sono consiglieri americani in tutti i paesi in cui
vi è una lotta armata e l’esercito peruviano ha organizzato – sembra con
successo – una battuta contro i rivoluzionari di questo paese, anch’esso
consigliato e addestrato dagli yankees. Ma se i focolai di guerra saranno
organizzati con sufficiente abilità politica e militare, diverranno praticamente
imbattibili e richiederanno di nuovi contingenti nordamericani. Nello stesso
Perù con tenacia e fermezza, nuove figure ancora poco note stanno riorganizzando
la lotta guerrigliera. Poco a poco, le armi obsolete che bastano per la
repressione delle piccole bande armate, saranno sostituite da armi moderne, e i
gruppi di consiglieri da soldati americani; a un certo punto l'imperialismo si
vedrà costretto a inviare contingenti sempre maggiori di truppe regolari, per
assicurare la relativa stabilità di un potere il cui esercito nazionale
fantoccio si disintegra sotto i colpi della guerriglia.
E’ la strada del Vietnam, il cammino che devono
seguire i popoli e che seguirà l’America…
Che si sviluppi un vero internazionalismo proletario, con
eserciti proletari internazionali, dove la bandiera sotto cui si lotta sia la
causa sacra della redenzione dell’umanità, in modo che morire sotto le insegne
del Vietnam, Venezuela, Guatemala, Laos, Guinea, Colombia, Bolivia, Brasile –
per citare solo i teatri attuali della lotta armata – sia altrettanto glorioso e
desiderabile per un americano, un asiatico, un africano e persino per un
europeo. Ogni goccia di sangue versato in territorio sotto la cui bandiera non
si è nati è un’esperienza che raccolgono coloro che sopravvivono, per applicarla
poi nella lotta di liberazione del proprio luogo d’origine. E per ogni popolo
che si libera, è una fase della battaglia per la liberazione del proprio popolo
che si è vinta.
E’ il momento di mitigare le nostre divergenze e porre
tutto al servizio della lotta. Che grandi controversie agitino il mondo di chi
lotta per la libertà, lo sappiamo tutti e non possiamo certo nasconderlo.
Sappiamo anche che esse hanno acquistato un carattere e un’asprezza tali da
rendere estremamente difficile, se non impossibile, il dialogo e la
conciliazione. Cercare i modi per iniziare un dialogo che i contendenti
rifiutano è un’impresa inutile. Ma il nemico è lì, do fronte a noi, colpisce
tutti i giorni e minaccia con nuovi colpi: ma questi ci uniranno oggi, domani o
dopodomani. Coloro che lo capiranno per primi e si prepareranno a questa unità
necessaria, si guadagneranno la riconoscenza dei popoli.”
(“Scritti Scelti” R. Massari - Ed. Erre Emme Vol. II pag.
670/675)
In ciò che a noi sembra essere stata una soluzione
tattica, è stato riconosciuto il cuore del cosiddetto “superamento”. Ma che il
“foco” guerrigliero non abbia, di fatto, costituito un concreto superamento
della forma - partito è chiaro anche a chi sostiene questa
tesi.
Lo afferma anche lo stesso Massari.
“Il superamento della forma - partito acquista negli
ultimi anni di vita del Che dei connotati chiaramente militaristici, con la
teoria del “foco” guerrigliero: in questo senso, non sarebbe nemmeno corretto
parlare di “superamento”, trattandosi di due funzioni tra loro insostituibili –
politica e militare. Ma su questo torneremo.
Si può intanto osservare, tuttavia, che il modo in cui
Guevara concepisce la vita interna del gruppo si avvicina per molti versi a
quella di un organismo politico: molto dinamico sul piano organizzativo (senza
rigide gerarchie militari), democratico al proprio interno, dotato di strumenti
di formazione (le “scuole quadri” di cui parla Inti Peredo) e proiettato
all’esterno verso l’assolvimento di funzioni sociali e di propaganda politica,
strettamente legate, però alle esigenze militari del gruppo.
Il suo rifiuto della forma partito, anche se visto sotto
questa luce particolare, appare più come un esorcismo, che non un’autentica
politico-politica
Dal “Diario boliviano” sappiamo delle discussioni
interne o, per lo meno, dei tentativi compiuti per alimentare disciplinare tali
discussioni, ad opera di un “comandante” Guevara profondamente amareggiato e
deluso. Egli avverte le debolezze “umane” dei suoi “quadri” e tenta
l’impossibile per creare un’atmosfera di franca collaborazione, di fraterna
solidarietà, quindi di crescita collettiva, umana e politica E’ un tentativo
empirico di concretizzare per la prima volta i principi del suo “umanismo etico
- rivoluzionario” di cui abbiamo già parlato. La cornice politico -
organizzativa, tuttavia, si rivela ben presto inadeguata. (..)
Il Che verifica ciononostante, che all’interno del piccolo
“esercito” si riproducono quei comportamenti di incomprensione, ostilità e
competizione, che egli credeva di aver eliminato col passaggio dalla vita
“alienata” in una società borghese - dipendente, all’azione pratica, alla lotta
armata.
Il suo rifiuto della “forma - partito”, anche se visto
sotto quella luce particolare, appare più come un esorcismo, che non
un’autentica soluzione pratico – politica. Un problema, quindi, che rimane
“aperto” e irrisolto e per il quale le suggestioni semplificatrici e
tendenzialmente militaristiche dell’ultimo periodo non hanno rappresentato alcun
passo avanti, alcun arricchimento teorico.”
(“Che Guevara - Pensiero e politica dell’utopia” R. Massari -
Ed. Erre Emme pagg. 140 – 141)
Riteniamo, pertanto, lecito affermare che il
contributo del “Che” sulla questione del partito consiste sostanzialmente nel
propugnare la validità dei principi marxisti - leninisti, nonché la necessità di
produrre soluzioni adeguate alle circostanze, cioè tattiche prive di riverenze
dogmatiche nei confronti della tradizione ortodossa.
“A causa della violenza e dell’intransigenza con cui viene
difeso ciascun punto di vista, noialtri
- i diseredati - non possiamo schierarci per l’uno o per
l’altro modo in cui si manifestano le divergenze, neppure quando, a volte, ci
troviamo d’accordo con alcune posizioni di una o altra parte, o in misura
maggiore con una delle due. Nel momento della lotta, il modo in cui si
manifestano le attuali divergenze, rappresenta un fattore di debolezza, ma allo
stadio in cui esse sono arrivate, cercare di risolverle a parole è un’illusione.
La storia via via le cancellerà o ne fornirà l’esatta
soluzione.”
(“Scritti Scelti” Vol. II pag. 675)
*Pursc:
In seguito al trionfo della rivoluzione, a Cuba sono create le
ORI (Organizzazioni Rivoluzionarie Integrate) sommando al “Movimento 26 di
Luglio” il PSP (Partito Socialista Popolare), i radicali democratici del
“Direttorio Rivoluzionario” ed altre organizzazioni minori.
L’espulsione della cosiddetta “microfraccion” di Anibal
Escalante coinciderà nel 1962 con la ristrutturazione politica da cui nascerà il
PURSC (Partito Unitario della Rivoluzione Socialista di Cuba).
da granmacubaweb
Quello che siamo oggi,
ciò che saremo domani
Pedro De La Hoz
03/10/2007
E’ stata una giornata storica, dal profondo valore simbolico e
di significato straordinario quella che hanno vissuto i protagonisti
dell’assemblea che ha riunito in un teatro della capitale i principali quadri
politici e statali del paese il 3 ottobre del 1965.
L’adozione del nome di Partito Comunista di Cuba per
l’organizzazione dell’avanguardia della rivoluzione e la presentazione del primo
Comitato Centrale, guidato dal suo Primo Segretario, Fidel Castro Ruz, ha
segnato il livello di maturità del processo di radicali trasformazioni di una
società che, per la prima volta nell’emisfero occidentale, fa i primi passi
nella costruzione del socialismo, verso la dignità, l’indipendenza e la
solidarietà, principi irrinunciabili con cui pianifica la conquista della
giustizia. Quell’atto celebrativo, che poche ore dopo avrebbe avuto una grande
eco in tutto il paese, culminava una tappa fondamentale nel consolidamento
dell’avanguardia politica nell’esercizio del potere rivoluzionario.
Quattro anni prima, nell’aprile del 1961, quando una brigata
di mercenari armati, appoggiati e finanziati dal governo degli Stati Uniti
invase l’isola con l’intenzione di restaurare la dipendenza neocoloniale e il
regime di sfruttamento che aveva imperato fino all’ultimo giorno del 1958, i
cubani che respinsero l’aggressione nemica sconfiggendoli in meno di 72 ore, lo
fecero sotto la bandiera del socialismo. Seppellendo le vittime dell’attacco
aereo che preparò l’invasione, Fidel aveva proclamato il carattere socialista
della Rivoluzione cubana ed il popolo aveva controfirmato quella
definizione.
Lo stesso anno vennero create le Organizzazioni Rivoluzionarie
Integrate (ORI), in cui confluirono il Movimento Rivoluzionario 26 Luglio,
fondato e capeggiato dal Comandante in Capo, il Partito Socialista Popolare, il
cui segretario generale era Blas Roca, il Direttorio Rivoluzionario 13 Marzo,
diretto dal comandante Faure Chomón. Era stato un importante passo verso l’unità
delle forze che avevano abbattuto la tirannia e intrapreso una trasformazione
rivoluzionaria senza precedenti nella storia della nazione.
Il ruolo e il carattere dell’avanguardia politica che si
andava a creare furono definiti con la costituzione nel marzo del 1962 della
Direzione Nazionale delle ORI, con Fidel e Raúl, rispettivamente Primo e Secondo
Segretario. Il documento adottato allora dichiarò:
“Le ORI, l’avanguardia rivoluzionaria marxista -
leninista, espressione del potere politico della classe operaia e di tutto il
popolo lavoratore di Cuba, riflette l’unione delle forze e dei dirigenti
rivoluzionari che hanno reso possibile la sconfitta dell’imperialismo, della
tirannia, degli sfruttatori e la vittoria della grande Rivoluzione socialista
nella nostra patria. Questo significa un salto di qualità verso la formazione
del Partito Unito della Rivoluzione Socialista di Cuba, in cui serrano le fila
gli uomini e le donne migliori della nazione cubana.”
Nel maggio del 1963, le ORI assunsero la denominazione PURSC,
il che incluse il riconoscimento di principi quali la formazione
dell’avanguardia politica sui principi del centralismo democratico, la rigorosa
selezione dei quadri e l’osservanza dei requisiti indispensabili per l’ingresso
nel Partito. La formazione del Partito, in seguito sarebbe avvenuta seguendo la
più stretta linea delle masse, l’applicazione di un metodo autoctono e
pienamente democratico che si è dimostrato efficace.
Questo processo, iniziato nei luoghi di lavoro, le fabbriche
ed altri siti proletari, fra i contadini e le forze armate, rese a tal punto che
si rese necessario un altro salto qualitativo nell’organizzazione
dell’avanguardia.
Il 30 settembre 1965, la Direzione nazionale del PURSC convocò
i dirigenti del Partito nelle province e regioni del paese, e fece lo stesso
coni responsabili dell’amministrazione statale in tutta la nazione. In quei
giorni vennero affrontate questioni relative alle strutture e al funzionamento
della gestione governativa, per concentrarsi, nei giorni seguenti,
nell’organizzazione del Partito, la costituzione del Comitato Centrale,
l’elezione dell’Ufficio Politico, il Segretariato, le commissioni di lavoro, e
il ruolo della stampa partitica, a partire dalla fusione dei quotidiani Hoy e
Revolución in quello che sarebbe diventato l’organo ufficiale, il quotidiano
Granma. Il 3 ottobre, nel teatro Chaplin (oggi Karl Marx), sarebbero state rese
note le decisioni prese.
Una prolungata ovazione salutò la riaffermazione della guida
storica, il Comandante in Capo Fidel, eletto Primo Segretario del Comitato
Centrale, e di Raúl, Secondo Segretario.
Presentando il nuovo organo della direzione partitica, Fidel
sottolineò il fatto che “non c’è un episodio eroico nella storia della
nostra Patria degli ultimi anni che qui non sia rappresentato; non c’è
sacrificio, combattimento, prodezza, militare come civile, fatto eroico o
creatore che non sia qui rappresentato; non c’è settore rivoluzionario, sociale
che non sia rappresentato”.
Fu davvero emozionante il momento in cui Fidel fece
riferimento al nome che avrebbe portato avanti l’organizzazione politica:
“.. siamo già arrivati al fortunato punto della storia del nostro processo
rivoluzionario in cui possiamo dire che c’è un solo tipo di rivoluzionario, e
dato che è necessario che il nome del nostro Partito dica quello che siamo stati
ieri, ma anche quello che siamo oggi e che saremo domani, qual è a vostro
giudizio, il nome che deve avere il nostro partito?
Partito Comunista di Cuba!”
Prima di pronunciare quest’ultima frase, la parola comunista
fu ripetuta in coro da tutti i presenti e risuonò per il teatro. Era il sentire
delle masse, una convinzione profondamente radicata allora come oggi, e sempre.
L’organo ufficiale del Comitato centrale, Granma, sarà, disse Fidel: “Il
simbolo della nostra concezione rivoluzionaria e del nostro cammino”. La
sua prima edizione apparve il 4ottobre.
Quella giornata ha raggiunto il colmo dell’emozione quando
Fidel ha letto la lettera di commiato del Comandante Ernesto Che Guevara, di
chi, disse, possedeva tutti i meriti e tutte le virtù necessarie al livello più
alto per appartenere al Comitato Centrale.
Da quel giorno sono passati quarant’anni, il Partito è rimasto
fedele ai suoi principi ed al suo impegno col popolo. Ha mantenuto viva
l’eredità patriottica e antimperialista di José Martí, delle nostre sacre
tradizioni combattive e rivoluzionarie ed i principi di Marx, Engels e
Lenin.
E’ coerente con lo spirito di Baraguá nel difendere le
conquiste del socialismo.
Questo è il Partito delle nostre vittorie. E’ il Partito
dell’unità nazionale. E’ il Partito della Patria.
E’ il Partito del nostro futuro.