http://www.resistenze.org/ - materiali
resistenti in linea - iper-classici - 27-09-07 - n. 196
da homosapiens
http://www.ezeta.net/homosapiens/che/onu1.htm
Ernesto Che Guevara
La nostra è una lotta all'ultimo
sangue
Secondo intervento alla nona sessione dell'Assemblea Generale
dell'ONU
11 dicembre 1964
Chiedo scusa se occupo per la seconda volta questa tribuna. Lo
faccio servendomi del diritto di replica. Naturalmente, anche se non è proprio
la cosa che ci interessa di più, questa che potrebbe chiamarsi ora la
controreplica potrebbe poi essere ripresa per dar luogo all'anticontroreplica e
cosi via all'infinito.
Noi ribatteremo ad una ad una le affermazioni dei delegati che
attaccarono l'intervento di Cuba, e lo faremo nello spirito in cui ciascuno di
essi lo fece, o pressappoco.
Comincerò col rispondere al delegato di Costarica, il quale si
è rammaricato per il fatto che Cuba si sia lasciata ingannare da notizie
infondate diffuse dalla stampa scandalistica, e ha detto che il suo governo
prese immediatamente alcune misure di controllo quando la stampa libera di
Costarica, molto diversa dalla stampa schiava di Cuba, fece alcune
rivelazioni.
Forse il delegato di Costarica ha ragione. Noi non possiamo
fare un'affermazione categorica basandoci sui reportages che la stampa
imperialista, soprattutto negli Stati Uniti, ha fatto diverse volte sui
controrivoluzionari cubani. Ma se Artime fu il capo della fallita invasione di
Playa Girón, lo fu con un certo intermezzo, perché fu il capo finché arrivò alle
coste cubane ed ebbe le prime perdite, dopo di che fece ritorno negli Stati
Uniti. Nell'intermezzo, come la maggioranza dei membri di quella "eroica
spedizione liberatrice," fece il "cuoco o l'infermiere," perché questa fu la
qualifica con cui dissero di essere giunti nella nostra terra, dopo essere stati
fatti prigionieri, tutti i "liberatori" di Cuba. Artime, che adesso è diventato
di nuovo un capo, si indignò contro le accuse che gli venivano mosse. Di cosa?
di contrabbando di whisky. Perché nelle sue basi in Costarica e in Nicaragua, a
quanto disse, non vi è contrabbando di whisky: "vi si preparano i rivoluzionari
per liberare Cuba." Queste dichiarazioni sono state fatte alle agenzie di stampa
e hanno girato il mondo.
In Costarica questo fatto è stato denunciato diverse volte.
Patrioti costaricani ci hanno informato dell'esistenza di queste basi nella zona
di Tortugueras e nei dintorni e il governo di Costarica deve sapere se questo è
vero o no. Noi siamo assolutamente sicuri della fondatezza di queste
informazioni, cosi come siamo sicuri del fatto che il signor Artime, fra le sue
molteplici attività "rivoluzionarie," trovò il tempo di contrabbandare whisky,
perché sono cose normali nella genia di lavoratori che il governo di Costarica
protegge, anche se solo a metà.
Noi sosteniamo, mille e una volta, che le rivoluzioni non si
esportano. Le rivoluzioni nascono nel seno dei popoli. Le rivoluzioni sono
generate dallo sfruttamento che i governi - come quello di Costarica, quello di
Nicaragua, quello di Panamà o quello del Venezuela - fanno pesare sui rispettivi
popoli. Poi si possono, appoggiare o meno i movimenti di liberazione; li si può
aiutare, soprattutto moralmente, Ma la realtà è che le rivoluzioni non possono
essere esportate.
E questo lo diciamo non per giustificarci davanti a questa
Assemblea; lo diciamo semplicemente per ribadire un fatto scientificamente
accertato da diversi anni. Per questo ci sbaglieremmo se volessimo esportare
rivoluzioni, tanto meno poi in Costarica, dove, ad onor del vero, vi è un regime
col quale non abbiamo assolutamente nulla in comune e che non è uno di quelli
che in America si distinguono per la loro politica di oppressione diretta e
indiscriminata contro il proprio popolo.
Riguardo al Nicaragua volevamo dire al suo rappresentante,
anche se non ho capito bene tutta la sua disquisizione circa gli accenti credo
che si riferisse a Cuba, all'Argentina e forse anche all'Unione Sovietica -
spero, ad ogni modo, che il rappresentante del Nicaragua non abbia trovato un
accento nordamericano nella mia allocuzione, perché questo sì che sarebbe
pericoloso. Effettivamente, può darsi che il mio accento durante l'intervento
richiamasse alla memoria l'Argentina. Sono nato in Argentina, non è un segreto
per nessuno. Sono cubano e sono anche argentino e se le loro signorie
illustrissime dell'America latina non si adombrano, mi sento patriota
dell'America latina, di qualsiasi paese dell'America latina, nel modo più
assoluto, e qualora fosse necessario sarei disposto a dare la mia vita per la
liberazione di qualsiasi paese latinoamericano, senza chiedere nulla a nessuno,
senza esigere nulla, senza approfittare di nessuno. E questa disposizione
d'animo non caratterizza soltanto me, rappresentante temporaneo alla presente
Assemblea. L'intero popolo di Cuba ha questa stessa disposizione. L'intero
popolo di Cuba freme ogni volta che viene commessa un'ingiustizia, non soltanto
in America, ma nel mondo intero. Noi possiamo dire quello che tante volte
abbiamo ripetuto di quella famosa massima di Martí, che ogni vero uomo deve
sentire sul proprio volto il colpo inferto sul volto di qualsiasi uomo. Questi
sono i sentimenti dell'intero popolo di Cuba, signori
rappresentanti.
Ma se il rappresentante del Nicaragua vuol riguardarsi un
momento la carta geografica del suo paese o ispezionare direttamente località di
difficile accesso, può andare, oltre che a Puerto Cabezas - da dove credo non
vorrà negare che si imbarcò una parte, una gran parte se non tutta la spedizione
di Playa Girón - a Blue Filos e a Monkey Point, che credo dovrebbe chiamarsi
"Punta Mono," e che non so per quale strano accidente storico, dato che si trova
in Nicaragua, figura come Monkey Point. Lí potrà incontrare alcuni
controrivoluzionari o rivoluzionari cubani, come preferite chiamarli, signori
rappresentanti del Nicaragua. Ve ne sono di tutti i colori. Vi è anche
abbastanza whisky, non so se di contrabbando o importato direttamente. Siamo al
corrente dell'esistenza di quelle basi. E, naturalmente, non andremo a chiedere
all'OEA di indagare per controllare se vi sono o no. Conosciamo fin troppo bene
la cecità collettiva dell'OEA per andare a chiedere una cosa così
assurda.
Si dice che noi abbiamo riconosciuto di possedere armi
atomiche. Non è cosi. Credo che si tratti di un piccolo errore del
rappresentante del Nicaragua. Noi abbiamo difeso solennemente il diritto di
possederele armi che fossimo riusciti ad acquistare per la nostra difesa, e
abbiamo negato a qualsiasi paese il diritto di stabilire quale tipo di armi
dobbiamo tenere.
Il rappresentante di Panama che ha avuto la cortesia di
chiamarmi "Che," come mi chiama il popolo di Cuba, cominciò a parlare della
Rivoluzione messicana. La delegazione cubana parlava del massacro perpetrato dai
nordamericani contro il popolo panamense, e la delegazione del Panamà comincia a
parlare della Rivoluzione messicana e va avanti su questo tono, senza fare il
minimo riferimento al massacro nordamericano a causa del quale il governo di
Panamà ruppe le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti. Magari nella
terminologia della politica prevaricatrice, questo si chiama tattica; in termini
rivoluzionari, questo, signori, si chiama abiezione, in tutte lettere. Fece
riferimento all'invasione del 1959. Un gruppo di avventurieri diretti da un
barbudo da caffè, che non era mai stato sulla Sierra Maestra e che ora
si trova a Miami, o in qualche base o in qualche altro posto, riuscì ad
entusiasmare un pugno di ragazzi e ad effettuare quell'avventura. Ufficiali del
governo cubano lavorarono congiuntamente al governo panamense per liquidare
quella faccenda. È vero che partirono da un porto cubano, ed è anche vero che
discutemmo amichevolmente in quella occasione.
Di tutti gli interventi fatti qui contro la delegazione
cubana, quello che sembra inescusabile da tutti i punti di vista è l'intervento
della delegazione di Panamà. Non abbiamo avuto la minima intenzione di
offenderla, né di offendere il suo governo. Ma è vera anche un'altra cosa: non
abbiamo avuto nemmeno la minima intenzione di difendere il governo di Panamà.
Volevamo difendere il popolo di Panamà con una denuncia davanti alle Nazioni
Unite, dato che il suo governo non ha il coraggio, non ha la dignità di chiamare
qui le cose con il loro vero nome. Non abbiamo voluto offendere il governo di
Panamà, e non abbiamo voluto neppure difenderlo. Al popolo di Panamà, nostro
fratello, va la nostra simpatia e abbiamo cercato di difenderlo con la nostra
denuncia.
Fra le affermazioni del rappresentante del Panamà ve n'è una
di grande interesse. Dice che nonostante le bravate cubane, la base ce l'abbiamo
ancora lì. Nel nostro intervento, che dovrebbe essere ancora fresco nella
memoria dei delegati, bisogna riconoscere che abbiamo denunciato più di 11 mila
e trecento provocazioni dalla Base, di ogni tipo, che vanno da alcune piccolezze
fino a colpi di arma da fuoco. Abbiamo spiegato che non vogliamo accettare le
provocazioni, perché sappiamo le conseguenze che esse possono portare per il
nostro popolo; abbiamo posto il problema della Base di Guantánamo in tutte le
conferenze internazionali e abbiamo sempre reclamato il diritto del popolo di
Cuba a rientrare in possesso di quella base con mezzi pacifici.
Non abbiamo mai fatto delle bravate, perché non ne facciamo,
signor rappresentante di Panamà, perché gli uomini come noi, che sono disposti a
morire, che dirigono un popolo disposto a morire per difendere la sua causa, non
hanno affatto bisogno di fare bravate. Non abbiamo fatto bravate a Playa Girón;
non abbiamo fatto bravate all'epoca della crisi d'ottobre, quando tutto il
popolo si trovò di fronte alla eventualità del fungo atomico con cui i
nordamericani minacciavano la nostra isola, e tutto il popolo si recò nelle
trincee, si recò in fabbrica per aumentare la produzione. Non ci fu un solo
passo indietro, non ci fu una sola lamentela, e migliaia e migliaia di uomini
che non appartenevano alle nostre milizie entrarono volontariamente in esse nel
momento in cui l'imperialismo nordamericano minacciava di sganciare una bomba
atomica o diverse bombe atomiche o di sferrare un attacco atomico contro Cuba.
Questo è il nostro paese. E un paese come questo, i cui dirigenti e il cui
popolo - lo posso dire qui a fronte alta - non hanno la minima paura della morte
e conoscono bene la responsabilità dei propri atti, non fanno mai bravate. Però
lotta fino alla morte, signor rappresentante di Panamà, se è necessario; e se
sarà aggredito, tutto il popolo di Cuba, insieme al suo governo, lotterà fino
alla morte.
Il signor rappresentante della Colombia, in tono misurato -
anch'io debbo cambiare tono - asserisce che vi sono due affermazioni inesatte:
una, l'invasione yankee del 1948 a seguito dell'assassinio di Jorge Eliécer
Gaitán, e dal tono della voce del signor rappresentante della Colombia, si
avverte che sente moltissimo quella morte: ne è profondamente
toccato.
Noi ci riferivamo, nel nostro discorso, ad un intervento
precedente che forse il rappresentante della Colombia ha dimenticato:
l'intervento nordamericano per la separazione di Panamà. Poi ha detto che non vi
sono forze di liberazione in Colombia, poiché non c'è niente da liberare. In
Colombia, dove si parla con tanta naturalezza della democrazia rappresentativa e
vi sono soltanto due partiti politici che da anni si dividono il potere metà per
ciascuno in base ad una democrazia fantastica, l'oligarchia colombiana è giunta
all'apice della democrazia, potremmo dire. Si divide in liberali e conservatori
e in conservatori e liberali; quattro anni gli uni e quattro anni gli altri.
Nulla cambia. Queste sono le democrazie elettorali; queste sono le democrazie
rappresentative che il signor rappresentante della Colombia difende, magari con
tutto l'entusiasmo di cui è capace, in un paese dove si dice che vi sono stati
due o trecentomila morti a causa della guerra civile che à divampata in Colombia
dopo la morte di Gaitán. Eppure si dice che non c'è niente da liberare. Non ci
sarà neppure nulla da vendicare; non ci saranno migliaia di morti da vendicare;
non ci sarà stato l'esercito a compiere massacri di gente del popolo e
l'esercito non sarà più quello che massacra il popolo dal 1948. Quello che c'è
adesso lo hanno cambiato un po', e i suoi generali sono diversi, o sono diversi
i comandi e obbediscono ad un'altra classe, diversa da quella che massacrò il
popolo durante quattro anni di dura lotta e continuò di tanto in tanto a
massacrarlo per molti anni ancora. E si dice che non c'è niente da liberare. Non
ricorda il signor rappresentante della Colombia che a Marquetalia vi sono forze
che gli stessi giornali colombiani hanno chiamato "La Repubblica Indipendente di
Marquetalia" e che uno dei dirigenti è stato soprannominato "Tiro Fijo" per
cercare di farlo passare per un volgare bandolero? E non sa che lì si è svolta
una grande operazione con l'impiego di 16.000 uomini dell'esercito colombiano,
assistita da militari nordamericani, e con l'utilizzazione di una serie di mezzi
come gli elicotteri e, probabilmente - benché non possa assicurarlo - con aerei,
anche dell'esercito nordamericano?
Sembra che il signor rappresentante della Colombia non sia
molto informato perché vive lontano dal suo paese, oppure che la sua memoria gli
giochi dei brutti scherzi. Inoltre, il signor rappresentante della Colombia ha
detto con tanto candore che se Cuba fosse rimasta nell'orbita degli stati
americani sarebbe un'altra cosa. Non sappiamo bene cosa intendesse con questa
storia dell'orbita; ma l'orbita ce l'hanno i satelliti, e noi non siamo dei
satelliti. Non siamo in nessuna orbita; siamo fuori orbita. Certo che se fossimo
stati nell'orbita degli stati americani avremmo fatto qui un discorso mellifluo
di poche paginette in uno spagnolo naturalmente molto più raffinato, molto più
ridondante e aggettivato, e avremmo parlato della bellezza del sistema
interamericano e della nostra difesa ferma e irremovibile del "mondo libero"
diretto dal centro dell'orbita che tutti voi sapete chi è. Non ho bisogno di
nominarlo.
Anche il signor rappresentante del Venezuela ha impiegato un
tono moderato, anche se un tantino enfatico. Ha detto che le accuse di genocidio
sono infamanti e che era veramente incredibile che il governo cubano si
occupasse di faccende del Venezuela mentre praticava la repressione contro il
suo popolo. Dobbiamo ripetere qui una verità che abbiamo sempre detto davanti a
tutto il mondo: fucilazioni; si, abbiamo fucilato; fuciliamo e continueremo a
fucilare finché sarà necessario. La nostra lotta è una lotta a morte. Noi
sappiamo quale sarebbe il risultato di una battaglia perduta e anche i
gusanos debbono sapere qual è il risultato della battaglia che hanno
perso oggi a Cuba. Noi viviamo inqueste condizioni perché esse ci sono imposte
dall'imperialismo nordamericano. Però noi non commettiamo assassinii, come ne
sta commettendo, ora, in questo momento, la polizia politica venezuelana che
credo venga chiamata Digepol, se non sono male informato. Quella polizia ha
commesso una serie di atti di barbarie, di fucilazioni, cioè degli assassinii,
gettando poi i cadaveri degli uccisi chissà dove. Questo è accaduto, per
esempio, nei confronti di studenti, ecc. La stampa libera del Venezuela venne
sequestrata diverse volte in questi ultimi tempi per aver dato notizie di questo
tipo. Gli aerei militari venezuelani, sotto la guida di "consiglieri" yankee,
quelli si che bombardano vaste zone contadine, uccidono contadini; la ribellione
popolare cresce in Venezuela e ne vedremo i risultati fra qualche
tempo.
Il signor rappresentante del Venezuela è indignato. Io ricordo
la indignazione dei signori rappresentanti del Venezuela quando la delegazione
cubana a Punta del Este lesse i memoriali segreti che i portavoce degli Stati
Uniti d'America ebbero modo di farci pervenire naturalmente in modo indiretto.
Allora leggemmo davanti all'assemblea di Punta del Este l'opinione che avevano i
signori rappresentanti degli Stati Uniti del governo venezuelano. Dicevano
qualcosa di molto interessante che - mi si perdoni l'inesattezza perché non
posso citare ora testualmente - suona più o meno così: "O questa gente cambia o
qui vanno a finire tutti al muro." Il muro è il modo con cui si suol definire la
Rivoluzione cubana; il muro della fucilazione.
I membri dell'ambasciata nordamericana andavano dicendo, in
documenti certamente non falsi, che quello sarebbe stato il destino
dell'oligarchia venezuelana se non avesse cambiato metodi, e così veniva
accusata di latrocinio e le veniva mossa tutta una serie di terribili accuse di
quel tipo.
La delegazione venezuelana si indignò moltissimo.
Naturalmente, non si indignò con gli Stati Uniti; si indignò con la delegazione
cubana, che dovette farle presente l'opinione che gli Stati Uniti avevano del
suo governo e anche del suopopolo. Sì, l'unica risposta a queste accuse fu che
il signor Moscoso, colui che concesse graziosamente i documenti in modo
indiretto, fu rimosso dal suo incarico.
Ricordiamo queste cose al signor rappresentante del Venezuela
per sottolineare il fatto che le rivoluzioni non si esportano: le rivoluzioni
scoppiano e la rivoluzione venezuelana scoppierà a suo tempo e quelli che non
avranno un aereo pronto a loro disposizione - come accadde a Cuba - per scappare
a Miami o in altri posti, dovranno affrontare lì quello che il popolo
venezuelano deciderà. Non gettino la colpa su altri popoli, su altri governi, di
quello che può accadere in casa loro. Voglio consigliare al signor
rappresentante del Venezuela di leggere, se gli interessano, alcune
interessantissime opinioni sulla guerriglia e sul modo di combatterla, che
alcuni degli elementi più intelligenti del COPEI hanno scritto e pubblicato nel
suo paese. Vedrà che non è con le bombe e gli assassinii che si può combattere
un popolo in armi. Ma che è proprio questo atteggiamento che aumenta la
coscienza rivoluzionarla dei popoli. Lo so, nonbisognerebbe essere cosí gentili
con unnemico dichiarato da indicargli la strategia antiguerrigliera, ma lo
facciamo lo stesso perché sappiamo che è talmente ottuso che non prenderà in
considerazione il nostro consiglio.
Rimane il signor Stevenson. Peccato che non sia qui. Ci
rendiamo perfettamente conto del motivo per cui il signor Stevenson non è
presente.
Abbiamo ascoltato, ancora una volta, le sue dichiarazioni
"fondamentali" e "serie" degne di un intellettuale par suo. Dichiarazioni
identiche, enfatiche, "fondamentali" e "serie" furono fatte nella prima
commissione il 15 aprile 1961, nel corso della sessione 1149 A, esattamente il
giorno in cui aerei pirati con contrassegni cubani - partiti da Puerto Cabezas,
mi par di ricordare, dal Nicaragua o forse dal Guatemala, non si è riusciti a
capirlo bene - bombardarono gli aeroporti cubani e per poco nonannientarono la
nostra forza aerea. Gli aerei, dopo aver effettuato la loro "prodezza" a
mansalva, atterrarono negli Stati Uniti. Davanti alla nostra denuncia il signor
Stevenson disse cose molto interessanti.
Mi si perdoni la lunghezza del mio intervento, ma credo che
valga la pena ricordare ancora una volta le frasi "sostanziali" di un così
illustre intellettuale come il signor Stevenson, pronunciate appena quattro o
cinque giorni prima che il signor Kennedy dicesse tranquillamente di fronte alla
faccia del mondo che si assumeva tutta la responsabilità dei fatti accaduti a
Cuba. Questa è, credo, soltanto una breve rassegna perché dato il poco tempo a
disposizione non abbiamo potuto raccogliere gli atti precisi di ciascuna delle
riunioni. Dicono cosi:
"Le accuse formulate contro gli Stati Uniti dal rappresentante
di Cuba, a proposito dei bombardamenti che, a quanto si dice, sono stati
effettuati contro gli aeroporti dell'Avana e di Santiago e sul Quartier generale
dell'Aviazione Cubana a San Antonio de los Baños, sono completamente prive di
fondamento."
E il signor Stevenson le respinge
categoricamente.
"Come ebbe a dichiarare il presidente degli Stati Uniti, le
Forze Armate degli Stati Uniti non interverranno in alcuna circostanza in Cuba e
gli Stati Uniti faranno tutto il possibile affinché nessun americano partecipi a
qualsiasi azione contro Cuba."
Un anno più tardi abbiamo avuto la gentilezza di restituirgli
il cadavere di un pilota caduto in terra cubana. Non quello del maggiore
Anderson; un altro caduto in quel periodo.
"Riguardo agli avvenimenti che stando a quanto si dice si sono
verificati questa mattina e nella giornata di ieri, gli Stati Uniti prenderanno
in esame le richieste di asilo politico, in conformità con la procedura
abituale."
Avrebbero accordato asilo politico alla gente che essi stessi
avevano mandato. "Coloro che credono nella libertà e cercano asilo contro la
tirannia e l'oppressione troveranno sempre comprensione e favorevole accoglienza
da parte del popolo nordamericano e del governo degli Stati Uniti."
Cosi continua la sua lunga perorazione il signor
Stevenson.
Due giorni dopo sbarcano a Playa Girón le schiere della
Brigata 2506, che sicuramente resterà famosa per il suo "eroismo" negli annali
della storia d'America. Due giorni dopo la brigata eroica si arrende quasi senza
aver perso un sol uomo e allora comincia quella sfilata - che alcuni di voi
avranno conosciuto - di uomini vestiti con l'uniforme di gusanos che ha
l'esercito degli Stati Uniti, che dicevano di essere cuochi o infermieri o che
erano venuti come marinai in quella spedizione.
Fu allora che il presidente Kennedy ebbe un atteggiamento
onesto. Non volle sostenere una politica falsa cui nessuno credeva e disse
chiaramente che assumeva la responsabilità di tutto quello che era accaduto a
Cuba. Si assunse la responsabilità, certo; ma l'organizzazione degli Stati
Americani non lo ritenne responsabile né gli chiese di render conto di nessuna
responsabilità, secondo quanto ci risulta. Si trattò di una responsabilità di
fronte alla propria storia e davanti alla storia degli Stati Uniti, perché
l'Organizzazione degli Stati Americani stava in orbita. Non aveva il tempo di
occuparsi di queste cose.
Ringrazio il signor Stevenson per il suo riferimento storico
alla mia lunga vita di comunista e di rivoluzionario che culmina a Cuba. Come
sempre, le agenzie nordamericane, non solo di notizie, ma anche di spionaggio,
confondono le cose. La mia storia di rivoluzionario è corta e comincia realmente
nel Granma e continua fino a questo momento.
Mi sono iscritto al Partito Comunista solo da quando sono a
Cuba e possiamo tutti proclamare davanti a questa assemblea il
marxismo-leninismo, che la Rivoluzione cubana segue come teoria per l'azione.
Quel che conta non sono i riferimenti personali; quello che conta è che il
signor Stevenson, ancora una volta, dice che non vi è stata violazione delle
leggi, che gli aerei non partono da qui, e tanto meno le navi, evidentemente,
che gli attacchi pirata sorgono dal nulla, che tutto sorge dal nulla. Egli si
serve della stessa voce, della stessa sicurezza, dello stesso accento di
intellettuale serio e deciso che usò nel 1961 per sostenere, con enfasi, che
quegli aerei cubani erano partiti dal territorio cubano e che si trattava di
esiliati politici, prima di essere smentito. Naturalmente, mi spiego ancora una
volta perché il distinto collega signor Stevenson abbia dovuto ritirarsi da
questa assemblea.
Gli Stati Uniti sostengono di poter effettuare i voli di
vigilanza perché sono stati approvati dall'Organizzazione degli Stati Americani.
Cos'è l'organizzazione degli Stati Americani per approvare voli di vigilanza sul
territorio di un paese? Qual è il ruolo svolto dalle Nazioni Unite? A cosa serve
l'organizzazione se il nostro destino deve dipendere dall'orbita, come l'ha ben
definita il signor rappresentante della Colombia, dell'Organizzazione degli
Stati Americani? Questa è una domanda molto seria e molto importante che bisogna
porre davanti a questa Assemblea. Perché noi, che siamo un piccolo paese, non
possiamo accettare, in nessun modo, il diritto di un paese potente a violare il
nostro spazio aereo; e ancora a minor ragione, con l'insolita pretesa che i suoi
atti hanno il valore giuridico che gli dà l'Organizzazione degli Stati Americani
la quale ci ha espulsi dal suo seno e alla quale non siamo legati da alcun
vincolo. Sono molto serie le affermazioni del rappresentante degli Stati
Uniti.
Voglio dire unicamente due piccole cose. Non voglio occupare
tutto il tempo dell'Assemblea in queste repliche e controrepliche.
Dice il signor rappresentante degli Stati Uniti che Cuba getta
sul blocco la colpa del suo disastro economico quando questo non è che la
conseguenza della cattiva amministrazione del governo. Quando nulla di tutto ciò
era accaduto, quando a Cuba si cominciò a promulgare le prime leggi nazionali,
gli Stati Uniti iniziarono a prendere misure economiche repressive, come la
soppressione unilaterale, senza alcunadistinzione, della quota di zucchero che
tradizionalmente vendevamo sul mercato nordamericano. Inoltre, rifiutarono di
raffinare il petrolio che avevamo comperato dall'Unione Sovietica facendo uso di
un legittimo diritto e protetti da tutte le leggi possibili.
Non starò a rifare la lunga storia di tutte le aggressioni
economiche degli Stati Uniti. Dirò soltanto che malgrado queste aggressioni, con
l'aiuto fraterno dei paesi socialisti, soprattutto dell'Unione Sovietica, noi
siamo andati avanti e continueremo a farlo; che anche quando condanniamo il
blocco economico, sappiamo che esso non ci fermerà e che, accada quel che
accada, continueremo a rappresentare un piccolo dolor di testa ogni volta che
verremo a questa Assemblea o a qualsiasi altra, per chiamare le cose con il loro
nome e i rappresentanti degli Stati Uniti gendarmi della repressione nel mondo
intero.
Infine, à vero che è stato posto l'embargo sui medicinali
diretti a Cuba. Ma se non è cosi, il nostro governo nei prossimi mesi farà una
richiesta di medicinali qui, negli Stati Uniti, e manderà un telegramma al
signor Stevenson, che il nostro rappresentante leggerà nella commissione o nel
posto più opportuno, affinché si sappia se sono vere o meno le accuse mosse da
Cuba. Ad ogni modo fino ad ora lo sono state. L'ultima volta che abbiamo voluto
comprare dei medicinali per un valore di 1.500.000 dollari, medicinali che non
sono fabbricati a Cuba e che sono necessari unicamente per salvare delle vite,
il governo nordamericano intervenne e impedì la vendita.
Poco tempo fa il presidente della Bolivia disse ai nostri
rappresentanti, con le lacrime agli occhi, che doveva rompere con Cuba perché
gli Stati Uniti lo costringevano a far ciò. Cosi allontanarono da La Paz i
nostri rappresentanti. Non posso dire che quell'affermazione del presidente
della Bolivia fosse vera. Certo è che noi gli abbiamo detto che questa
transazione con il nemico non gli sarebbe valsa a nulla, perché il suo destino
era già segnato.
Il presidente della Bolivia, col quale non avevamo e non
abbiamo nessun legame, col cui governo non facemmo altro che mantenere le
relazioni che si debbono mantenere con i popoli d'America, è stato deposto da un
colpo di stato militare. Adesso lì si è stabilita una giunta di
governo.
Ad ogni modo, per gente come questa, che non sa cadere con
dignità, vale la pena di ricordare quello che disse, mi pare, la madre
dell'ultimo califfo di Granata a suo figlio, che piangeva per aver perso la
città: "Fai bene a piangere come una donna quello che non hai saputo difendere
come un uomo."
Il presente testo è tratto dal libro “Ernesto Che
Guevara: il poeta sei tu”