IL PARTITO- Linea Rossa
DA MARXISTI LENINISTI NELLA RIFONDAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO

Documento politico finale IV Congresso sezionale  circolo Prc ‘P.Secchia’,
30 gennaio 1999

Il circolo ‘Pietro Secchia’ di Leporano che, dopo le vicende che decretarono il commissariamento del circolo il 24 novembre 1997 da parte della Federazione di Taranto, ha aderito nuovamente al Partito della Rifondazione Comunista con il documento del 13 ottobre 1998, legge e interpreta la vicenda nazionale della scissione, il passaggio all’opposizione del partito al governo del centro-sinistra, come elementi emblematici di una fase storica per i comunisti del nostro paese e in cui, accanto a fattori negativi, quali l’ancora scarso radicamento di massa e la crisi della militanza, ravvisa anche elementi positivi, quali la demistificazione di una cultura attendista e opportunista, biecamente carrierista, che ha contribuito potentemente al rallentamento finora del processo rifondativo del partito comunista italiano.  In questo senso, e solo in questo senso, il circolo ha celebrato il proprio Congresso con la soddisfazione di aver contribuito a questa indispensabile battaglia, fiero del proprio comportamento politico coerente, rivendicando lo stesso davanti alle prove storiche che sono sotto gli occhi di tutti: coloro che discettavano di ‘unità del partito’ e comminavano pretestuosamente sanzioni, sono stati gli artefici della più becera e insulsa delle scissioni del movimento comunista italiano, allontanandosi per sempre, almeno per quello che ci riguarda, dallo stesso movimento.
Analizzando la fase storico-politica attuale, e non solo nazionalmente, crediamo che la stessa consegni ai comunisti marxisti leninisti due priorità:
- la formazione dei quadri
- la ‘linea di massa’

E’ necessaria una serrata indagine analitica della nuova composizione della classe: dall’operaio del fordismo al nuovo precario del sottosalario; ma la stessa ‘inchiesta’ la si svolge occupandosi dei problemi materiali, quelli che si vivono in fabbrica e fuori, non teorizzando su di essi in maniera sterile. Riconnettere la crisi di deindustrializzazione fordista al progetto di polo imperialista europeo, ecco qual è il nostro compito.

a) Per organizzare una ‘controffensiva’ alle classi dominanti, è necessario unire quanto più è possibile forze soggettive; ai comunisti tocca oggi unire, costruire, non dividere o separarsi in base ad astratte opzioni o, peggio, in base alle convenienze elettoralistiche e di carriera.

b) La lotta di classe è dura, difficile, ma noi la vogliamo condurre sino in fondo insieme ai tanti compagni che non vogliono perdere però la dimensione attuale dei limiti del movimento comunista nazionale e internazionale e sono convinti che debbono dimostrare di vincere nei fatti le contraddizioni, anche aspre, che si aprono in questo momento storico così difficile.

 Ne consegue che la capacità aggregativa della rifondazione sarà direttamente proporzionale alla volontà delle forze soggettive rivoluzionarie di alienare progressivamente se stesse in un progetto più ampio di ricomposizione del blocco storico e sociale strutturalmente antagonista:  assumendo la ‘linea di massa’ come presupposto del proprio agire politico. L’istituto dell’autocritica, deve sempre e continuamente essere esercitato alla prova dei fatti.

1. La crisi irreversibile del togliattismo degenerato

Il nodo teoria-prassi è quello che ha fatto precipitare definitivamente la contraddizione in Rifondazione, ma ha al contempo creato una prospettiva alternativa positiva.
– La crisi del riformismo classico ha accelerato la crisi di egemonia del togliattismo: il partito di Cossutta e della pletora dei suoi luogotenenti, la gran parte annidati nelle istituzioni e viziati di elettoralismo carrierista e di letture iperpoliticiste della società, rivendica paradossalmente la tradizione comunista, i suoi simboli, le sue icone; il mito della ‘sezione’, lo spirito di ‘partito’, la disciplina caporalesca, il tutto è reso funzionale a una linea politica perdente, rinunciataria, dove la tattica nasconde l’inconsistenza di una strategia, sempre  più aderendo ai luoghi della politica borghese e per questo rinculando paurosamente sul terreno imposto dall’avversario e dunque sempre più  compatibilizzandosi nel sistema.
E’ la crisi del riformismo classico il segno distintivo del partito di Cossutta, come l’anima egemone del Pds e dei suoi satelliti, cioè la degenerazione del togliattismo. Un partito, dunque, destinato a sparire con la fine implacabile dei margini che lo hanno generato.
Esso vive, inoltre, una contraddizione nel proprio paradosso storico. Cossutta considera la fase come ‘difensiva’, perché manca un movimento di massa che possa in qualche modo supportare l’offensiva politica dei comunisti e una linea aggressiva e coerentemente antagonista. Ma una linea politica ‘compatibilista’ e sul terreno scelto dall’avversario [l’agone elettorale del maggioritario, il ricatto delle destre (politiche, s’intende, di nomenclatura, che quelle sociali sono ben all’offensiva!)] come potrà mai far assolvere ai comunisti quel ruolo di avanguardie che proprio la  tradizione leninista consegna loro?   In questo modo, essi, al modo del Togliatti del periodo 1956/64 (che è il modello di Pci cossuttiano già dunque epurato della generosa generazione dei ‘resistenti’ e dei combattenti proletari alla Secchia, nonchè viatico alla sua degenerazione definitiva e al suo autoscioglimento) si rendono direttamente responsabili del riflusso generalizzato del movimento e dell’incapacità dei comunisti (o presunti tali) di organizzare la resistenza delle masse popolari e dirigerle verso lo sbocco socialista. E’ per questo, del resto, che per i riformisti le fasi sono sempre ‘difensive’.
- Nel Prc bisogna rendere la cultura politica marxista e leninista egemone di fatto.
Il vuoto di iniziativa concreta, cioè l’incapacità del partito di essere avanguardia leninista nella società – è stato finora riempito dalla capacità ‘simbolica’ del leader di ‘dare voce’ agli spezzoni sociali non rappresentati e non garantiti. Ciò di cui c’è bisogno, dopo la possibilità di demistificazione del ‘cossuttismo’ come degenerazione del togliattismo, è di un partito comunista di quadri e di massa, con una ‘linea di massa’ costantemente verificata dall’esperienza, con un agire politico democratico all’interno che porti al processo decisionale e per l’estensione massima della democrazia sociale e politica (vedi par.4), che sappia calibrare le battaglie per obiettivi immediati e a medio termine con la strategia più complessiva, la prospettiva del socialismo; che abbia forza nella ricomposizione del blocco storico sociale dell’antagonismo strutturale al dominio capitalista.

2. Rifondazione comunista per la prospettiva socialista
La fase storico-politica attuale ha bisogno, sotto la spinta incalzante dei marxisti e leninisti, di uno scatto ulteriore e forte nella rifondazione comunista radicata nelle masse popolari e di quadri  preparati e rigorosi nella coerenza dei princìpi. La edificazione di un moderno partito comunista di massa è sì essenziale e vitale per il nostro futuro, ma perché questa edificazione sia reale e produttiva, ha bisogno di alcune caratteristiche imprescindibili.
Lavorare per una prospettiva, non ha mai significato massimalismo ideologico: non ci interessa l'articolo di fede, ma perché l'anticapitalismo non torna ad essere indicato positivamente, come socialismo, magari come processo e non sistema, ma socialismo? Siamo fieri avversari di coloro che dicono di voler aspettare i tempi maturi, quando la coscienza di classe sarà talmente avanzata da permettere la definitiva emancipazione delle classi subalterne: questa è la posizione dell'attendista. Ma, insistiamo, un comunista deve lavorare per il socialismo, per la costruzione di un processo rivoluzionario, lavorare e lavorare tanto, ma consapevole di dover edificare il socialismo. Di dover e di poter edificare il socialismo, sconfiggendo tutto ciò che la borghesia  presenta come invincibile.

3. Ruolo del PRC in questa fase
Il progetto si rende discriminante innanzitutto contro l’autonomia del politico, l’infiltrazione carrierista e opportunista e tutte le forme del moderno revisionismo.  Il partito che dovrà svilupparsi dall’esperienza dovrà trovare nuove modalità di democrazia interna e di base che renda impossibile la fissazione  imperitura della dicotomia dirigenti/diretti, su cui insuperate sono le pagine gramsciane nella elaborazione comunista italiana. Contro l’eclettismo e per la disciplina cosciente, certo, ma nella costante verifica della prassi della ‘linea di massa’, che sola fa svolgere ai comunisti rivoluzionari il loro ruolo di avanguardie nella lotta di classe. Il ceto politico ‘professionalizzato’, il partito degli eletti, non è mai stato né sarà mai caratterizzazione di un autentico partito comunista. Di converso, non lo è stato né lo sarà mai lo spontaneismo e la disarticolazione rispetto ai valori fondanti della necessità e urgenza della costruzione della società socialista.
La testimonianza senza incisività sociale e politica è il regalo che la borghesia è disposta a concedere in cambio del proprio predominio assoluto, ben sapendo che le sue armi migliori, vedi negli Stati Uniti d’America, per rendere l’antagonismo non pericoloso per il proprio potere, è, da una parte il ‘brodwerismo’, sintomatologia dell’integrazione del proletariato ai valori della cultura dominante, e dall’altro il cenacolo testimoniale, autogratificante e consolatorio.
Il progetto deve essere discriminante per diventare aggregante nei confronti della reale società degli oppressi e degli sfruttati,  per i ceti intermedi sempre più respinti ai margini della rappresentanza,  per i proletari e i proletarizzati esclusi dal potere politico ed economico perché è su questa esclusione che si basa il dominio oligopolistico e monopolistico della borghesia imperialista.
Il partito di quadri e di massa che è necessario ed urgente ricostruire deve diventare il prodotto e l’interprete delle contraddizioni capitalistiche all’avvio del nuovo millennio. La sua modernità gli sarà data dalla ricchezza della sua esperienza storica.
Per questo, ogni forma di antimodernismo, riguardo ad es. alle forme nuove della comunicazione mediatica di massa, è da respingere. Riappropriarsi degli strumenti di produzione significa anche riappropriarsi degli strumenti della produzione informativa, formativa e informatica. Per questo, è indispensabile che i comunisti ripensino ad una diversa articolazione di una società democratica e socialista. Senza di questo, o si ritorna al primitivismo fuori tempo massimo e oggettivamente reazionario, o si cade nelle spire delle forme falsamente democratiche della società borghese  (l’uso dei media in funzione leaderistica e subalterna). Le nuove forme della comunicazione di massa non azzerano le altre già consolidate. Le integrano. Chi pensa dunque che il volantinaggio e il caseggiato siano forme di comunicazione politica superate da Internet, sbaglia di grosso. E sbaglia di grosso anche chi pensa che le nuove possibilità infotelematiche siano inutili, dannose o, peggio, ‘strumento del nemico’ (per gli integralisti religiosi ‘del demonio’).
Si tratta dunque, attraverso la creazione di uno strumento mediatico, di impostare la direzione operaia e di unificare in una piattaforma comune gli obiettivi della lotta.
Le stesse parole d’ordine per la battaglia quotidiana non possono essere mutuate dalla cultura pansindacalista, ma inserite nel più generale progetto di rivolgimento sociale. Altrimenti, terminate le battaglie e con gli attuali rapporti di forza, si torna  più soli di prima.

4. Il nesso democrazia/socialismo
La democrazia nei posti di lavoro, la democrazia sociale, la democrazia istituzionale: i comunisti devono ripensare al nesso democrazia-socialismo. La borghesia imperialista e i suoi corifei strillano che la storia (con la maiuscola, naturalmente) ha reso impossibile quel nesso. La storia ci ha consegnato invece l’impossibilità del rapporto democrazia/libero mercato.  E’ la democrazia rappresentativa della delega al ceto politico professionalizzato che è in crisi, e in legame stretto con la crisi per sovrapproduzione.  E’ questa crisi che può farci riconsiderare la nobiltà democratica del processo rivoluzionario, senza l’attesa messianica e meccanicistica della rottura storica. Ogni rottura, quella da cui proveniamo, la rottura dell’Ottobre ’17, ha dietro di sé un processo. Costruito con lena dalle avanguardie comuniste nella lotta di classe. Il soviettismo è la forma storica leninista del rapporto democrazia-socialismo. L’egemonia operaia e proletaria va costruita oggi, dunque, in un processo democratico anticapitalista nel cuore dell’occidente imperialistico. Il nodo strategico che siamo tenuti a sciogliere è quello democrazia/comunismo, se quest’ultimo è inteso innanzitutto nell’accezione gramsciana di ‘società integralmente autoregolata’; solo una compiuta democrazia – “partecipazione e potere popolare” - , di cui anche Mao nella teorizzazione delle società di ‘nuova democrazia’ nelle fasi di passaggio, può sviluppare la transizione al socialismo come autoeducazione di massa all’esercizio del potere politico in una tendenziale e progressiva soppressione della proprietà privata dei mezzi di produzione e dello sfruttamento di classe. Lo sciogliersi di quel nodo teorico-pratico, per i comunisti del XXI secolo, può permettere così:
– sia di stabilire momenti di tattica politica coerenti con un disegno strategico. Senza menare scandalo che in Italia, ad es.,  i comunisti diventino i propugnatori dell’inveramento dei princìpi costituzionali dell’uguaglianza e della piena sovranità popolare e i difensori di quei diritti civili che, conquistati strumentalmente e storicamente dalla borghesia, è la borghesia stessa oggi a calpestare e rovesciare (vedi legge-truffa maggioritaria);
– sia di esprimere un giudizio articolato e dialettico, dunque marxiano e leninista, sulle esperienze del socialismo ‘reale’ di questo secolo al tramonto, società dalla transizione ‘bloccata’ e consunte per la pervicace opera congiunta del moderno revisionismo, dell’assalto e accerchiamento imperialistico e della carenza di democrazia partecipata in senso ‘soviettista’;
– sia di esprimere in termini di fallimento storico l’esperienza socialdemocratica e riformista, non a caso oggi approdata al neoliberismo e al liberalismo come fondamento d’origine costitutivo, con tutte le sue aporie teoriche e pratiche, esaminate e criticate già un secolo e mezzo fa da Marx ed Engels.
 

Alla premessa, ai punti 1., 2., 3., 4., del presente documento, i comunisti del circolo Prc di Leporano invitano, in base al bilancio della propria esperienza,  alla riflessione tutti i compagni impegnati nella rifondazione del partito comunista italiano e impegnano se stessi, in qualità di marxisti leninisti, a rendere coerenti le proprie azioni e le proprie ulteriori elaborazioni e risoluzioni, in campo nazionale e nell’ambito del proprio territorio.
Si chiede di allegare il presente documento ai verbali per il Congresso nazionale.
 

Esito voto: unanimità
 
 



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