linea Rossa
(nr.15 - aprile-maggio 2000)

 

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E' necessaria la fine e il superamento del centrosinistra

Stralci dalla relazione di Fausto Bertinotti alla direzione nazionale del PRC del 20 aprile 2000

(..) Il centrosinistra fallisce come idea di società e come disegno politico.

E' necessaria la fine e il superamento del centrosinistra

Di fronte a questo fallimento, dobbiamo riprecisare i punti della nostra strategia politica.
In primo luogo dobbiamo proporci di determinare la fine dell'esperienza politica del centrosinistra. Quest'ultimo infatti è diventato una progione per le possibilità di spostamento a sinistra del paese. Per raggiungere questo obiettivo dobbiamo muoverci contemporaneamente su tre fronti.

Il primo è quello di lavorare alla costruzione di una sinistra plurale, cioè riaprire il dialogo tra lasinistra riformista, quella ecologista, quella di alternativa. Al centro di questo dialogo deve porsi la ricerca di una nuova analisi e di un nuovo discorso
 sulla società italiana e sulle classi del nostro paese. Dobbiamo cioè porci il problema della determinazione di un nuovo programma di governo delle sinistre. Ma questo non significa nella maniera più assoluta, la ricerca immediata di alleanze che sfocino in formule di governo. Significa invece affrontare una ricerca di fondo, con il giusto passo lungo che questa richiede. Le forze della sinistra moderata possono scegliere di andare ancora più a destra, e in effetti, stando anche alle ultime dichiarazioni, così stanno facendo, ma noi abbiamo il dovere di proporre loro una scelta opposta e di costringerle al confronto.
Il secondo è costituito dall'accelerazione che dobbiamo imprimere alla costruzione di una sinistra alternativa, antiliberista, anticapitalista. Il Prc esce rafforzato da questa campagna elettorale, ma proprio per questo dobbiamo riaffermare il punto di vista con il quale vi siamo entrati. Il contributo del nostro partito è indispensabile, però è insufficiente ai fini della costruzione di una sinistra di alternativa. Non dobbiamo assolutamente ricavare da questo positivo risultato elettorale un' idea di auto sufficienza. Una volta che è chiarita e affermata nei fatti la possibilità e la necessità dell'esistenza del nostro partito, una volta che si è deterrninato il principio della reciprocità nei rapporti,  siamo aperti a qualunque forma dl confronto e di collaborazione, senza fossilizzarci in modalità organizzative, che possono essere le più ampie e le più diverse.
Il terzo è rappresentato da quella che chiamerei la costruzione di una sinistra di società. Si tratta di contribuire alla crescita di un arcipelago di forze, per costruire quelle che Gramsci avrebbe chiamato le «casematte» della società civile.
Qui incontriamo una questione gigantesca, quella del sindacato.
Propongo che in autunno venga convocata una conferenza di lavoratrici e di lavoratori, al fine di far compiere a tutto il partito un salto in avanti su questa questione. Non credo a soluzioni miracolistiche, ma voglio sottolineare che la questione sindacale è purtroppo parte integrante della sconfitta del centrosinistra. L'afasia della Cgil prima e dopo la sconfitta del centrosinistra è un urlo di impotenza, si pensi, ad esempio, al silenzio nel momento dell'apertura verso il fronte referendario. Noi certamente dobbiamo. come partito, fare la nostra parte, insistere nel tentativo di un reinsediamento nei luoghi di lavoro.
Anche nei confronti delle associazioni bisogna muoversi con maggiore energia. Nel corso della campagna elettorale abbiamo tenuto a Roma un momento importante e significativo di dialogo, caratterizzato da domande e da presenze importanti. Dobbiamo continuare su quella strada, dobbiamo valorizzare le esperienze giovanili, possiamo pensare ad una nuova fase costituente dei  rapporti esistenti nel mondo dell'associazionismo nel nostro paese.
[..]

La nostra scelta sui referendum

In questo quadro si può determinare un'ulteriore aggravante:  la celebrazione dei referendum elettotali e antisociali. D'Alema non può chiedere alle forze politiche se vogliono il referendum; esso è già fissato, la sua effettuazione non dipende dalla volontà di farlo, ma  dall' esistenza o meno delle condizioni di prosecuzione della legislatura. (..)
In questo quadro è giunto il momento di compiere una scelta rispetto ai referendum. Noi finora abbiamo assunto la parola d'ordine, boicottiamo i referendum, e la manteniamo. Ma oggi possiamo precisare la nostra indicazione dì voto, che è l'astensione, quale mezzo per sconfiggere i referendum. (..)
Dobbiamo chiarire, anche nei rapporti con il sindacato, che c'è un nesso preciso, sociale e politico tra il tentativo di annullare il diritto di reintegra nel posto di lavoro, dopo un licenziamento ingiusto, e quello di cancellare la possibilità per le forze alternative di essere presenti nelle istituzioni. E' mai possibile che solo il senatore Andreotti riesca a capire questa semplice verità? Per questa ragione i referendurn antisociali vanno sepolti da un insieme da astensioni e di voti contrari e la nostra scelta è quella di dire agli italiani di non andare a votare.

La costruzione dei movimenti

In terzo luogo dobbiamo continuare a riproporci il tema di favorire la costruzione dei movimenti. (..) noi dobbiamo costruire delle vertenze esemplari. Il nostro lavoro deve fare un salto di qualità. Abbiamo detto che ci siamo riavvicinati al lavoro, con l'inchiesta, con la determinazione di una piattaforma sociale e di obiettivi specifici. Ora dobbiamo sapere definire, a partire dal centro del partito, una mappa dove possiamo puntare a creare dei fatti concreti di modificazione delle condizioni materiali di vita della gente. La direzione nazionale deve assumersi delle responsabllità precise nel seguire questi progetti.

Lo stato del nostro partito

In quarto luogo dobbiamo tornare a riflettete, e ad agire, sul tema del nostro partito. Nella recente conferenza di Chianciano abbiamo fatto un altro passo in avanti nell'analisi dei nostri limiti e delle nostre debolezze e nella individuazione della giuste terapie.  Ma quando ci si trasferisce nella pratica concreta, si riscontrano, ancora una volta, elementi di disfacimento. Lo dico con estrema secchezza, e quindi anche col  gusto della provocazione, ma se tra democrazia e autoritarismo scegliamo certamente la prima, tra lobbismo e giacobinismo, scelgo il secondo. Non possiamo in nessun modo accettare pratiche lobbistiche, di piccolo gruppo, all'interno del nostro partito. La direzione nazionale deve definire, anche su questa questione, una mappa di intervento, sia dal centro, che nelle periferie del nostro partito.
Nella storia del movimento operaio del nostro paese e dei partiti politici che lo hanno animato, vi sono stati spesso dei passaggi drammatici. Voglio qui, in conclusione, ricordare quello del partito socialista italiano che, nella tempesta successiva alla scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini, dovette affronatre il compito della ricollocazione di classe del partito e un gigantesco problema di formazione dei suoi gruppi dirigenti. L'esperienza che mosse in quell'occasione dalla riflessione teorica e dall'iniziativa pratica dì Rodolfo Morandi, non è priva di qualche insegnamento anche per noi oggi.


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