Ferdinando Dubla

 

Appunti: sinistra “radicale” e sinistra comunista

[blog 25 novembre 2007]

 

 

Tra ipotesi di confederazione e unità d’azione necessaria per contrastare i piani del neocentrismo moderato di influenzare pesantemente il governo Prodi che rischia di cadere ad ogni starnuto nell’aula del Senato, si sviluppa il dibattito fra le principali componenti del variegato mondo alla sinistra del Partito Democratico. E uno spettro si aggira ancora (forse anche la salma di Lenin): l’identità e i simboli comunisti.

Da quel che si comprende, ormai le ipotesi si sono ristrette a due: la federazione della sinistra, che saldi l’unità d’azione ma salvaguardi le differenti identità, limitando le singole sovranità sul piano elettorale-istituzionale; oppure una ricomposizione, da quattro singole forze a due.

Una, fortemente voluta da Bertinotti, è il “soggetto unitario e plurale” e troverebbe concordi la maggioranza del gruppo dirigente del Prc, la maggioranza del raggruppamento Sinistra Democratica di Mussi e i Verdi di sinistra (gli altri confluirebbero nel PD).

L’altra dovrebbe costituire le fondamenta di un rinnovato partito comunista, imperniato sull’attuale PdCI, sull’area dell’’Ernesto’ di Giannini e Pegolo e forse sulla componente ‘Essere Comunisti’ di Claudio Grassi del Prc.

Il grimaldello per forzare le soluzioni è la riforma del sistema elettorale, ma per questa via obbligare le aggregazioni per imposizioni di ingegneria politica, rimanderebbe le lacerazioni, ma al contempo le aggraverebbe.

In realtà ci sono, a sinistra del PD, davvero due sinistre: l’una ‘radicale’ come ama definirla il mondo mass-mediatico e l’altra comunista; quella ‘radicale’ non si rende conto, al di là dei drammi sociali sempre più acuti, che è in gioco, con la nascita del PD, la sfida a rendere ‘americana’ la composizione politica italiana. Non due poli, ma due partiti che corrono al centro e con le rispettive lobbies sponsorizzatrici. E la prima liquidazione necessaria è proprio quella dell’”anomalia” comunista, insopportabile per i nuovi processi della “modernizzazione capitalista”.

Le uniche strade per bloccare (e auspicabilmente invertire) questa strategica tentata ‘americanizzazione’, è la nascita e lo sviluppo di una forte confederazione della sinistra in cui ognuno però conservi identità e valori fondanti: in particolare si conservino ai comunisti una forza organizzata, la centralità di una linea di massa, i propri simboli e l’autonomia, anche rispetto all’analisi del proprio passato.

La forma federativa non può che essere transitoria, permette oggi di unire due strategie differenti nella prospettiva: i comunisti non possono che aspirare alla massima autonomia, ad un partito di massa comunista nel nome, nei simboli, nei valori che sostanziano le linee politiche, nei contenuti che pongono al centro il lavoro e il conflitto di classe. Ma perché questa strategia rimanga vitale bisogna passare dal difficile crinale della federazione: fuori di questa, non c’è ricomposizione dei comunisti, ma ulteriore frammentazione e divisione, con il rischio concreto di scivolare in dinamiche minoritarie ed essere espulsi dallo scenario politico. E’ un pericolo che ogni comunista dovrebbe sentire come ulteriore processo di ‘americanizzazione’, letale per una soggettività necessaria per la lotta all’imperialismo e al capitalismo nel cuore dell’Occidente.

Gramsci, recluso a Turi, si convinse della necessità di una Costituente unitaria che prima di ogni altra cosa provocasse l’impeto unitario che sconfiggesse il fascismo: concepiva cioè con lucidità la questione della transizione, e questo provocò incomprensione con altri compagni imprigionati con lui. Lo accusarono anche di aver venduto ‘l’anima al diavolo’. Ma Gramsci aveva ragione e non esitò, quasi da solo, a sostenere con forza le proprie tesi, che la storia, lui morto nel 1937, in seguito rivelarono essere adeguate alla fase politica reale.

Se i comunisti oggi mirassero solo all’affermazione identitaria, in un momento storico come l’attuale, nel cuore dell’Occidente, in cui né i rapporti di forza politici né l’egemonia culturale sono appannaggio delle forze più autenticamente democratiche e progressiste e i valori del lavoro sono oggetto di attacchi furibondi da parte del liberismo aggressivo e discriminante, in cui la cultura comunista è messa ‘di fatto’ fuorilegge dai mass-media e dai grandi organi di informazione, quando non palesamente attaccata come ‘illegittima’  ed equiparata al suo nemico storico più spietato, il nazifascismo; ebbene, commetterebbero un errore difficilmente recuperabile.

Non si abbia dunque timore del processo unitario della sinistra nel suo complesso, purchè nell’ambito della federazione si ottenga il massimo di autonomia possibile e si concepisca come necessaria fase transitoria, nella prospettiva strategica di un partito comunista di massa che riaffermi per intero la sua identità e la sua autonomia, ma nel turbine della realtà e non nella sterile testimonianza, che lascerebbe il moderno e classico proletariato in balia di un debole riformismo, destinato alla sconfitta e non certo all’apertura, pur in forme nuove e inedite, di un processo rivoluzionario all’altezza delle sfide del XXI secolo.

 

fe.d., 25 novembre 2007

 

 

 

 

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