linea Rossa

MEZZOGIORNO RIVOLUZIONARIO

In libreria il saggio di Angiolo Gracci che parte dai moti napoletani del 1799 per ricostruire il filo rosso della storia italiana

Giovanni Russo Spena


"Forse un giorno gioverà  ricordare questi fatti": furono le ultime parole pronunciate sul patibolo da Eleonora De Fonseca Pimentel che citò questo versodell'Eneide di Virgilio alle ore 14 del 20 agosto 1799, in piazza Mercato, a Napoli.
Con questa densa citazione inizia il bel libro di Angiolo Gracci (Gracco) La rivoluzione negata, il filo rosso della Rivoluzione italiana, memoria storica e riflessioni politiche nel Bicentenario 1799-1999 (edizioni La Città del Sole £.32.000).
E' per me, militante comunista meridionale, politicamente ed emotivameate rilevante il fattoche i percorsi che dal 1799,
attraverso i moti costituzionali e risorgimentali, fino a quelli resistenziali ed ai movimenti per la libertà e la democrazia oggi, interessano il cammino meridionalista, siano descritti in modo storicamente partecipe dal combattente partigiano Gracco, livornese, comandante della brigata d'assalto "Garibaldi" V. Sinigaglia, autore tra l'altro, di Brigata Sinigaglia, lo splendido primo libro pubblicato in Italia sulle brigate partigiane. Condivido, sul piano storico, l'impostazione di Gracco, il rilievo politico che egli dà ai martiri ed ai combattenti rivoluzionari giacobini e partigiani, recupero di memoria storica (in epoca di devastanti abiure) che si proietta sulle vicende storiche contemporanee.

Vi è un "filo rosso", questa è la tesi che Gracco tenta di dimostrare e di leggere dentro la costruzione dei movirnenti e dei conflitti, che unisce le diverse fasi della rivoluzione italiana (la "rivoluzione negata") dal 1799 ad oggi. Due delle fasi portanti di questa narrazione delle lotte per la libertà e la democrazia vengono individuate, per l'appunto nella Repubblica napoletana, che proietta se stessa, pur tragicamente soffocata, nel Risorgimento nazionale; e, in secondo luogo, nelle straordinarie Quattro Giornate di Napoli del 1943, cuore meridionale della Resistenza e della Costituzione.
Viene, cioè, dall'autore recuperato il nesso che lega la Rivoluzione giacobina meridionale con la Rivoluzione resistenziale nazionale. La "rivoluzione negata" scorre tra la continuità dell'iniziativa rivoluzionaria ed il feroce livello regressivo della normalizzazione moderata. Sono convinto, peraltro, che Gracci alluda anche alla legittimazione ed all'autorappresentazione del Mezzogiorno che si snodano attraverso la sua cultura, la sua storia sociale, il livello di resistenza alla riduzione del Mezzogiorno "a colonia". E' un tema che ritorna con forza "dentro" e "contro" la cosiddetta globalizzazione, con la sua carica di omologazione dei territori ai mercati e, nel contempo, di frantumazione e di atomizzazione della coesione sociale. Non è solo la classe che deve autoidentificarsi, in questa fase della storia del capitale e dell'opposizione ad esso; si devono "autoidentificare i territori".
Non a caso, credo che il libro di Gracci vada letto insieme al libro di Mario Alcaro Sull' identità meridionale, nel tracciato già segnato dal Pensiero meridiano di Cassano. Io penso che sia importante, in questa fase storica, indagare i nessi tra cultura, storia, territorio, proprio per esaltarne e ricostruirne protagonismo, conflitto, partecipazione: una sorta di ricostruzione democratica "dal basso", dal territorio,dove l'identità è pernodi una ricchezza di "spazio pubblico", di cittadinanza che si oppone all'opaca omologazione della globalizzazione. Essa, infatti, mercifica e "nega" il territorio, assumendolo solo come segmento del mercato globale (è un processo che reca, nelle sue viscere, forme di gcvernabilità di tipo razzistico, xenofobo, in nome di un "etnicismo"' della purezza, della "differenza", della "piccola patria"; come, per ultimo, il "caso Austria" drammaticamente dimostra). Indagare,quindi, oggi, sulla "rivoluzione negata" di un Mezzogiorno reso "colonia" significa, credo, partire dalla storia universale della Rivoluzione napoletana per assumere la necessità, qui ed ora, di proiettare politiche alternative in una dimensione euro-mediterranea. Un'area che, è essenziale per l'identità stessa dell'Europa, perchè l'Europa sfugga al cappio liberista ed ossessivamente monetarista aprendosi alla cooperazione Nord/Sud.
La Nato, l'Europa liberista pensano di poter esercitare, in quest'area (che è uno dei grandi nodi strategici del mondo, come è anche dimostrato dal fatto che le ultime guerre generali della Nato, quella contro l'Iraq e quella contro la Federazione Jugoslava, non a caso in quest'area, per il suo controllo, sono state scatenate) una politica di puro "contenimento" militare o di protettorato nei confronti di popolazioni rapinate delle risorse. Ci opponiamo al fatto che l'area euro-mediterranea diventi solo una "zona di libero scambio", che, in effetti, si configuri come zona di scambio ingiusto e diseguale, sul piano dei processi produttivi, soprattutto in agricoltura, della formazione dei prezzi dei prodotti agricoli, forestali e minerari, di monopolio anche commerciale delle multinazionali.
Penso ad un deciso e determinato impegno comune, delle forze antagoniste ed anticapitaliste europee e mediterranee, parte integrante di un programma di medio periodo, per un Mediterraneo smilitarizzato e denuclearizzato, culla di civiltà e confronto tra le differenze culturali e religiose, luogo di mediazione culturale "alta"; di ricerca di esperienze cooperative, di nuove ragioni di scambio e nuove aree economiche liberamente integrate tra i popoli mediterranei. E' qui, mi pare, la sfida aspra anche sul destino storico del Mezzogiorno. Rivoluzionario, a suo modo.

Recensione apparsa su Liberazione, 23 febbraio 2000



Angiolo Gracci: LA RIVOLUZIONE NEGATA  Il filo rosso della Rivoluzione italiana
La Città del Sole, 1999


Per estratti dal testo di Gracci vai a Linea Rossa nr.14/00
 

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