linea Rossa

 

Karl Marx : La dialettica della rivoluzione

 

dal sito di Raffaele Paolo Saccomanno

 

 

 

 

 
 
 
PREMESSA
 
Secondo Louis Althusser per determinare oggettivamente la "filosofia" marxiana occorre innanzi tutto applicare allo stesso Marx , così come nel tempo é andato indirizzando la sua ricerca, i criteri di lettura che utilizzino le acquisizioni "scientifiche" del Marx maturo. C' é, insomma, da distinguere anche in Marx "la scienza dall'ideologia" ed individuare a che punto del suo sviluppo è possibile determinare quella "rottura epistemologica" che separa le opere ancora impregnate di idealismo, da quelle  che rappresentano il vero e proprio sistema marxiano, inteso come "scienza della storia"  e " teoria della rivoluzione".
La tesi di Althusser ha suscitato,  com'era prevedibile,  reazioni spesso violente e di segno opposto, ma per quel che ci interessa, essa è utile a farci cogliere l'esigenza di "leggere"  Marx, secondo criteri interpretativi e di valutazione che ci permettano di cogliere nella sostanzialità gli elementi che possano rappresentare quella che, solitamente, va sotto il nome di concezione materialistica della storia. 
L' ideologia Tedesca, che venne scritta da Marx-Engels probabilmente tra il 1845 e il 1846 e pubblicata soltanto nei primi anni del nostro secolo, costituisce (e, per inciso, lo era anche per Althusser) l' opera cruciale attraverso cui Marx ed Engels intesero, come espressamente dichiararono, raggiungere lo scopo principale di veder chiaro in se stessi: "decidemmo di mettere in chiaro il contrasto tra il nostro modo di vedere e la concezione ideologica della filosofia tedesca, di fare i conti, in realtà, con la nostra anteriore coscienza filosofica".
Come si vede, tanto il titolo dell' opera quanto la "confessione", hanno alla base il discernimento e la distinzione di un concetto chiave quale quello di ideologia ( o falsa coscienza o frase che dir si voglia), in base al quale dialetticamente viene a sostanziarsi "la scienza reale e positiva". In concreto con questa critica, Marx prende definitivamente le distanze dall' idealismo della Sinistra hegeliana ( e potremmo dire dal loro velleitarismo rivoluzionario-parolaio) . In particolare consuma l' abbraccio con Feuerbach, che, certamente aveva costituito fino a quel momento la guida teorico-spirituale in base a cui Marx aveva potuto liberarsi dalla "sirena" di Hegel e dalla sua "rupestre melodia".
 

 

 

 
 
 
CONTRO L'IDEOLOGIA
 
In un momento in cui si pone all' ordine del giorno il rovesciamento dello stato di cose esistenti è imprescindibile distinguere il rivoluzionarismo salottiero da chi la rivoluzione intende fare sul serio e con i rischi che senz' altro comporta. E' cioè essenziale stabilire quale teoria è in grado di tramutarsi in prassi o, per meglio dire, di essere immediatamente prassi e quale invece reputa reali le proprie fantasie e dunque resta vittima delle proprie illusioni o più spesso della propria epoca. Qui, per riallacciarci al superamento di Feuerbach in Marx, sta il significato profondo della tesi secondo cui "i filosofi hanno interpretato il mondo in modi diversi; si tratta ora di mutarlo".
Con questa disposizione programmatica si capisce bene che a Marx non interessa un posto più o meno degno tra i filosofi, ma al contrario gli serva quella scienza storica che, come capo politico, possa permettergli di orientare correttamente l' azione rivoluzionaria, in maniera tale da consentirgli contemporaneamente di presentarsi come "la testa" della classe operaia, l' avanguardia del partito che si fa carico di condurre lo scontro di classe. 
Marx,  che giovanissimo a  24 anni, attraverso le colonne della Rheinische Zeitung da lui diretta, venne alle prese con problemi della classe lavoratrice tedesca, capisce immediatamente che le risposte a determinate situazioni storiche possono essere date attraverso soluzioni concrete nella misura in cui trovino forze storiche che s' impegnino a lottare per realizzarle. L' Ideologia Tedesca inizia con queste chiare parole : "Finora gli uomini si sono sempre fatti idee false intorno a se stessi, intorno a ciò che essi sono o devono essere. I parti della loro testa sono diventati più forti di loro. Essi, i creatori, si sono inchinati di fronte alle loro creature. Liberiamoli dalle chimere, dalle idee, dai dogmi, dagli esseri prodotti dall' immaginazione, sotto il cui giogo essi languiscono. Ribelliamoci contro questa dominazione dei pensieri".
La ribellione contro le frasi. che è poi nello stesso tempo l'esigenza di una prassi adeguata e corretta, è la presa d'atto che oggetto di considerazione devono essere soltanto "gli individui reali, la loro azione e le loro condizioni materiali di vita, tanto quelle che essi hanno trovato già esistenti quanto quelle prodotte dalla loro stessa azione. Infatti, come gli individui esternano la loro vita, così essi sono.  Ciò che essi sono coincide dunque con la loro produzione, tanto con ciò che producono, quanto col modo come producono. Ciò che gli individui sono dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione". 
La dimensione storica dell' uomo è perciò  la premessa con cui saggiare la bontà delle analisi e dei progetti e l'individuazione dei diversi stadi di sviluppo della divisione del lavoro che sono, poi, altrettante forme diverse di proprietà. Questo "svolgersi" del "profitto" fa capire che "individui determinati che svolgono un'attività produttiva secondo un modo determinato entrano in questi determinati rapporti sociali e politici". Ecco perché la produzione delle idee non può collocarci al di sopra del linguaggio della vita reale, e che ciascuno pensa non sulla base dell' astratto divenire del pensiero ma in quanto uomo reale, operante, condizionato da un determinato sviluppo delle forze produttive e delle relazioni che vi corrispondono. 
Il filosofo-avanguardia di classe "non parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si pensa, si immagina, si rappresenta che siano", ma parte dagli uomini vivi e dal processo reale della loro vita per spiegarsi non solo il perché della loro condizione e il sorgere di "immagini nebulose" nella loro coscienza, ma la loro capacità di inserimento in un processo rivoluzionario .
"Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza": questa è la sentenza ultima nei confronti delle illusioni di ogni tempo." Là dove cessa la speculazione, nella vita reale, comincia, dunque, la scienza reale e positiva, la rappresentazione dell' attività pratica, del processo pratico di sviluppo degli uomini. Cadono le frasi sulla coscienza e al loro posto deve subentrare il sapere reale".
 

 

 
 
 
IL COMUNISMO
 
Superato il condizionamento delle frasi e in ogni caso rifiutate le illusioni sulle condizioni degli uomini e perfino della loro capacità, non solo di comprensione ma di sovvertimento del dominio di classe, il filosofo-avanguardia si pone il compito dell' emancipazione delle classi sfruttate, in base all' unico presupposto possibile: "che non è possibile attuare una liberazione reale, se non nel mondo reale e con mezzi reali". La liberazione è, imprescindibilmente, un atto storico, vale a dire è consapevole dello stato dell' industria, del commercio, dell' agricoltura, del grado in cui gli uomini sono capaci dì procurarsi i beni essenziali e soddisfare i bisogni primari.
Il comunista deve sapere analizzare queste forme produttive, capire il movimento delle relazioni umane, i rapporti determinati che si instaurano nella società, indipendentemente dalla volontà dei singoli, in altre parole, "quei rapporti di produzione che costituiscono la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale",
Su questa base Marx può scrivere che il comunismo "non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente". 
Questo stadio è necessariamente da collocare sul piano della storia universale per il fatto che, solo con lo sviluppo universale delle forme produttive possono aversi relazioni universali tra gli uomini senza le quali il comunismo potrebbe esistere soltanto come un fenomeno locale, facilmente sopprimibile, "le cui circostanze potrebbero essere relegate nella superstizione domestica". 
In questa prospettiva mondiale, devono determinarsi i termini della conquista del potere politico, se è vero che la lotta di classe conduce necessariamente alla dittatura del proletariato, che "costituisce soltanto il passaggio alla soppressione dì tutte le classi e ad una società senza classi". La dittatura proletaria troverà la sua ragione storica, allorquando il potere borghese si presenterà "come una potenza insostenibile, potere contro il quale si agisce per via rivoluzionaria" da parte di una umanità affatto priva di proprietà.
 
 
 
 
CRITICA DELL' UTOPIA
 
La polemica marxiana, durata in fondo tutta una vita contro i superamenti immaginari della società borghese, trova sempre la sua base su questa perdurante equivalenza: idealismo - filosofia - utopismo.
Egli si batte sempre e duramente contro chi pretende la pura e semplice trasformazione della coscienza intesa come "involarsi spiritualmente al di sopra del mondo", perché ritiene che in ciò si manifesti in maniera trasparente "l'impotenza dei filosofi di fronte al mondo". E', infatti, la prassi che smentisce quotidianamente queste "furfanterie" ideologiche.
 Nella II Tesi su Feuerbach dirà che "la questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva non è una questione teoretica, bensì una questione pratica. Nella prassi l' uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero".
Ecco perché diventa anche e principalmente una indicazione politica la netta affermazione di Marx che noi "conosciamo un' unica scienza, la scienza della storia", tesi che é così chiaramente evidenziata: "Questa scienza non deve cercare in ogni periodo una categoria, come la concezione idealistica della storia, ma resta salda costantemente sul terreno storico reale, non spiega la prassi partendo dall' idea, ma spiega le formazioni di idee partendo dalla prassi materiale, e giunge di conseguenza anche al risultato che tutte le forme e i prodotti della coscienza possono essere eliminati non mediante la critica intellettuale, risolvendoli nella <autocoscienza> ecc., ma solo mediante il rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti, dai quali queste fandonie idealistiche sono derivate; che non la critica, ma la rivoluzione è la forza motrice della storia, anche della storia della religione, della filosofia e di ogni altra teoria". E siccome lo svuotamento che subisce il termine rivoluzione è in ogni epoca interesse tanto della classe dominante che dei riformisti piccolo borghesi, Marx  non solo si ripropone di rappresentarla nei suoi termini "scientifici", facendo i conti con tutto il "pensiero sociale" precedente, ma, proprio per questo, preservarla da quanto scriveva Marat nell' estate del 1792: "La rivoluzione si è ritorta contro il popolo, ricadendo sul suo capo come la più grande delle sventure. Dell'apparato scenico statale sono mutati soltanto gli orpelli, ma gli attori, i costumi, gli intrighi, la spartizione dei dicasteri sono rimasti". Babeuf, sebbene faccia dipendere la richiesta dì comunismo più che da una maturazione storica dall'indignazione e dallo sdegno morale nei confronti dello stato miserrimo del popolo lavoratore enuncia, a legittimazione della sua sfortunata avventura che "si fa inevitabile un rovesciamento generale dei rapporti di proprietà, nelle quali il sollevamento rivoluzionario dei poveri contro i ricchi è una necessità storica irreprimibile".
E Blanqui, che nel 1832, dichiarando che tra le classi "è scoppiata una lotta all' ultimo sangue", smaschera con la stessa testimonianza della sua vita "la pretesa associazione del parassita e della sua vittima" e lucidamente sottolinea che  l' ignoranza, figlia della soggezione, rende proprio il popolo degli sfruttati docile strumento nelle mani dei privilegiati, dal momento che lo sfruttato "accoglie come un atto di "beneficenza" quanto il padrone gli concede del "frutto del suo stesso sudore" e "vede nella mano che lo sfrutta soltanto la mano che lo nutre ed è sempre pronto a sbranare, ad un cenno del suo padrone, l' impudente che cerca di indicargli un destino migliore". Ed anche se le insurrezioni blanquiste finirono sempre in un bagno di sangue e, di fatto, lasciarono più forte il dominio borghese, la loro aperta e proclamata necessità di una "transitoria dittatura" in nome del popolo lavoratore, è certo un passo avanti, sebbene èlitario, per prospettare il rovesciamento concreto del potere padronale. 
Questa esigenza di una dittatura transitoria in funzione dell' emancipazione sociale fu propria anche di Weitling, l'apprendista sarto che scrisse: "I rivoluzionari  conquistano, in primo luogo, il diritto elettorale rivoluzionario provvisorio ed eleggono in assemblee armate un governo provvisorio e degli arbitri rivoluzionari per la creazione del nuovo ordine. Dei diritti elettorali gode soltanto colui che esplica un' attività utile e mostra di possedere disciplina, capacità ed amore dell' ordine".
 Marx ed Engels apprezzarono l' abnegazione rivoluzionaria di Blanqui e degli altri "utopisti" non poterono non evidenziare che tutta la la loro  "teoria" ancora poggiava su un comunismo rozzo, su quello che Engels definì "un ottuso comunismo dell' uguaglianza e che, magistralmente, Marx aveva criticato nei Manoscritti del  '44, in questi termini lapidari: "Il comunismo rozzo vuole annientare tutto ciò che non è atto ad essere posseduto come proprietà privata; vuole quindi prescindere violentemente dal talento ecc. Il possesso immediato ha per esso il valore di unico scopo della vita e dell'esistenza; l'attività degli operai non viene soppressa, ma estesa a tutti gli uomini;..... al matrimonio (che è indubbiamente una forma di proprietà esclusiva) si contrappone la comunanza delle donne, dove la donna diventa proprietà della comunità, proprietà comune. Si può dire che questa idea della comunanza delle donne è il mistero rivelato di questo comunismo ancora rozzo e materiale". In esso infatti Marx non può, con profonda significanza psicologica, non cogliere che esso è "soltanto la generalizzazione e il compimento della proprietà privata".
Questo vuoto pratico progettuale, antecedente il materialismo storico, doveva necessariamente portare l'azione rivoluzionaria di Blanqui e degli altri a riempirsi dì manie cospirative, dì azione a tutti i costi, di settarismo: vale a dire di tutti quei fattori che per Marx niente hanno a che vedere con una corretta e vittoriosa prassi rivoluzionaria.
Tutto l'errore del rivoluzionarismo utopistico consiste nel modo come viene inteso il proletariato."Il proletariato esiste per essi soltanto dal punto di vista della classe che più soffre". Non è il protagonista, l'antagonista reale della classe dominante, il becchino del dominio di classe. E' un semplice strumento per l' attuazione dei "loro" piani sociali, riferimento della loro "propaganda"; la materia bruta al di sopra della quale bisogna sollevarsi; un  magma scomposto da "blandire" o da assecondare nel più bieco "corporativismo" .
Gli utopisti, secondo Marx, non dicono ai proletari: "dovete passare attraverso 15, 20, 30 anni di guerra civile e di lotte popolari per mutare non solo i rapporti, ma anche voi stessi e per diventare capaci di esercitare il dominio politico"; essi dicono che bisogna arrivare alla convivenza libera, giusta, espressione di solidarietà, di mutuo soccorso ecc. e, di fatto arrivano a postulare una pace sociale. Credono di  "essere di gran lunga  superiori a quell'antagonismo di classe", tanto che per  "costruire tutti questi castelli in Ispagna debbono far appello alla filantropia dei cuori e delle borse borghesi".
In conclusione, per Marx l' utopismo diventa, in concreto, un serio ostacolo per l'emancipazione proletaria, poiché anticipando e pubblicizzando il migliore dei mondi possibili, esaltando la potenza dell'esempio e cadendo facilmente nel moralismo, lascia, nel frattempo, la società così come è, in preda allo sfruttamento, all' alienazione: gli uomini diventano, in ultima analisi, organici alla stessa società borghese che li strumentalizza, proprio quando dimostra  tolleranza, libertà di pensiero e di organizzazione che in effetti non è mai disposta a tollerare. Questa astrattezza rivoluzionaria deriva, per Marx, dalla insufficiente capacità teorica delle avanguardie rivoluzionarie che ignorano completamente le leggi storiche della produzione capitalistica o si ostinano a non cogliere la validità materialistica della logica dialettica.
 
 
 
 
DIALETTICA STORICA
 
 Il grande merito di Hegel era stato quello di aver contrapposto ad una logica formale ed astratta la logica dialettica, nel senso che mentre la prima presupponeva un riferimento ontologicamente statico, la seconda intendeva chiarire il processo attraverso il processo e, quindi, cercare di comprendere il movimento nella stessa misura in cui si presentava, non come vuoto dover essere, ma hic et nunc.
I presupposti idealistici di Hegel avevano, comunque, inficiato grandemente la portata di questa "rivoluzione" logica. La realtà finiva per esaurirsi nell'autocoscienza e l'esplicarsi della triade tesi , antitesi,  sintesi era soltanto il percorso trionfante dello Spirito. "L'esistenza dell' uomo -aveva scritto- ha il suo centro nella testa, ossia nella ragione, per ispirazione della quale egli costruisce il mondo della realtà". La ragione stessa  poneva e superava i suoi momenti nello stesso tempo che tale superamento era anche un conservare elementi precedenti: non a caso il termine hegeliano "Aufhebung", in tedesco ha il duplice significato di superare e conservare.
Marx comprende pienamente la portata dì questa logica ma altrettanto chiaramente capisce che in questo contesto "ideale" essa è svuotata della sua seria e distruttiva funzione storica.
La critica che Marx esprime nei confronti della religione è uno dei primi e  mirabili modi di fare i conti con questo mondo rovesciato. "E' l'uomo che fa la religione e non la religione che fa l'uomo. Ma l'uomo non è un'entità astratta, posta fuori dal mondo. L'uomo è il mondo dell'uomo, lo Stato, la Società. Questo Stato, questa Società producono la religione, coscienza capovolta del mondo, poiché essi sono un  mondo capovolto del quale la religione è l'aroma spirituale. La miseria religiosa è, insieme, espressione della miseria reale e la protesta contro la miseria reale. La religione  é  il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito dì una condizione senza spirito. Essa è l'oppio dei popoli".
Per Marx si pone, allora, il compito di togliere alla dialettica la funzione di esplicare un mondo capovolto; di non utilizzarla semplicemente come "aroma" spirituale. La dialettica deve diventare "un processo di vita attivo", in maniera tale che "la storia cessi di essere una raccolta di fatti morti, come negli empiristi, che sono anch'essi astratti o un'azione immaginaria di soggetti immaginari, come negli idealisti".
La dialettica storica è, dunque, antiidealistica e quindi materialistica. E qui giova sottolineare come questo approdo materialistico, che, per alcuni critici di Marx si é costantemente diversificato, (da empirismo, naturalismo e nel tempo, positivismo e pragmatismo), abbia subito una sorta di iattura, per cui  proprio alcuni zelanti e sedicenti marxisti hanno voluto, ma non potuto, costruire una specie di metafisica marxiana che all'idea hegeliana sostituiva puramente una non meglio specificata Materia!!  Questa aberrazione è alla base di tutti quegli episodi sia di interpretazione storica che di ricerca scientifica, oggi fortunatamente superati, in base alla corretta applicazione del materialismo storico, ormai  distante da un onnicomprensivo materialismo dialettico di stampo engelsiano.
Infatti, se fare storia significa fare scienza storica, la dialettica deve non solo essere uno strumento d'indagine, ma essere lo stesso svolgimento dei fatti che non può e non deve essere alterato dalla coscienza, o se vogliamo, dai presupposti di chi indaga.
E' dunque la storia e non la materia che ha un senso dialettico, anche se ovviamente la natura rientra nella storia, ma nel modo specialissimo di essere la natura dell'uomo, conservando poi quell'autonomia di svolgimento e di "scientificità" che la stessa dialettica presuppone.
Per dirla forse in maniera semplicistica, dialettica significa marxianamente "praxis, operare concreto di uomini che vivono in un mondo determinato su una base di rapporti e forme determinate: essa è il mondo umano che si svolge, si sviluppa, trasforma e si comprende.
La natura, viceversa, anche se è pur essa ovviamente svolgimento, non è prassi; dunque, la dialettica la coglie come dato e non come soggettività. Gramsci, questa lezione marxiana, l'ha intesa correttamente e più volte ha ironizzato su un certo modo di fare scienza all'italiana per sottolineare che "il superamento", così come è concepito da Marx, è certamente negazione dell'idealismo, ma altrettanto vigorosamente di ogni ingenuo naturalismo o gretto positivismo che dir si voglia.
Nel postscritto alla seconda edizione tedesca del Capitale, Marx scrive: "Per il suo fondamento, il mio metodo dialettico non solo è differente da quello hegeliano, ma ne è anche direttamente l'opposto. Per Hegel il processo del pensiero, che egli trasforma addirittura in Soggetto indipendente col nome di Idea, è il demiurgo del reale, che costituisce a sua volta solo il fenomeno esterno dell'Idea o processo del pensiero. Per me, viceversa, l'elemento ideale non è altro che l'elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degli uomini....La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il primo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa é capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico.... Nella sua forma mistificata, la dialettica divenne una moda tedesca, perché sembrava trasfigurare lo stato di cose esistente. Nella sua forma razionale, la dialettica è scandalo e orrore per la borghesia e per i suoi corifei dottrinari, perché nella comprensione positiva dello stato di cose esistente include simultaneamente anche la comprensione del suo necessario tramonto. Nulla la può intimidire perché essa è critica e rivoluzionaria per essenza". 

 

fonte web: raffaele paolo saccomanno

info: raffaele paolo saccomanno

 
 
 
 
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