Dimensioni  sbagliate

Nella scuola della controriforma liberista conta il dimensionamento e non la qualità

Loredana Fraleone

Il disegno di aziendalizzazione della scuola prevede la competizione tra alunni, tra insegnanti, tra scuole stesse, ed è formalizzato da provvedimenti affastellati tra loro, spesso contraddittori, che traggono la loro giustificazione da un cemento ideologico, che assume l' impresa ed il mercato, come riferimento principale.

All'interno di questo processo, il dimensionamento degli istituti costituisce il supporto per l'attribuzione della dirigenza a presidi e direttori didattici, nonché l'occasione per nuovi tagli e riduzioni di risorse, che non sembrino tali.

Il nuovo inquadramento, che dovrebbe far fare anche un consistente salto retributivo al capi d'istituto, i nuovi manager, non è finalizzato così ad una più alta qualità di un lavoro complesso e delicato, come del resto è tutto il lavoro nella scuola, ma alla "dimensione" dell'istituto, che non potrà contenere meno di 500 alunni.

A che serve ormai quel lavoro di qualità svolto in tanti paesi e in tante periferie urbane, dove la scuola è quasi sempre l'unico presidio pubblico, l'unico luogo di aggregazione civile? Quella cura giornaliera del percorso educativo e culturale di tante piccole e spesso straordinarie esperienze didattiche? A che servono capi d'istituto e corpi docenti radicati nel territorio? Un vero manager ed una vera azienda non possono stare dietro a quisquilie, solo la dimensione dell'istituto può dare loro senso e prestigio.

Ecco allora che l'infaticabile Berlinguer mette province e regioni a tagliare e cucire, ad accorpare, a smembrare, a cancellare, a dimensionare insomma. Si creano così veri e propri mostri, un po' meno nelle scuole superiori, in genere già vicine ai parametri previsti, di più nelle elementari e medie, numerose e diffuse in tutto il territorio. Cinque, sei, persino sette sedi accorpate in una unica istituzione, segreterie, ovvero supporti amministrativi e didattici, cancellate, ruolo di coordinamento didattico dei capi d'istituto vanificato, collegi docenti, con problematiche diverse, assommati meccanicamente tra loro.

La stessa discussione negli Organi Collegiali quindi perde il carattere specifico di aderenza e cura del territorio e si sposta su un terreno più generico, per seguire astratte regole di un'astratta autonomia.
Altro che maggiore rispondenza alle necessità del territorio!

Nel frattempo, l'inarrestabile Berlinguer vara la riforma dei cicli, che prevede nuovi assetti e quindi una nuova distribuzione degli alunni, senza chiedersi che fine faranno i piani di dimensionamento varati da province e regioni, alle quali ha imposto di vararli entro e non oltre il 30 novembre 1999.

Se il riordino dei cicli completerà l'iter parlamentare entro questo anno, sarà tutto da rifare, e non sfiora la mente del ministro che, se non altro per ragioni di "risparmio", bisognerehhe almeno congelare la situazione attuale.

Intanto, mentre cresce il malumore e la mobilitazione nelle scuole, per le conseguenze pesantissime anche sul personale docente e Ata, che verrebbero prodotte dal riordino dei cicli, già approvato alla Camera, sarà bene votare ordini del giorno, per denunciare la follia di questo modo di procedere,  proponendo quindi il congelamento dell'attuale assetto delle scuole, se non altro per un minimo di buon senso.

L'articolo è stato tratto da Liberazione del 14 ottobre 1999

 
 
 

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