linea Rossa
(nr.16 - luglio-agosto 2000)

 

IN PRIMO PIANO



L'articolo di Fausto Sorini, del dipartimento esteri del PRC, che ha provocato la reazione di Ramon Mantovani, responsabile del settore e ha fornito l'occasione del dibattito che si è sviluppato nella Direzione del partito il 30 giugno scorso. La posizione di Sorini può considerarsi di impianto leninista: non così il documento approvato dalla maggioranza del PRC in quella seduta, troppo incline al "nuovismo" e di impronta marcatamente revisionista rispetto alla tradizione comunista.

LE NUOVE CONTRADDIZIONI DELLA POLITICA INTERNAZIONALE

Per una alternativa al nuovo ordine mondiale. Spunti per una riflessione

----Fausto Sorini -----

L'articolo qui di seguito è stato oggetto di discussione nella riunione della Segreteria nazionale con il Compagno Fausto Sorini, coordinatore del dipartimento esteri. il 6 marzo 2000.

In quella sede è stata sottolineata la necessità di affrontare gli argomenti proposti con una replica da parte del responsabile del dipartimento esteri, compagno Ramon Mantovani. e una successiva discussione in Direzione nazionale. Inoltre, trovandoci in quel momento in piena campagna elettorale e considerata l'esigenza di concentrare su quella l'attenzione di tutte le compagne e i compagni. si era perciò congiuntamente convenuto di dar luogo a tali passaggi solo dopo le elezioni del 16 aprile 2000. Dopo la pubblicazione odierna dell'articolo di Fausto Sonni seguirà perciò quella di Ramon Mantovani venerdì 19 maggio.

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Quali sono i contenuti oggi possibili e qualificanti di una piattaforma antimperialista mondiale, definita non sulla base di principi astratti e reiterati, bensì tenendo conte delle caratteristiche determinate e dei rapporti di forza che definiscono il nuovo ordine mondiale, dopo la fine del mondo bipolare e il crollo del sistema sovietico? Quali sono le forze motrici, dotate di sufficiente forza materiale, capaci, in un prevedibile orizzonte temporale di anni o decenni, di far avanzare almeno parzialmente tali contenuti? Di costruire cioè alcuni elementi di un ordine mondiale alternativo?

Sono interrogativi grandi come il mondo. E la riflessione delle maggiori forze comuniste, progressiste ed antimperialiste a livello internazionale, ancora embrionale. Proviamo, senza alcuna pretesa di compiutezza, ad ordinare alcune idee su cui già sembrano delinearsi convergenze importanti e unificanti, che trascendono cioè le peculiarità dei diversi contesti nazionali o di area.
 
 

CONTENUTI UNIFICANTI

Sul terreno economico la globalizzazione imperialista si afferma come privatizzazione e appropriazione delle risorse mondiali, dei processi produttivi, dei flussi finanziari, ad opera di alcune centinaia di grandi imprese multinazionali che si spartiscono il mondo, con il supporto strategico e imprescindibile dei rispettivi Stati nazionali. Queste imprese, pur espandendo la loro attività in ogni angolo del pianeta, continuano ad avere una fondamentale base territoriale e un retroterra strategico nei paesi d'origine; il primato delle multinazionali americane, giapponesi, tedesche, inglesi, francesi, anche italiane (si pensi alla Fiat) sarebbe impensabile senza il supporto dei rispettivi Stati nazionali. Essi non solo non deperiscono, ma acquistano un peso crescente nell’epoca della globalizzazione capitalistica e di una accentuata competizione Interimperialistica per le zone di influenza, che ha ormai assunto una dimensione planetaria. Quelli che invece vengono destrutturati sono i poteri pubblici e le statualità dei paesi che sono oggetto dell’espansione imperialista (cioè la maggioranza dei paesi del mondo) alfine di indebolirne ogni possibilità di resistenza sovrana alla penetrazione delle multinazionali e di controllo sulle proprie risorse. In questo senso si è parlato correttamente di "Stati disgreganti" e "Stati disgregati". E’ vero invece che anche nei paesi imperialisti si attaccano le funzioni sociali dello Stato e i settori pubblici dell'economia vengono progressivamente privatizzati, al fine di sottrarre ai poteri pubblici le basi strutturali di ogni possibile programmazione dell’economia e di condizionamento del capitale privato. Per aprire ad esso nuove fonti di profitto anche nel settore dei servizi (previdenza, assicurazioni, sanità, scuola, telecomunicazioni, trasporti). In questo quadro, la difesa intransigente della sovranità degli Stati, delle risorse nazionali e dei settori pubblici dell’economia assume un carattere obbiettivo di resistenza alla espansione e alla penetrazione imperialistica, anche quando tale resistenza si manifesta da parte di regimi che esprimono prevalentemente gli interessi di borghesie nazionali e di élite politico-militari, (penso a paesi come l’Iraq, l’Iran, l’Algeria...). E’ proprio un esponente non sospetto di sciovinismo come Samir Amin, a introdurre in proposito la distinzione tra "nazionalismi positivi" e "nazionalismi negativi": i primi, "diretti contro i potenti del sistema, gli Stati Uniti in particolare" (e qui Samir Amin cita l’esempio della Cina, ma l’argomentazione si potrebbe estendere a Cuba, Venezuela, Libia, Jugoslavia, Bielorussia, alla stessa Russia "patriottica"; I secondi, "invocati da stati dirigenti ormai alle strette e che per lo più si dirigono contro altri deboli, mai contro i potenti nella gerarchia del sistema mondiale". E qui l'esempio citato è quello del nazionalismo croato. "Questi nazionalismi negativi - commenta Samir Amin - sono del tutto funzionali alla gestione capitalistica, mentre i primi non lo sono affatto". Nell’epoca di una crescente interdipendenza delle relazioni economiche internazionali, la difesa della sovranità nazionale non può affermarsi nel quadro di una impossibile autarchia. Essa suppone, al contrario una fitta rete di relazioni tra Stati sovrani, con accordi tra settori e imprese pubbliche (o miste) dei rispettivi Paesi, volti a costruire entità economiche integrate a livello sovranazionale, capaci di reggere l’urto e di esercitare un parziale elemento di contrappeso al predominio delle multinazionali private. Penso, per fare un esempio, ai molteplici accordi per la ricerca e lo sfruttamento del petrolio e del gas naturale che, a vari livelli, hanno coinvolto, imprese pubbliche o miste di nazionalità russa, cinese, vietnamita, algerina, cubana, irachena, iraniana, libica, kazacha, siriana... e che hanno visto in alcuni casi anche il coinvolgimento dell’Italia attraverso l’Eni (ricordate la filosofia "del caso Mattei"?). Penso alla competizione per il controllo del petrolio nella regione caucasica, foriere di guerre presenti e future, dove la logica imperialista delle multinazionali che operano, con il coinvolgimento di Stati Uniti, Israele e Turchia (stati tutt’altro che in via di estinzione!) si scontra con l’esigenza di altri paesi della regione, ad esempio Russia e Iran, di mantenere il controllo sulle proprie risorse.

Non autarchia quindi, ma accordi sovrani ed integrati tra stati che intendano resistere alla morsa del nuovo ordine mondiale; e che congiuntamente intendano condurre una battaglia comune e convergente all’interno dei grandi organismi economici internazionali, come il Fondo monetario, la Banca mondiale, il WTO. Dai quali sarebbe allo stato attuale impensabile e velleitario prescindere; nei quali al contrario, come ha auspicato di recente Fidel Castro, una possibile azione convergente di grandi potenze "non allineate" come la Russia, la Cina, l’India, insieme ai paesi del terzo mondo (la cosiddetta cooperazione sud-sud), può introdurre elementi di controtendenza nell’attuale assetto mondiale, facendo leva su contraddizioni e rivalità (emerse anche a Seattle) che oppongono Stati Uniti, Giappone e Unione Europea, utilizzandole a proprio vantaggio per isolare volta a volta, a seconda del tema l'avversario principale. Condizione necessaria anche se non sufficiente di una strategia alternativa alla mondializzazione imperialistica è quindi il consolidamento e il recupero di sovranità degli Stati nazionali, in primo luogo in campo economico, con la difesa (o il ripristino e la qualificazione di un forte settore pubblico. Con accordi tra questi Stati e forme di cooperazione e/o integrazione in grado di pesare sui processi mondiali, in ambito politico-istituzionale e militare, si evidenziano alcune priorità: la difesa della sovranità degli Stati, contro ogni pretesa o diritto d'ingerenza, comunque motivato, da parte di organismi sovranazionali "dl parte" (Nato, G7, Unione europea...). Oggi l'insieme della comunità Internazionale riconosce solo all'Onu e al suo Consiglio dl Sicurezza, in casi eccezionali e in ambiti ben delimitati, diritto di eccepire al principio di sovranità. Sono oggi le maggiori potenze imperialistiche, in primo luogo - Stati uniti e la Nato, che hanno interesse e premono per forzare tale principio, nel nome delle "ingerenze umanitarie" al fine di garantirsi diritti di intervento nei conflitti e nelle controversie internazionali, aggirando l’autorità e il sistema di veti e contrappesi garantito dall’Onu (in particolare il veto di Russia e Cina, in alcuni casi anche quello della Francia), come è stato nel caso della guerra nei Balcani; la difesa del primato dell'Onu e del suo Consiglio di Sicurezza (il cui ruolo va riformato, democratizzato, reso più rappresentativo ed efficiente, ma non vanificato) nella regolazione delle controversie internazionali, contro la pretesa di altri organismi come la Nato e i vertici G7/G8 di prenderne più o meno surrettiziamente il posto, "più Onu meno Nato". Nessuno si nasconde i limiti delle Nazioni Unite attuali, ma non esistono allo stato attuale altre soluzioni e istituzioni più avanzate e garanti del diritto internazionale; - l’opposizione ad ogni ulteriore espansione della Nato e del suo ruolo globale: piattaforma comune - salvaguardia della sovranità nazionale sulle proprie risorse, centralità dei poteri pubblici in economia, accordi regionali e internazionali di cooperazione tra stati e tra imprese pubbliche o miste; - difesa della sovranità politica, istituzionale e militare degli stati, in un quadro di regole garantite dall'ONU. Primato dell'ONU rispetto a ogni altra istituzione sovranazionale (NATO, G7); piu' ONU, meno NATO; no all'allargamento della NATO; - accordi bilanciati sul disarmo, a partire dalle potenze più armate; - multipolarismo contro unipolarismo.

FORZE MOTRICI E SCHIERAMENTI

Su questi contenuti c'è oggi la convergenza di uno schieramento internazionale vasto e diversificato, che include movimenti di lotta e di liberazione, popoli e paesi, governi e stati che comprendono la grande maggioranza della popolazione del pianeta. Anche se, va detto subito, ciò non si esprime ancora e prevedibilmente così' sarà per un periodo non breve in un movimento coordinato e strutturato mondialmente. Ciò attiene principalmente alla crisi del vecchio internazionalismo, definitivamente consumatori con il crollo dell'URSS e del vecchio campo "socialista" (ma la cui crisi comincia a manifestarsi già con la drammatica rottura tra comunisti sovietici e cinesi negli anni 60); che ha avuto come conseguenza, tra le altre, quella di una tendenza delle varie componenti comuniste e antimperialiste sopravvissute al terremoto di fine anni 80, a rinchiudersi prevalentemente nelle rispettive realtà nazionali, dovendo sovente far fronte a complesse emergenze e a problemi di vera e propria sopravvivenza. Sono stati per tutti anni difficili e in alcune situazioni (come quella italiana) non si può certo che l'emergenza sia terminata. Ma si sono pure manifestati, nel corso dell'ultimo decennio, importanti fattori di tenuta e di ripresa di un'insieme di forze antimperialiste e tra esse le maggiori e più' influenti forze comuniste del mondo, che delineano un quadro difficile, ma non disastroso né privo di prospettive. Il fallimento del vertice di Seattle, dovuto principalmente ai contrasti di interesse fra Stati Uniti, Unione europea e Giappone, all'opposizione dei paesi del terzo Mondo e, sia pure simbolicamente, alle contestazioni dei manifestanti, ha messo in luce che il processo di globalizzazione imperialistica procede in modo tutt'altro che lineare e produce contraddizioni e controtendenze significative. I processi in atto negli ultimi anni su scala mondiale non consentono alcun ottimismo facilone: le ripercussioni disastrose sui rapporti di forze mondiali seguite al crollo dell'URSS sono tutt'altro che recuperate, come ha dimostrato anche la guerra della NATO contro la Jugoslavia e lo slittamento neoliberale e atlantista della gran parte della socialdemocrazia europea. Ma non ve dubbio che importanti segnali di tenuta, di ripresa, di nuova accumulazione di forze nell'ambito dello schieramento antimperialista di cui sono parte essenziale i comunisti si sono manifestati nelle principali aree del mondo, con una propensione crescente a definire forme di raccordo, su basi quantomeno regionali, della loro iniziativa.

 AMERICA LATINA

In America latina è andato crescendo, attorno al forum di San Paolo il raccordo di tutte le sinistre del continente, la cui influenza elettorale media in tutta la regione sfiora ormai il 30%. In particolare si evidenziano: lo sviluppo delle forze comuniste e rivoluzionarie in Colombia (che incidono ormai sulla metà del territorio); la nuova situazione dirompente creatasi in Venezuela con la presidenza "bolivariana" di Hugo Chavez e il forte movimento popolare e nazionale cui ha dato impulso; la ribellione popolare in Ecuador, giunta alle soglie del potere; la grande avanzata del fronte delle sinistre nelle elezioni presidenziali in Uruguay dove il candidato del Frente Amplio, Tabarè Vazquez ha perso per un soffio il ballottaggio sfiorando la maggioranza assoluta dei consensi; il consolidamento di una forte sinistra sociale e politica nel continente brasiliano, attorno ai comunisti e al Partito del Lavoro (Pt) architrave di tutto il coordinamento antimperialista in America Latina è sempre Cuba e il suo partito Comunista. In fase ormai di ripresa dopo gli anni più difficili del "periodo special", essa conferma la sua grande capacità, tipica della migliore "scuola leninista", di coniugare fermezza politico-ideologica e costruzione di larghe alleanze su contenuti avanzati e possibili.

AFRICA

In Africa la regione più interessante è quella sub-equatoriale, dove il nuovo Sud Africa progressista (maggiore potenza economica, industriale e militare del continente) sta diventando il perno di un raccordo che comprende tutti i governi della regione, espressione di quei movimenti antimperialisti della regione che hanno segnato la storia passata e recente di questi paesi. Quattordici stati della regione si ritrovano oggi nel SADC (Southern Africa development community) - tra cui Angola, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico, Namibia, Sud Africa, Tanzania e Zimbabwe, cui è destinato presto a collegarsi anche il nuovo Congo progressista (ex Zaire) di Laurent Cabila - espressione di una comunità regionale che si propone di fronteggiare unita i problemi posti dalla globalizzazione capitalistica. Decisiva per tutti sarà l'evoluzione dell'orientamento del Sud Africa, dove all'interno della Anc - che governa con una maggioranza assoluta del 65% - si è aperto uno scontro politico tra tendenze moderate e neo liberali (incarnate dal nuovo presidente della repubblica Thabo Mbeki, succeduto a Mandela) e l'ala sinistra dell'organizzazione, rappresentata dal Partito comunista e dalla potente confederazione sindacale Cosatu (2 milioni di iscritti, il più grande di tutta l'Africa), che esprimono circa la metà della Anc e del suo gruppo parlamentare e 1/3 dei suoi ministri. Un ruolo importante svolge anche la Libia del colonnello Gheddafi, il cui rinnovato protagonismo si propone di rilanciare, insieme al Sud Africa e alle altre forze progressiste del continente, un progetto di unità africana, non sottomessa alle pretese del nuovo imperialismo.

L'EUROPA

L'Europa - dell'est e dell'ovest - (esclusa cioè l'area ex sovietica) non è certo una regione del mondo da cui sia prevedibile attendersi in tempi brevi rovesciamenti di linea rispetto agli orientamenti neo-liberali e atlantici prevalenti (incombono semmai rischi di slittamento ulteriore a destra, come segnala il caso austriaco). La guerra della NATO nei Balcani ha visto l'allineamento dello stesso governo delle sinistre in Francia (un posizionamento sulle cui implicazioni non si è riflettuto abbastanza). Ed anche eventuali accordi di governo "alla francese" che dovessero in futuro coinvolgere Spagna e Italia, comunque la si voglia valutare (e non mi addentro), non muterebbero sostanzialmente la collocazione strategica dell'Unione europea nel nuovo ordine mondiale e nella sua subalternità alla NATO. Una alternativa complessiva nella collocazione del continente non è all'ordine del giorno e la fase è quella di un lungo periodo di ricostruzione e di accumulazione di forze. Entro questi limiti, assistiamo in numerosi paesi della regione ad una tenuta o ad uno sviluppo dei maggiori partiti comunisti e di sinistra anticapitalistica: ad es. in Francia, Germania, Svezia, Portogallo, Grecia, Cipro, Ungheria, Repubblica Ceca, (dove gli ultimi sondaggi danno il partito comunista al primo posto col 23%, con uno spettacolare raddoppio). Anche in Spagna e in Italia, dove le recenti lezioni europee avevano visto un crollo di Izquierda Unida e di Rifondazione, la situazione resta problematica, ma non necessariamente irreversibile. In Turchia il movimento curdo continua a rappresentare una spina nel fianco per la stabilità di quel regime. In Romania una sinistra sociale e politica sembra ricostruirsi, a partire da una forte ripresa delle lotte dei minatori. Comunque la si voglia valutare, la sinistra jugoslava al governo del paese continua a rappresentare un importante punto di resistenza nei Balcani ad una compiuta normalizzazione atlantica della regione. Si tratta di operare per un crescente raccordo dell'iniziativa di tutte queste forze, superando "muri invisibili" e pregiudiziali ideologiche che ancora ostacolano una piena fluidificazione delle relazioni multi laterali e delle azioni congiunte tra comunisti e forze progressive dell'est e dell'ovest. L'assenza (o quasi) di iniziative comuni e continuative contro la guerra in Jugoslavia non solo è uno smacco grave per queste forze, ma segnala grosse difficoltà e resistenze a procedere con spirito unitario verso livelli più avanzati di unità d'azione.

REPUBBLICHE EX SOVIETICHE

Nell'area delle Repubbliche ex sovietiche e in Russia assistiamo ad una persistente e graduale avanzata delle forze di ispirazione comunista, socialista e antimperialiste (incluse quelle componenti nazional-patriottiche, antiamericane e anti-NATO, ostili alla colonizzazione dei loro paesi da parte occidentale e che, parafrasando Samir Amin, potremmo definire di "Nazionalismo positivo"). Queste forze sono maggioranza nei parlamenti di Russia, Ucraina, Moldavia, e compongono il blocco che sostiene il presidente Lukashenko in Bielorussia. La Russia, grande potenza in crisi, ma non omologata, resta un paese chiave dell'equilibrio mondiale. Grazie all'ampiezza del suo territorio che abbraccia due continenti, alla ricchezza di materie prime (si parla del 50% delle risorse del pianeta), del suo potenziale scientifico, tecnologico e industriale (oggi frustrato ma non dissolto) ed il suo apparato militare e nucleare, secondo solo a quello degli Stati Uniti. Qui, non solo la stragrande maggioranza della gente, ma anche la gran parte dei deputati alla "Duma" (inclusa un settore oggi vicino all'eningmatico Putin) condivide i punti politici e programmatici che abbiamo definito come cardini di una piattaforma antimperialista, ed è presumibile che prima o poi, nonostante trasformismi e doppiezze, ciò influisca - come in parte già avviene - sulle scelte di fondo e sulla collocazione internazionale di quel grande paese.

L'ASIA

L'Asia che include gran parte del territorio dell'ex Urss, è il continente in cui gioca la sfida per l'egemonia mondiale nel 21° secolo e, a tutt'oggi, il meno omologato al "nuovo ordine". Su ciò concordano - da Kissinger a Brezinskj - tutte le teste d'uovo della politica globale degli Stati Uniti. In Asia, sono le tre maggiori potenze non omologate - Russia, Cina e India - che comprendono circa metà della popolazione del pianeta e oltre un quinto della ricchezza prodotta sul pianeta, con prospettive di giungere a circa un terzo nei prossimi vent'anni, secondo stime della Banca mondiale. Grandi paesi non omologati sul piano economico, perché il modello neoliberale non vi è organicamente imposto: anche in India, dove pur essendo assai forte e penetrante la pressione in questo senso, con il consenso del nuovo governo della destra Indù, permane un'importante settore pubblico dell'economia, i cui tentativi di smantellamento incontrano resistenze fortissime. Il che è ancora più vero per la Russia, in cui vi è anzi un revival di "statalismo" per non parlare della Cina, dove il settore pubblico resta dominante. Grandi paesi non omologati sul piano politico e militare, dove si va da collocazioni di non allineamento a posizionamenti di aperta ostilità agli Stati Uniti e alla NATO, tutti e tre i paesi hanno condannato la guerra contro la Jugoslavia, si oppongono all'espansione a est della NATO, all'egemonismo americano e atlantico e portano avanti programmi di modernizzazione del proprio armamento convenzionale e nucleare il cui obbiettivo di contrappeso alla NATO è evidente. Ciò è vero soprattutto per Russia e Cina che hanno siglato negli ultimi anni diversi trattati di partnership strategica in campo economico, politico e anche militare, in cui la componente anti-americana, anti-egemonista e anti-NATO non è stata dissimulata (ivi compreso un'accordo di cooperazione comprendente Cina, Russia, Kazakhistan, Kirghizistan, e Tadzhikistan).Non è un caso se nel comunicato congiunto seguito all'incontro di Pechino del dicembre scorso tra Elzin e Jang Zemin, vengono citati una serie di punti caldi di divergenza con l'attuale politica degli Stati Uniti e della NATO: - sostegno ad un assetto mondiale, democratico e bilanciato, contro ogni forma di egemonismo e unipolarismo o pretesa di imporre singoli modelli culturali, sistemi di valori o ideologie; - rafforzamenti dell'ONU e della sua centralità nelle relazioni internazionali, rifiuto dell'espansione della NATO e del suo ruolo globale; - difesa della sovranità nazionale degli Stati, eguale status per ogni stato, rifiuto di ogni interferenza degli affari interni. Rifiuto del principio "dell'ingerenza umanitaria", e del criterio per cui "i diritti umani sono più importati della sovranità"; - mantenimento del Trattato Abm, come da mozione congiunta approvata dall'assemblea dell'ONU, su proposta di Cina, Russia, e Bielorussia; - opposizione al progetto americano di un nuovo sistema di difesa antimissile che gli USA vorrebbero dispiegare nella regione asiatica del pacifico; - condanna della non ratifica da parte USA del Trattato sulla non proliferazione nucleare; - opposizione ad ogni sistema di armamento nello spazio, avvio di una Conferenza Internazionale sul disarmo bilanciato, con una agenda precisa; - sostegno reciproco per l'ingresso di Russia e Cina nel WTO, con condizioni che assicurino ad ogni paese eguale status nel sistema mondiale di commercio estero, e tenendo conto dei livelli di sviluppo dei diversi paesi, soprattutto più poveri; - rifiuto di ogni separatismo etnico; - ritiro delle sanzioni all'Iraq, affermazione del principio per cui la questione irachena può essere risolta solo dall'ONU e con mezzi pacifici; - condanna delle tendenze alla separazione del Kossovo dalla Repubblica Federale Jugoslava, richiesta di attuazione piena della risoluzione 1244 dell'ONU che riafferma la piena sovranità e integrità territoriale della Jugoslavia; - sostegno russo alla riunificazione di Taiwan alla Cina, sostegno cinese a Mosca sulla questione cecena, riconosciuta come affare interno.

NUOVI EQUILIBRI INTERNAZIONALI

Il consolidamento in Russia, Cina e India delle tendenze più determinate a resistere ad una integrazione subalterna nel nuovo ordine mondiale avrebbe un impatto enorme sugli equilibri internazionali, presenti e futuri. E peserebbe innanzitutto, come in parte già avviene, sull'orientamento e sulla collocazione dei paesi circostanti, incoraggiandovi le tendenze meno omologanti. Penso ad alcuni paesi arabi (Iran, Iraq, Siria, Palestina …), al Nepal, alla Mongolia, alle Repubbliche asiatiche dell'ex URSS, alle dinamiche nella penisola coreana. Penso all'Indocina, dove già il Vietnam, legato fortemente a Laos e Cambogia, svolge un ruolo di potenza subregionale e influisce sulla dialettica interna ai paesi dell'Asia. Penso alla situazione sociale e politica esplosiva in paesi come le filippine e l'Indonesia, dove sono cresciuti forti i movimenti di massa, sull'onda della crisi asiatica. Penso al segnale incoraggiante e fortemente simbolico che viene dal Giappone (paese chiave dell'equilibrio regionale, emblema del capitalismo più sviluppato), dove il Partito comunista ha visto negli ultimi due anni straordinari exploit elettorali che lo hanno portato ai suoi massimi storici (16% su scala nazionale, oltre il 20% a Tokyo), con un forte impulso alle lotte sociali, sindacali e alla mobilitazione contro alla presenza delle basi militari USA sul territorio nazionale. Come si vede, il quadro sia pure sommario e incompleto delle principali forze che a livello mondiale sono riconducibili, a livelli diversi, dentro dinamiche di tipo oggettivamente "antimperialista", antagoniste o contraddittorie rispetto al nuovo ordine mondiale, è assai vasto e diversificato. Compito dei comunisti e delle forze rivoluzionarie è quello di operare con pazienza e spirito di unità (respingendo ogni tentativo, comunque motivato, di introdurre artificiose divisioni o contrapposizioni tra queste forze) alla costruzione di forme sempre più efficaci di raccordo e iniziativa comune o convergente, a partire dai rispettivi contesti regionali. Nella prospettiva, oggi ancora immatura, ma non eludibile, di un loro collegamento su scala globale. Per la costruzione di un "Forum" internazionale di tutte le forze comuniste, rivoluzionarie e antimperialiste - a sinistra dell'internazionale socialista, ma capace di operare sulle sue interne contraddizioni - che sappia aprire ai popoli del mondo le frontiere di un nuovo internazionalismo al passo coi tempi.

da Liberazione - il Dibattito - Mercoledì 17 maggio 2000 -

 Si ringrazia la compagna Patrizia Bezeredy, che ha trascritto il testo da un paio di fotocopie, tra l'altro quasi illeggibili, forniteci dal compagno Stefano Ghio di Rosso Operaio che lavora in Segreteria Prc di Genova. Grazie ad entrambi i compagni.


scrivete a linearossa@virgilio.it

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