DUE GRADITI RITORNI:
MARX E LA LUNGA DURATA

La Storia d'Italia della Teti letta dal notista de L'Unità

Bruno Gravagnuolo

Venticinque volumi, 250 autori italiani e stranieri,  315 saggi, 12.538  pagine. Costo complessivo del «blocco» un milione e ottocentomila. Sono i numeri della «Storia della Società Italiana» edita da Teti, opera monumentale che sfida le altre due grandi opere ormai entrate nella tradizzione patria della storiografia:
la Storia d' Italia Utet, e quella EIaudi. Regista dell' iniziativa, oltrea Nicola Teti, lo storico Franco Della Peruta, con Giovanni Cherubini, EttoreLepore (scomparso), Mario Mazza, GiorgioMori, Giuliano Procacci e Rosario Villari. È un gigantesco racconto dell'Italia in senso forte, nel senso intanto di dar per scontato che «l'Italia esiste». Sin dall'unificazione amministrativa romana nata dalle guerre di Cesare. Racconto con un gradito ritorno: Marx, fresca superstar Bbc-On Line. Il cui «metodo», e non la lettera dottrinaria, impregnano una «storia sociale totale». Una vicenda unitaria, sia pur disseminata di fratture. Al centro, l'economia, le istituzioni, le classi sociali, la tecnica, le grandi ideologie, non intese come "sovrastrutture",  epifenomeni. Ma come forze motrici di epoche e di eventi.
Di tutto questo, e dell'opera, s'è parlato ieri sera [5 ottobre 1999,ndr] a Roma, all'Aula del Cenacolo della Camera in Vicolo Valdina. C'erano con Franco Della Peruta, alcuni degll autori, come il medievista Giovanni Cherubini, lo storico dell' amministrazione Ettore Rotelli, Luciano Canfora, antichista, Lucio Villari, contemporaneista, ePaoloMieli, direttore editoriale Rizzoli e già direttore del "Corriere". Della Peruta, studioso del Risorgimento, ha illustrato le idee-forza dell'opera. Parlando del suo marxismo sui generis: "un nucleo classico, incentrato su rapporti di produzione e forze produttive, con attorno la società, la civilizzazione, le idee". Dunque un "filo logico": la narrazione delle trasformazioni millenarie. Mutazioni della "produzione e della riproduzione del mondo". E un canovaccio ben preciso: la diacronia storica della penisola, dentro la "storia-mondo". Esplicita ambizione: riformulare il programma delle "Annales". Ma senza frantumare il processo storico. Ricongiungendo i vari "tempi" della storia alla "grande storia politico-sociale". Esempi: l'igiene. Ovvero, la vicenda della "malattia", che falcidia le grandi masse, e che cambia però il suo impatto man mano che il paesaggio cambia, a contatto con le bonifiche. Con i progressi della medicina, e le grandi profilassi dello stato nazionale post-risorgimentale. Anche se poi ci vorrà "il Ddt degli angloamericani nel 1944, per debellare la malaria".  E poi tante «persistenze», e cioè tanta «lunga durata».  Ad esempio «le cento città di cui parlava Cattaneo, come principio distintivo della storia d' Italia". Città-avanguardie della civilizzazione europea, ma ostacolo per la rottura nobiliare con la campagna - allo stato unitario. E qui, un altro gradito ritorno: Gramsci, e la  sua storia dei colti e dei ceti sublaterni.  Di fatto intrecciata alla subalternità dell' Italia - terra del Papato- verso le grandi monarchie nazionali del tre - quattrocento.
È la volta di Canfora che plaude il coraggio con cui l'opera ha tagliato il vecchio nodo gordiano: "c'era l'Italia prima del 1861?". Croce risponeva di no, ma il pool degli studiosi di quest'opera va in senso opposto. Come s'è detto. Altro elogio di Canfora: "C'è vera storia divulgativa solo quando c'è ricerca nuova sull'antico. Come in questo caso. Non quando la Cliofilia (passione per la storia) è ingombro antiquario o ideologico". Critico invece Lucio Villari: "Perchè non s'è considerato il ruolo della musica, del melodramma, del teatro, nella storia d' Italia? E perchè manca un capitolo sui giornali nell'Italia moderna? Sul ruolo dei giornali - istituzione?".  Cherubini, medievista, ha ricordato il pluralismo dei volumi: «Sono contento di aver lavorato con Franco Cardini e Ovidio Capitani, studiosi agli antipodi». Mentre Rotelli ha parlato di capitoli da scrivere, a distanza di anni: «Riscriverei tale e quale quello sull' accentramento amministrativo dell' Italia liberale. Critico invece le pagine elogiative sul compromesso storico di Berlinguer". E prima di lui aveva detto Paolo Mieli: "E' un luogo comune che la cultura marxista - di cui l'opera è espressione - sia stata solo dogmatismo e settarismo. Oltre al pluralismo qui c'è una bussola. C'è una storia pensata". Insomma per Mieli, "il marxismo italiano, che sta dietro quest'affresco, fu anche liberale, aperto". E se lo dice un polemista "revisionista" come lui, magari c'è da credergli.
 
 

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