linea Rossa
(nr.17 - ottobre/novembre 2000)

 

IL PARTITO E IL DIBATTITO

Il PRC, una formazione transitoria o storicamente necessaria?

Rifondazione Comunista deve saper trasformare, in tempi politici, l’inerzia di un insieme di militanti, in quadri consapevolmente lucidi dei loro compiti

----- Alessandro Valentini ------

Dunque, senza una teoria della trasformazione una forza antagonista non si trasforma in partito comunista e soprattutto non è in grado di competere e reggere il confronto storico con le socialdemocrazie. L’aver operato la distinzione tra le due sinistre è un passo impegnativo, che va nella giusta direzione. E’ un passo non di poco conto che da solo però non garantisce un ulteriore sviluppo del processo rifondativo.
La fragilità del PRC, come di molti altri partiti comunisti europei, è, innanzi tutto, una fragilità teorica. Con l’esistenza del campo socialista si poteva anche soprassedere alla soluzione del problema della rivoluzione in Occidente; il socialismo reale avrebbe dimostrato la sua superiorità sull’imperialismo attraverso la competizione pacifica (coesistenza pacifica) tra due modelli alternativi: quello dell’URSS e quello USA. Per i comunisti occidentali era sufficiente fare una scelta di campo e dedicarsi con passione e determinazione a promuovere lotte sociali e conflitti nel loro paese per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori. Tentare, cioè di crescere e allargare la loro influenza sulle masse popolari difendendo l’ideologia comunista ma praticando una politica riformista. Il bisogno di un maggiore coraggio teorico fu sentito da pochi e con scarsi successi. Anche sul terreno politico le cose non andarono meglio. In Italia, Luigi Longo, ebbe alcune intuizioni. Decise, ad esempio, di pubblicare, superando non poche resistenze e contrarietà nel gruppo dirigente del PCI, Il Memoriale di Yalta di Togliatti.
(..)
Il Partito della Rifondazione Comunista è una formazione storicamente transitoria nel panorama politico nazionale e internazionale? Per quanto mi riguarda non ho dubbi sulla sua necessità storica. Questa però è una convinzione, non una prova della sua necessità.
(..)Per questo Rifondazione Comunista deve saper trasformare, in tempi politici, l’inerzia di un insieme di militanti, spesso orfani del PCI, in quadri consapevolmente lucidi dei loro compiti. Non è più sull’identità comunista – o non più solo su questa – che un’area di consenso politico ed elettorale, legata alla nostalgia del PCI, si attiva alla lotta. E’ necessario la formazione di un gruppo dirigente portatore, per dirla con Gramsci, di “una riforma intellettuale e morale” (Note sul Machiavelli). Ma per poter svolgere questa funzione esso deve acquisire, nel vivo della lotta e nella dura costruzione di una organizzazione comunista adeguata, quell’esigenza materiale e intellettuale che è alla base dell’antagonismo di classe.
(..)
Si torna così a Lenin: “Senza teoria rivoluzionaria non vi è partito rivoluzionario”. (..) Questa è la vera fragilità del Partito della Rifondazione Comunista, che ha definito nel suo IV Congresso nazionale la prospettiva della alternativa di società ma non ancora una linea politica adeguata per realizzarla.

Stralci dal testo di Alessandro Valentini: La vecchia talpa e l’araba fenice, La città del Sole, 2000, pp. 154-159.



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