linea rossa-lavoro politico
 

Angiolo Gracci (fondatore):la vita, gli scritti
Ferdinando Dubla (direttore):biografia e opere
 
 

Verso il congresso

 

*Contributo di Vincenzo Calò

 

http://www.fdstaranto.it/images/stories/pdcifdsmovi.gifLe novità politiche sono alle porte, eppure tardano ad arrivare. L’Italia, “grazie” a questo governo, vive una delle stagioni più buie della propria storia, perché la crisi economica e lo stato di malessere di gran parte della popolazione sono diretta conseguenza di politiche liberiste che hanno viziato l’intero sistema. Oggi siamo chiamati a sconfiggere quel sistema culturale ancor prima che Berlusconi alle prossime elezioni, se pur l’uno è diretta conseguenza dell’altro. Eppure questo governo galleggia ma non affonda, arroccandosi su posizioni sempre più contestate oltre che distanti dalla società. I risultati delle ultime elezioni amministrative e il moto di partecipazione di tutto un popolo che ha sancito la vittoria referendaria sono segnali inequivocabili. È il momento in cui ognuno deve svolgere al meglio il proprio ruolo. Il nostro, quello dei comunisti, è basilare.

Prima del risultato così importante conseguito alle amministrative, neanche più si parlava di noi, qualcuno ci ha fatto credere che eravamo arrivati fuori tempo massimo rispetto alle nuove dinamiche della società. Non ci siamo arresi. Oggi ci vengono rivolte grandi attenzioni, dagli addetti ai lavori, ma anche da parte dell’opinione pubblica, dalla parte buona della società che sa bene che un mondo migliore è possibile solo grazie ai comunisti. Abbiamo condizionato le scelte sui candidati che hanno vinto le primarie, quindi le elezioni nei comuni più importanti. Abbiamo abbracciato con convinzione, mettendoci a disposizione dei comitati promotori, la causa referendaria; così come eravamo al fianco della Fiom e dei lavoratori della Fiat nella partita per il NO all’accordo separato. Abbiamo dato fondo ad ogni energia residua, in alcuni casi alle modeste risorse finanziarie ancora disponibili, in tutti i territori, grazie al grande sforzo di militanza dei nostri compagni e delle nostre compagne, pur di continuare a combattere la nostra battaglia e non darci mai per vinti. I nostri temi sono tornati imperiosi nel linguaggio della politica: beni comuni; uguaglianza; antifascismo; legalità; giustizia; democrazia; libertà, antifascismo; lavoro; lotta alla precarietà: pace; fisco equo; scuola pubblica; ambiente. In un sistema di alleanze difficilmente si può prescindere da noi, se si vuole non solo battere Berlusconi ma intervenire per la salvaguardia del sistema democratico di questo Paese e sulla difesa della Costituzione. Difficilmente si può prescindere da noi se si vuole intervenire sulle politiche sociali, sempre più deficitarie per le classi meno abbienti. Difficilmente si può prescindere da noi in una battaglia delle idee che intervenga su quello che oggi è il pensiero dominante. Il nostro ruolo insomma è definito dalla storia, serve che lo perpetriamo nei modi giusti.
Il Congresso che svolgeremo in autunno sarà l’appuntamento che farà chiarezza su molte cose. Innanzitutto sul sistema di alleanze necessario per sconfiggere Berlusconi ma anche per garantire la giusta rappresentatività del mondo del lavoro. Il Congresso darà risposta al bisogno di unità a sinistra e tra le forze della sinistra gridato a gran voce dal nostro popolo, quindi sul futuro della Federazione della Sinistra. Il Congresso misurerà lo stato del processo di unità dei comunisti e all’occorrenza lo alimenterà ancor di più. E ancora, il Congresso definirà la nuova organizzazione del Partito e i raccordi necessari con la Federazione della Sinistra.
Abbiamo insomma un periodo impegnativo di lavoro per definire le linee guida del nostro agire in chiave prospettica. Non faremo mancare, ancora una volta, volontà e perseveranza. Intanto ci prepariamo per l’ipotesi di elezioni, che tardano ad arrivare. Tuttavia non dobbiamo abbassare il livello della discussione al nostro interno e della militanza attiva. Le tante, importanti richieste di adesione, soprattutto dei giovani, ci incoraggiano a continuare e se possibile a fare ancora di più e meglio.

 

-          I Congressi territoriali (mi riferisco a quelli provinciali e di sezione) che si terranno tra luglio e settembre (quelli regionali verranno svolti dopo il Congresso nazionale), saranno certo luogo di importante confronto tra compagni, vecchi e nuovi, da cui prenderanno corpo le linee guida del Partito che saranno poi sancite dall’assise nazionale. Altrettanto importante sarà aprirsi all’esterno e porre in essere momenti di confronto con quelle realtà che guardano verso di noi, rispetto alle quali abbiamo un po’ perso l’abitudine al contraddittorio. Serve interagire con le piazze, coi luoghi di lavoro e di contrapposizione sociale, con gli ambiti di aggregazione giovanile, ovvero confrontarsi con queste realtà per tracciare le linee di una nuova coscienza civile e favorire la partecipazione popolare. Sono, in tal senso, altamente importanti le feste che già si stanno svolgendo in gran parte dei territori in cui siamo presenti, che sanciscono un patto tra noi, le nostre idee e la gente, condizione per noi essenziale al fine della migliore definizione del nostro ruolo. Così come sono importanti le feste del tesseramento che danno nova linfa alla nostra organizzazione.
Il momento, insomma, è propizio e va capitalizzato. Non solo ai fini di un mero consenso elettorale o di delega. Va capitalizzato non con la costituzione dei nuovi organismi di partito. Va capitalizzato non solo per la nostra sopravvivenza, quindi per la nostra visibilità esterna. Va capitalizzato non con un sistema di alleanze che ci piace. Va capitalizzato non con un ruolo diverso nelle istituzioni. Va, bensì, capitalizzato nel raggiungimento dell’obiettivo della partecipazione e della vera utilità del nostro agire per i lavoratori e le lavoratrici. Va capitalizzato con la trasformazione della società ed il concreto prevalere delle nostre idee.

Va capitalizzato con un’opera di servizio verso la causa della pace, perché anche le ultime guerre in Medio Oriente vanno chiamate col loro nome, ovvero guerre imperialistiche; verso la difesa del lavoro e dei lavoratori e a sostegno dell’occupazione, soprattutto quella giovanile; verso la difesa della giustizia come cultura prevalente, basata su una legge che sia davvero uguale per tutti; verso la scuola pubblica, che ritorni ad avere il suo ruolo propulsivo nella società; verso l’università e la ricerca scientifica, che riacquistino la dignità negata; verso la democrazia e la difesa della Costituzione, che ribadisca la centralità dell’antifascismo; verso il necessario rilievo della cultura e degli operatori culturali, ritenuti oggi praticamente superflui; verso l’essenzialità di un sistema che veda il pubblico come prioritario ed il privato al servizio dei bisogni della collettività non del profitto. Il momento propizio va capitalizzato per perseguire una vera strada di cambiamento. Tutto all’insegna dell’alta valenza etica e morale dei nostri comportamenti e in nome di una diversità di cui andare fieri, basata su antichi presupposti che sono essi stessi la prospettiva, in ragione dei valori di unità ed autonomia, necessari al fine di perseguire gli obiettivi reali per il nostro popolo, non quelli propri per noi stessi.

 

*Vicepres. Comm. Garanzia; resp. Tesseramento Pdci

 

 

 


 

 

 

Gramsci ha meditato a lungo sul consenso dei contadini. Proprio questi ultimi costituivano, infatti, quella massa cui partecipazione all' azione risorgimentale le avrebbe dato un sostanziale contenuto sociale e un adeguato impulso rinnovatore. Gramsci precisa che il movimento democratico avrebbe realizzato tale disegno e tale strategia se fosse stato capace di farsi partito "giacobino": se avesse saputo far propri gli interessi e le esigenze della classe contadina attraverso una riforma agraria volta a spezzare il latifondo e a creare un ceto di contadini piccoli proprietari. Proprio questo obiettivo era stato tenuto presente dai giacobini francesi, i quali avevano in tal modo evitato l' isolamento delle città e convertito le campagne alla rivoluzione. Solo così essi erano riusciti a superare la situazione di minoranza elitaria in cui si erano trovati inizialmente, e a sconfiggere le forze della reazione aristocratica. Tutto ciò non significa per Gramsci che il risorgimento sia stato un processo storico completamente negativo. In effetti esso ha favorito non solo l' unificazione della penisola ma anche la crescita della borghesia, gettando con ciò alcune premesse per lo sviluppo di una fase capitalistica in Italia. D' altra parte tale sviluppo si è realizzato in misura insoddisfacente; inoltre il nuovo stato si è costituito su una base sia economico sociale che politica assai ristretta. In effetti, per un verso il neonato capitalismo (concentrato nelle sole regioni settentrionali), non ha potuto usufruire di un adeguato mercato per i suoi prodotti, a causa dell' arretratezza economica della società italiana, soprattutto meridionale. Per un altro verso le masse indigenti (in primo luogo i ceti contadini) abbandonate sostanzialmente a loro stesse, non sono riuscite a divenire parte attiva della nuova compagine statuale. Quanto ai raggruppamenti politici anche più aperti e democratici, si sono rivelati incapaci di approfondire i loro legami con le forze sociali potenzialmente disponibili a un' azione di reale emancipazione. Se tutto ciò è vero, si tratta per Gramsci di elaborare le condizioni di una profonda trasformazione della realtà italiana emersa dal processo risorgimentale: una trasformazione il cui obiettivo finale deve essere quella rivoluzione sociale - anzi socialista - che il risorgimento non ha saputo compiere. A giudizio di Gramsci