linea
rossa-lavoro politico
Angiolo Gracci (fondatore):la vita, gli
scritti
Ferdinando Dubla (direttore):biografia
e opere
Il congresso costitutivo della Federazione della Sinistra
di Andrea Catone
su l'Ernesto Online del 26/11/2010
Al di là di non
pochi limiti, manifestatisi nella preparazione e nello svolgimento dei congressi
locali e di quello nazionale della Federazione della Sinistra (FdS), svoltosi a
Roma il 20-21 novembre 2010, si è fatto un significativo passo avanti lungo la
linea della ricostruzione comunista e della promozione e organizzazione di un
fronte popolare di resistenza sociale e politica anticapitalista. È la linea che
l’ernesto si è data da diverso tempo, sviluppata in decine e decine di
interventi e nell’azione politica dei compagni.
Il congresso di Roma ha discusso di fatto delle due questioni, tra loro legate,
ma distinte, che noi ponevamo: caratteri della federazione della sinistra e
unità/ricostruzione comunista.
In merito alla prima, il documento politico e lo statuto approvati nel congresso
di Roma, nonché gli interventi dei principali esponenti delle forze politiche
che hanno dato vita alla FdS e di alcuni “senza partito”, tracciano con
sufficiente chiarezza il quadro del nuovo soggetto politico: ha una sua forte e
radicata identità nel riconoscimento della centralità del conflitto
capitale/lavoro, nella difesa e rilancio della Costituzione del 1948 (in
particolare per quel che riguarda i lavoratori e l’intervento pubblico, sotto
controllo democratico, in economia). Non è un mero cartello elettorale, che vive
solo in occasione delle elezioni e in funzione di esse, ma ha una sua vita
propria che quotidianamente la impegna nelle lotte sociali e politiche con un
profilo ben preciso e un’organizzazione che si struttura nei luoghi di lavoro e
in “case della sinistra” territoriali.
Ma, al tempo stesso, non è lo scioglimento al suo interno delle forze politiche
che ne hanno promosso la costituzione. In ciò si colloca agli antipodi del
disegno “arcobalenista” bertinottiano. I partiti, e tra questi i partiti
comunisti, mantengono la loro autonomia politica, culturale, organizzativa.
Lo spirito dello statuto, la cui elaborazione è stata certamente non facile, si
muove sull’arduo crinale della autonomia e della unità: mantenere l’autonomia
delle rispettive forze politiche (rispettoso, quindi, anche dell’autonomia
comunista) e trovare al contempo la forma più adeguata di partecipazione attiva
e unitaria al suo interno. Lo statuto mira a garantire che non vi siano
prevaricazioni di una forza politica sull’altra: “di norma nei consigli politici
nessuna organizzazione federata può esprimere la maggioranza assoluta delle
componenti” (art. 4e). Per di più, “ogni decisione su ogni atto della FdS, a
qualunque livello organizzativo”, richiede una maggioranza iperqualificata: i
tre quarti dei votanti in presenza del numero legale (art. 4c), maggioranza che
viene esplicitamente ribadita anche per la “elezione degli organismi dirigenti e
per le decisioni in materia elettorale” (art. 4h). Di fatto, il principio “una
testa un voto” enunciato negli artt. 4b, 4e - che sarebbe proprio di una
formazione politica unitaria e non di una federazione/confederazione, che
mantiene l’autonomia dei soggetti organizzati che la costituiscono - viene
depotenziato: a) dalla norma che richiede che nessuna forza politica superi il
50% nei consigli politici; b) da quella che stabilisce che “i soggetti federati
esprimono direttamente il 25% nella formazione dei consigli politici a ciascun
livello” e dall’assunzione dei “rappresentanti dei soggetti federati” come
“componenti di diritto degli organismi dirigenti di livello omologo”; c) dalla
maggioranza iperqualificata dei tre quarti.
Il meccanismo è indubbiamente piuttosto macchinoso e complicato e potrebbe anche
portare allo stallo o ad una iperlentezza nell’assunzione e attuazione delle
decisioni. Ma è quello che oggi poteva realisticamente essere raggiunto. E non è
un compromesso al ribasso.
Non bisogna ignorare infatti che la proposta della federazione ha incontrato una
tenace opposizione e notevoli incomprensioni tra diversi dirigenti e militanti
di Prc e Pdci tanto a “destra” che a “sinistra”, con motivazioni opposte, ma
convergenti nel rifiuto della federazione, la cui costituzione è stata
fortemente imbricata con l’altra questione che ci sta particolarmente a cuore,
la questione della ricostruzione unitaria del partito comunista.
Si parva licet, in una diversa situazione storica, quale ad esempio quella del
dibattito nel Comintern sulla politica di fronte unico o su quella che viene
sancita dal VII congresso (1935) dell’IC sui fronti popolari, non era all’ordine
del giorno la questione comunista, che era stata già risolta con la formazione
dei partiti comunisti aderenti all’IC sulla base dei suoi punti fondamentali e
della successiva politica di bolscevizzazione. La questione centrale era data
dal modo in cui i partiti comunisti costruivano un fronte di alleanze sociali e
politiche con altri partiti (in particolare i socialisti) di ispirazione operaia
e popolare. Problema rilevantissimo, certo, ma delimitato alla sola questione
delle alleanze e non anche a quella delle “identità”. Nella nostra miserevole
situazione presente, invece, le due questioni – del partito comunista e del
“fronte unito” – si sono intrecciate e accavallate, ingenerando equivoci,
incomprensioni, sospetti.
E ciò non casualmente, perché la federazione della sinistra, agli inizi
dell’estate del 2009, scaturisce come risposta del segretario del Prc Paolo
Ferrero alla questione, posta con chiarezza dal congresso straordinario del pdci
(2008), della riunificazione dei due partiti sorti dalla scissione dell’autunno
1998. Proposta che, nonostante l’avvio di un percorso comune alle elezioni
europee della primavera 2009, rimaneva nel limbo, soprattutto a causa delle
forti resistenze interne al prc ad avviare un processo di unificazione col Pdci;
resistenze presenti non solo in quelle aree del partito ancora fortemente legate
all’eredità ideologica del ‘bertinottismo’ dei primi anni 2000 (mitizzazione del
“movimento dei movimenti”, spirale guerra-terrorismo, assolutizzazione della
non-violenza, rigetto della categoria di imperialismo, assunzione del concetto
negriano di “moltitudine” in contrapposizione al concetto marxiano di “classe”,
rottura netta con l’Ottobre e la storia comunista del 900), ma anche, pur se per
ragioni diverse, in maniera diversa e con differenziazioni e articolazioni
interne, nell’area di “Essere comunisti”, nonostante il fatto che essa si fosse
caratterizzata per la decisa opposizione critica - di cui il documento
presentato al VI congresso del Prc di Venezia nel 2005 rappresenta la sintesi
più organica - alla deriva bertinottiana.
Nella proposta di federazione si sovrapponevano così due questioni diverse,
entrambe fondamentali per il movimento operaio italiano: ricostruzione comunista
e costruzione di un fronte unito di alleanze sociali e politiche. E per questo
imbricamento delle due questioni si è avuto il paradosso di attacchi contro la
FdS tanto da parte di alcuni compagni fautori della ricostruzione e unità del
partito comunista, che hanno visto in essa il marchingegno per abbandonare
l’obiettivo del partito comunista e far rientrare dalla finestra il progetto
dell’Arcobaleno scacciato dalla porta, quanto di coloro che, pervicacemente
contrari a qualsiasi rapporto con il Pdci e con quello che esso rappresenta come
erede del comunismo italiano, vedevano nella federazione il cavallo di Troia per
realizzare quell’unificazione dei comunisti da essi apertamente avversata nei
comitati politici e nella direzione del Prc.
Oltre un anno fa, nel documento presentato a settembre 2009 al Cpn del Prc, i
compagni de l’ernesto ponevano invece la questione in termini diversi, cercando
di essere dialettici e non unilaterali, sostenendo il fatto politicamente
positivo dell’aggregazione e unificazione di forze anticapitaliste, ma senza
rimuovere la questione comunista. Coglievano cioè – per riprendere la battuta di
Vladimiro Giacché nel suo intervento al congresso di Roma – la sensatezza della
costituzione della FdS, nata dall’insensatezza della divisione dei partiti
comunisti. Vale la pena oggi riportare ampi passi di quel documento:
“Di fronte all’incalzare della crisi che comporta massicce perdite di posti di
lavoro e pesanti tagli alla spesa sociale è necessario che i comunisti
costruiscano una linea politica in grado di mobilitare e organizzare la
resistenza operaia e popolare, ponendo ‘obiettivi intermedi’ che consentano di
riconquistare – nella guerra di posizione – alcune trincee e casematte di difesa
sociale e politica.
I comunisti devono saper trasformare la protesta in proposta politica, e attorno
ad essa coagulare il più largo schieramento di forze sociali e politiche non
omologate, capace di incidere anche sulla base sociale del PD e persino su
quella di forze a direzione reazionaria come la Lega.
Consideriamo il lavoro unitario con i compagni del Pdci, della Rete dei
comunisti e dei tanti comunisti senza partito utile e importante. Occorre
intensificare i momenti di unità concreta. Organizzare iniziative unitarie dei
comunisti è un fattore essenziale per rimettere in circolo, insieme, energie,
esperienze, idee, contatti, promuovere resistenze e lotte.
La Federazione della sinistra deve essere in questo contesto un momento della
ricostruzione di un fronte popolare anticapitalista, che si doti di un programma
d’azione, di iniziative politiche, che sappia sviluppare momenti di unità e
lotta contro il capitale. È nella migliore tradizione comunista la proposta di
costruzione di organismi unitari per la lotta di massa.
Per questo ribadiamo che la Federazione
- non è l’approdo disperato che cerca di mettere insieme i cocci rimasti, non è
l’unione di debolezze, che cercano di rabberciare un’unità purchessia.
Concepirla come una sorta di ultima spiaggia dei sopravvissuti sarebbe
subalterno e immediatamente perdente, del tutto opposto al modo in cui i
comunisti, pur ridotti numericamente, devono porre la questione;
- non è l’unione di ceti politici, non deve essere un’operazione “politicista”;
- non deve essere solo un cartello elettorale;
- non è e non deve essere l’embrione di un nuovo partito politico “di sinistra”,
una sorta di variante di sinistra del progetto bertinottiano;
- non può e non deve essere l’alternativa al necessario processo di unificazione
delle forze comuniste, a partire da Prc e Pdci. Un processo di unificazione che
è cosa diversa dalla federazione (seppur funzionale ad essa, nel senso che più è
forte il partito comunista più è forte la federazione) e che deve essere
sostenuto da una quanto mai necessaria “spina dorsale” politica e teorica
all’altezza del tempi e dell’odierno scontro di classe, una “spina dorsale” che
occorre costruire nella ricerca politica e teorica aperta, attraverso il
conflitto sociale.
La Federazione non è quindi la risposta alla crisi del PRC, del PdCI, di
Socialismo 2000 (come unione delle ‘debolezze’), ma lo strumento di lotta
sociale e politica, per una politica di resistenza di massa alla crisi
capitalistica.
La federazione è l’incontro di forze comuniste con forze e movimenti
anticapitalisti e antimperialisti.
Unità e distinzione sono fondamentali perché la federazione possa avere una
prospettiva politica seria e non effimera, poiché un tentativo della “riduzione
ad uno” dei vari soggetti porterebbe non solo alla fine dell’autonomia
comunista, ma alla stessa implosione della federazione.
La federazione può realizzare un fronte ampio con organizzazioni politiche,
sindacali, comitati di lotta contro la crisi e di resistenza alle politiche
capitalistiche e imperialistiche. La federazione opera per l’unificazione delle
diverse resistenze e lotte – fabbrica, ambiente, sanità, scuola, difesa e
rilancio della Costituzione del 1948, democrazia, pace, contro il razzismo, la
xenofobia e il neofascismo – e per uno sbocco politico ad esse. Il PRC, in
quanto partito comunista che mira alla rifondazione-ricostruzione comunista,
deve muoversi in due direzioni, egualmente importanti e assolutamente
complementari e convergenti:
1. Unificare le forze comuniste – non solo sulla base del nome, o dei simboli,
che pure non sono indifferenti, ma sulla base del progetto strategico e di una
tattica politica ad esso conseguente. È fondamentale in proposito ricostruire
gli strumenti essenziali per l’elaborazione critica marxista, per la formazione
dei militanti. […].
2. Costruire un vasto fronte popolare anticapitalista, capace di intervenire sul
terreno della lotta sociale e di dare ad essa sbocchi politici. La federazione
può essere il primo passo di questo percorso, costruita su basi chiare e non
politiciste. Essa deve effettivamente rappresentare il punto d’incontro non
meccanico delle forze anticapitaliste, che hanno volontà di lottare e di non
privare il movimento dei lavoratori della possibilità di avere rappresentanze
nelle istituzioni, a tutti i livelli. È fondamentale che in esso si muovano, con
consapevolezza delle proprie finalità strategiche e rivoluzionarie, i comunisti
organizzati in un unico partito.
Il processo di unità dei comunisti e quello per la costruzione della federazione
debbono andare di pari passo: questo è il modo per dare sbocco positivo alla
nostra lunga crisi valorizzando al massimo tutte le competenze, capacità,
volontà di compagne/i e militanti. Del resto bisogna dare un risposta ad
entrambe le esigenze: da un lato quella di una riaggregazione della sinistra,
dall’altro quella della rifondazione di un forte partito comunista, a partire
dalla ricomposizione della diaspora comunista. Se invece la federazione fosse
vissuta come un impedimento alla volontà di riunire i comunisti essa partirebbe
col piede sbagliato, farebbe permanere una ambiguità di fondo sulla volontà di
affrontare con proposte forti la questione comunista oggi e sarebbe così invisa
a molti. Questa impostazione del rapporto tra comunisti e federazione della
sinistra sviluppa coerentemente il documento di maggioranza del congresso di
Chianciano, che riuscì a scongiurare il disegno, sotteso alla mozione 2, di
sciogliere il partito della rifondazione comunista in una formazione di sinistra
a-comunista, se non anticomunista (come la successiva pesante scissione di
Vendola e di gran parte dei firmatari della mozione 2 ha confermato): essa
mantiene e rafforza l’autonomia dei comunisti, da un lato, sviluppa la più ampia
unità delle forze politiche e sociali della sinistra anticapitalista,
dall’altro” [1].
Questa posizione, che riprendeva la grande tradizione comunista di autonomia e
unità, contro l’opportunismo e il settarismo, è stata la linea che ha guidato
l’azione dei compagni de l’ernesto. Abbiamo sostenuto il processo unitario della
federazione e, al contempo, abbiamo lavorato per la realizzazione dell’unità e
ricostruzione comunista.
Gli ostacoli e i freni posti al percorso di costruzione della FdS sono dovuti
principalmente all’opposizione interna al Prc ad unificare le forze con il Pdci.
Per arrivare al congresso costitutivo della FdS è occorso un anno, nonostante il
successo della prima importante assemblea pubblica (a Roma, il 5 dicembre 2009),
che vide anche la presenza di diverse delegazioni straniere, di cui ci piace
ricordare l’impegnato discorso del compagno Andros Kyprianou, segretario
generale di AKEL, contro ogni tendenza opportunistica, ma anche contro pratiche
settarie che non riconoscono la situazione concreta storicamente determinata in
cui operare e propongono fughe in avanti destinate alla sconfitta.
Nel corso del 2010 in molte realtà non si è dato vita ai coordinamenti regionali
e provinciali, l’iniziativa è stata assente o molto carente.
La scelta di tenere ugualmente il congresso costitutivo, nonostante la carenza o
la grande debolezza dei coordinamenti locali, è stata indubbiamente una
forzatura, ma una forzatura necessaria, nelle condizioni date, a sciogliere le
ambiguità e a superare l’impasse prodotta da quanti si opponevano alla
costruzione della FdS.
Il congresso costitutivo scontava – nella piena consapevolezza dei suoi
promotori – la scelta di forzare i tempi, con tutte le implicazioni politiche e
organizzative del caso. Il dibattito congressuale è stato limitato, in alcune
regioni (Veneto, Calabria, Umbria e Sardegna) i congressi non si sono svolti
affatto, in altre solo parzialmente, a macchia di leopardo; i delegati sono
stati nominati per quote dai partiti e soggetti politici costituenti la Fds. Lo
statuto stesso, approvato in assemblea plenaria del congresso il 21 novembre, è
stato reso noto alla platea congressuale solo alle ore 17.00 di sabato 20,
coartando l’analisi e la discussione di esso in un tempo fortemente ristretto.
Anche per ragioni economiche, il congresso è stato limitato a due giornate
scarse (cominciato intorno alle 11.00 del 20 si è chiuso intorno alle 17.00 di
domenica 21). E compresso in poco tempo è stato anche il lavoro delle
commissioni (politica, statuto, elettorale). Per mancanza di tempo la
commissione politica ha esaminato solo gli oltre 100 emendamenti al documento
politico, ma non gli ordini del giorno. Se qualcuno volesse elencare ancora
limiti e problemi dello svolgimento della fase congressuale e dell’assemblea
nazionale del 20 21 potrebbe scrivere un lungo cahier de doléances.
Questi limiti non sono stati negati né rimossi dai soggetti promotori, ma essi,
piuttosto che essere interpretati come frutto di volontà prevaricatrice e
‘antidemocratica’, vanno letti nel contesto storico concreto in cui si è svolto
il congresso costituente, e degli ostacoli politici che ad esso si sono
frapposti (e che si sono manifestati negli stessi lavori congressuali).
E tuttavia, il congresso di Roma, nonostante i limiti elencati, prodotto della
condizione reale in cui il congresso si teneva, costituisce un passo avanti nel
percorso di unità e di lotta che ci siamo dati. È un passo avanti nella
costruzione del fronte sociale e politico di resistenza anticapitalista (e,
auspichiamo, “di contrattacco”, come i compagni greci del Kke intitolarono il
loro ultimo congresso), ma è al contempo un significativo passo avanti nel
processo della ricostruzione del partito comunista a partire dalla
riunificazione dei comunisti del Pdci e del Prc.
Infatti la questione della riunificazione delle forze comuniste è stata al
centro del dibattito e degli interventi congressuali. In nessun Cpn, Cpr o Cpf
del Prc si è mai discusso tanto ai massimi livelli di questa questione. Il
congresso della Fds è stato il luogo per rilanciare la questione, comunista
incontrando l’approvazione di una buona parte della platea congressuale. E la
questione è stata posta in modo corretto, distinguendo il percorso di
costruzione del fronte ampio della Fds, aperto all’apporto di soggettività
sociali e politiche anticapitaliste, e quello dell’unificazione delle forze
comuniste. Ed è significativo che anche i soggetti costituenti non comunisti
della Fds (Socialismo 2000, Lavoro e solidarietà) abbiano salutato con favore la
possibilità di una riunificazione delle forze comuniste presenti nella Fds come
un passaggio utile, una semplificazione e chiarimento politico, vantaggioso per
lo sviluppo stesso della federazione. Così si chiarisce definitivamente che la
Fds non è, non può e non deve essere, il nome mascherato dell’unificazione dei
comunisti, e al contempo che essa non è, non può e non deve essere,
l’annullamento dell’autonomia comunista in un più ampio soggetto di sinistra
Il congresso di Roma conferma la correttezza della nostra impostazione, noi
pigmei sulle spalle dei giganti della grande scuola comunista, da Lenin a
Gramsci, da Dimitrov a Togliatti: autonomia comunista e azione unitaria di
massa, senza confondere, annegare e annacquare il partito comunista nelle
coalizioni più ampie – senza perdere il ruolo e le caratteristiche di partito
d’avanguardia proprio dei comunisti – ma, al contempo, senza rinchiudersi nel
proprio guscio, rifiutando una politica di fronte sociale e politico e di
alleanze più vaste.
Si tratta ora di saper lavorare da comunisti nella Fds, perché essa si affermi
come forza anticapitalista di massa.
---
NOTE
1.
http://new.rifondazione.it/archivio/cpn/090913/090913giannini.html