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Angiolo Gracci (fondatore):la vita, gli scritti
Ferdinando Dubla (direttore):biografia e opere
 
 

ANGELO ANTONICELLI: Il sovversivo -- Memorie di un contadino di Massafra

index:

Presentazione di Eva Santoro
Introduzione di Giancarlo Girardi
Prefazione di Giovanni Forte
Il memoriale di Angelo Antonicelli
La famiglia di Antonio e Juccio Antonicelli
Contadini e sovversivi in terra jonica di Ferdinando Dubla
Documenti e immagini

edizioni LiberEtà CGIL -- Collana "Passatofuturo", 2011

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IV di cop.: A Massafra, paese della Bassa Murgia, Angelo Antonicelli, al compimento dei settant'anni, scrive le sue memorie. Racconta la sua vita di contadino semianalfabeta, lo sfruttamento e le lotte per conquistare una vita dignitosa. A soli nove anni deve lasciare la scuola per lavorare, ma presto si accorge che "avere una cultura" è fondamentale se si vuole davvero uscire dallo stato di sfruttamento. Nel giro di pochi anni la sua formazione è completa: dopo il servizio militare di nuovo a lavorare la terra, poi l'emigrazione in Germania, e poi a combattere nella prima guerra mondiale. Al ritorno la decisione è presa: bisogna impegnarsi per cambiare la situazione. La lotta è durissima, gli avvenimenti si susseguono incalzanti e la scrittura si fa drammatica: le vittorie elettorali, le vertenze, l'avvento del fascismo, le contraddizioni dei partiti antifascisti. E la resistenza è pagata a carissimo prezzo... Ma in questa storia non c'è un solo protagonista: ad affiancare Angelo nella fatica di vivere "in un'epoca di duro lavoro e miseria" c'è la sua compagna, Maria Scala, formidabile eroina il cui racconto è riportato dal figlio Juccio. Due personaggi, Angelo e Maria, ciascuno a suo modo portatore di una grande passione civile e di un grande esempio per le giovani generazioni.

stralci dalla postfazione di Ferdinando Dubla

n.b.: leggi le note dal fondo in sopra, numerazione per paragrafo

Contadini e sovversivi in terra jonica

 

Massafra

  Assediato com’è questo piano

d’ulivi azzurri in fondo al mare,

il dirupo separa Massafra

sorta sulle grotte di tufo,

c’è un silenzio di Novembre

sotto i pini  di stazione.

Siamo in due a domandarci,

semmai tutti gli uomini a quest’ora

hanno preso tra i denti un pane nero.

Rocco Scotellaro, pres.1947

Placidamente bizantina, la rupestre Massafra oggi è il comune  con il quale inizia, sulla antica statale Appia, la piana industriale di Taranto che, intermezzata da ulivi e alberi di mandarino, giunge al gigantesco insediamento siderurgico dell’Ilva, l’acciaiera più grande d’Europa. Ma Massafra, fino agli anni sessanta del secolo scorso, era un borgo tipicamente agricolo, che condivideva usi, costumi e vita materiale dei borghi della Murgia tarantina, le vicine Mottola, Castellaneta, Laterza, contrassegnando le esistenze dei propri abitanti come tipiche del mondo rurale, tra stenti e sofferenze aggravate dai conflitti bellici (il lungo servizio militare durante il primo conflitto mondiale, i bombardamenti nel secondo, che avevano nel golfo di Taranto un bersaglio strategico da colpire).

(..)

Crisi e riscatto che sono presenti nella vita di Angelo Antonicelli e rappresentate dalle pagine del suo memoriale, 65 pagine di quaderno in cui la sua figura di laborioso e alacre contadino, di antifascista mai domo e convinto comunista, si intrecciano con una storia grande, terribile, e un territorio che da quella storia non ha avuto né sconti né favori. La biografia di Antonicelli diventa emblematica di un Mezzogiorno che è così diverso dai luoghi comuni volti a mettere in evidenza la passività di massa dinanzi all’incedere degli avvenimenti e il fatalismo caratteriale del mondo rurale meridionale, derivante proprio dall’assenza di una partecipazione cosciente al destino storico del proprio tempo: è tutta l’altra storia, quella legata alla presenza (la categoria interpretativa di De Martino) intesa come la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie per rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione storica, partecipandovi attivamente attraverso l'iniziativa personale e andandovi oltre attraverso l'azione.

E questo avveniva in situazioni difficilissime, in un contesto ambientale aspro e contrassegnato da sofferenze indicibili (..)

Tutta la vicenda storica della Puglia dai primi anni del ‘900, è contrassegnata da aspre lotte bracciantili, dai sacrifici inenarrabili dei contadini, da conflitti di lavoro costati tante, tantissime vite umane a causa della violenta reazione delle forze dell’ordine, al “servizio degli agrari e dei latifondisti”, come denunciava nel 1950 Ruggiero Grieco in un suo intervento al Senato, riferendosi ad un’inchiesta parlamentare sulla condizione materiale dei contadini poveri del Mezzogiorno del 1909.[1]  E lo storico Procacci, individua proprio nella Puglia alcune peculiarità del movimento contadino, differenti da altre parti dello stesso Mezzogiorno: “(…) nell’Italia meridionale la sola regione in cui a partire dal 1901 assistiamo alla formazione e allo sviluppo di un movimento contadino organizzato e a forme di lotta di tipo moderno sono le Puglie (..)[con] quell’elemento nuovo e moderno dell’organizzazione sulla base di una piattaforma rivendicativa precisa. La premessa oggettiva per lo sviluppo di un movimento contadino organizzato nelle Puglie era costituita dalla presenza di un bracciantato agricolo di massa che, se pur si distingueva per i suoi tratti specifici da quello padano, aveva tuttavia in comune con questo la condizione di mano d’opera salariata.[2]

Mano d’opera sul mercato che affollava all’alba le piazze dei comuni, compresa la centrale piazza Garibaldi della Massafra di Angelo Antonicelli, braccia in vendita che il mediatore o “caporale” si incaricava di ingaggiare per conto dei padroni delle terre e senza neanche stabilire in anticipo l’entità della sudata mercede. “Lo scontro era duro e senza sosta”, scrive Giuseppe Gramegna, “bisognava lottare (contro) gli agrari per imporre la tariffa salariale e l’ingaggio, e insieme sottoporli ad una continua pressione, a causa del mancato rispetto sistematico degli accordi. Si trattava, quindi, di costruire e mantenere in vita un movimento continuamente in stato di mobilitazione e altrettanto continuamente sotto tensione; e la stessa sensazione di precarietà dei successi contrattuali, sottoposti alla continua e rabbiosa reazione degli agrari, contribuiva a far assumere al movimento contadino pugliese la caratteristica di accentuata esasperazione che spesso lo distingueva.”[3]

Fu proprio la necessità di organizzare regole contrattuali certe che dette slancio e spinta alla costituzione e sviluppo delle Leghe bracciantili.  Sempre dall’inchiesta del 1909, veniamo a sapere che la provincia di Taranto conta in quel periodo già di tre leghe (Manduria, Palagiano e Castellaneta) con 650 iscritti, un numero destinato progressivamente a crescere anche per l’impegno e lo sforzo profusi dai sindacati e dalle organizzazioni politiche di sinistra. Era necessaria la lotta e l’organizzazione di questa lotta: e di questo si convinse Antonicelli dopo la sua esperienza ad Alfonsine, in provincia di Ravenna, durante il servizio di leva nel dicembre 1904, una convinzione che diventò sempre più forte e cosciente nella sua emigrazione temporanea in Germania dal marzo 1913; e nel primo dopoguerra,  diventa punto di riferimento a Massafra della Lega proletaria, dopo una rocambolesca esperienza nell’Associazione dei combattenti e reduci della ‘grande guerra’ (testimoniata dal memoriale con la vicenda dei muli da distribuire) su impulso del futuro gruppo dirigente del PCd’I (che si costituirà nel 1921), nel maggio 1919, insieme alla sezione del Partito Socialista,[4] che addirittura vinse le elezioni comunali e provinciali del 12 settembre 1920.

La militanza politica di Antonicelli, così legata alla rappresentazione del mondo agricolo, però, incrociava da quel momento anche la lotta delle classi e soprattutto la battaglia contro il caroviveri, più tipici delle aree urbane e industrializzate come quelle della vicina Taranto. Nel capoluogo jonico si era già costituito, nel febbraio 1919, il Sindacato Operai Metallurgici ed Affini, che si occupava anche del costo della vita diventato proibitivo, dato soprattutto dalla lievitazione del prezzo del pane e da esose pigioni per altro rincarate. (..)

Questi erano i compagni di Antonicelli, in una realtà del Mezzogiorno dove l’unità operai-contadini, uno degli elementi del ‘blocco storico’ gramsciano, veniva praticata di fatto nella temperie della repressione fascista, anche i braccianti, certo, in quanto “la loro carica rivendicativa risultava destabilizzante e catalizzatrice di spirito sovversivo, fortemente temuto dalle autorità fasciste.”,[1] un giudizio che ben si attaglia alla personalità di Antonicelli.

L’alba nuova infine venne, anche se, come la primavera che giunge dopo la lunga notte dell’inverno, rischiava di deludere rispetto alle tante aspettative e alle speranze nel cuore di spiriti indomiti. Spirito indomito Angelo, spirito indomito sua moglie Maria Scala, figure indissolubili nella sofferenza e nel tormento causato da violenze fisiche e psicologiche, ma entrambi e ognuno a suo modo sempre in piedi dinanzi alle avversità, “a schiena dritta e senza cappello in mano”, come auspicherà per tutto il mondo dei ‘cafoni’ uno straordinario Giuseppe Di Vittorio.  

“Alla caduta del fascismo, in Puglia gli agrari con la loro caparbia e tradizionale intransigenza cercarono di opporsi sia alla ricostruzione su basi democratiche delle organizzazioni dei lavoratori, sia ad ogni azione intesa al rinnovamento strutturale dell’agricoltura e delle stesse condizioni di vita dei lavoratori agricoli.”[2]

Le ripercussioni sociali si riverberavano sulle condizioni materiali di vita delle masse dei braccianti, dei contadini e dei nuclei di operai, specie nel Mezzogiorno. Il giudizio di Antonicelli, immerso nella realtà di Massafra, come traspare con evidenza dal memoriale, non è dissimile, ovviamente nella differenza di linguaggi, da quello storico-politico che ne dà Antonio Pesenti, l’economista di origini veronesi che dal settembre 1943 svolse attività politica a Bari, dirigendo il giornale Civiltà proletaria: “Tra le masse non esisteva una chiara coscienza politica ed il crescente malcontento si sfogava in forme anarcoidi, distruttive.(..) Lo stesso Partito comunista, per svolgere la sua funzione organizzatrice, doveva tener conto di questa realtà. Non poteva essere quindi un Partito di quadri, ma di massa, e il necessario spirito di vigilanza non doveva costituire pretesto per praticare un chiuso settarismo. Bisognava aprire le porte a tutti i lavoratori, chiamarli alla lotta, educarli nell’azione; le scorie si sarebbero bruciate da sole.[3]

(..)

In Puglia e Basilicata, come in molte zone del Mezzogiorno legato alle attività della terra, il processo innescato dalla legge Gullo-Segni del 1944 (assegnazione delle terre incolte e malcoltivate ai braccianti) e dalla legge nr.929 del dicembre 1947 (diritto all’ingaggio obbligatorio), produsse una straordinaria stagione di lotte e mobilitazioni che vide in prima fila le associazioni bracciantili e contadine, le Camere del Lavoro, i partiti comunista e socialista, e forse bisognerebbe meditare maggiormente sul fatto che le delusioni rispetto alle aspettative e la repressione poliziesca che costò tanti morti e feriti, saranno elementi fondamentali per la connotazione che assunse la ‘questione meridionale’ negli anni successivi, che richiese passività nelle masse meridionali per una politica assistenzialistico-clientelare delle classi dirigenti clericali e moderate del nostro paese, risultati funzionali ad uno sviluppo economico-sociale ineguale e distorto.

Antonicelli è racchiuso in questa storia, così come lo è la breve ma intensa parabola di vita di Rocco Scotellaro. Il poeta-contadino scrive una poesia su Massafra presuntivamente nel 1947, recandosi dunque a visitarla, molto probabilmente in occasioni mirate alla conoscenza delle esperienze della vicina Puglia (Scotellaro era sindaco di Tricarico, in provincia di Matera) nell’organizzazione delle lotte per la terra che lo vedevano alla testa del Partito Socialista della Lucania. Massafra aveva suscitato, tra l’altro, l’interesse della cronaca il 16 aprile 1946, quando duemila persone avevano manifestato contro le autorità per la cronica mancanza di viveri e depredato i magazzini comunali,[1] ed aveva conosciuto buone punte di partecipazione al secondo sciopero di Puglia e Lucania del 25 agosto 1947 che aveva costretto appunto al varo del DL 929 sull’imponibile.[2]

(..)

Le elezioni del 18 aprile 1948 frustrarono ulteriormente le speranze delle moltitudini dei lavoratori della terra che si erano stretti in particolare sotto le bandiere del Fronte Popolare  e che la Puglia fosse stata, nel Sud, la punta significativa di quelle speranze e mobilitazioni, ce lo conferma il dato della repressione: dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio, vi sono ben 992 arresti in Puglia, in assoluto la regione con il più elevato numero di arrestati.[1] , mentre l’anno successivo, a partire dall’autunno , si diffusero le occupazioni delle terre e proprio la Basilicata di Rocco Scotellaro ebbe un sussulto straordinario,[2] con occupazioni di latifondo a Miglionico, Irsina (che riesce a respingere le famigerata Celere di Scelba), Matera, Bernalda, in dicembre a Montescaglioso , dove purtroppo il poeta della civiltà contadina deve cantare in una poesia la morte di un bracciante,  Giuseppe Novello,   “un uomo si è piantato al timone all’alba/quando rimonta sui rami/la foglia perenne in primavera.”   Pochi giorni prima, a Torremaggiore, in provincia di Foggia,  si era consumato un eccidio con tre morti e decine di feriti. Una vera e propria guerra si consumava dunque tra i ‘cafoni’ e lo Stato della nuova Repubblica nata dalla Resistenza, in una sorta di nuova Resistenza tradita.  Eppure, il 4 ottobre 1949, forte era stato il grido di Giuseppe Di Vittorio nel suo discorso di apertura dalla tribuna del II Congresso nazionale del suo sindacato, che si svolgeva a Genova: “Nel corso degli ultimi due anni, abbiamo avuto eccidi gravi, specialmente nelle campagne, che si potevano evitare.(..) Si calcola che oltre 10.000 lavoratori sono stati arrestati per la loro partecipazione a scioperi e agitazioni. Questa cifra sta a vergogna di chi dice di voler difendere la democrazia in Italia e tenta di distruggerla.”[3] Si tentò quindi, di bloccare l’estendersi del movimento attraverso l’impiego della forza contro i lavoratori. Su Rinascita del novembre-dicembre 1950 (nr.11-12), in un articolo intitolato Processi politici in regime clericale, si dava conto che in cinque mesi, dal 1 marzo al 31 luglio, si erano avuti a Bari 77 processi a sfondo politico (uno ogni 2 giorni) dei quali 6 in Corte d’Assise, 42 dinanzi al tribunale, 12 in Corte di Appello, 17 in Pretura. Gli imputati erano stati complessivamente 711, di cui 251 assolti dopo aver scontato molti anni di carcere preventivo, mentre 102 rimanevano – a quella data – in carcere in attesa di giudizio. Queste azioni, lungi dal fiaccare la resistenza del movimento, contribuirono, semmai, ad alimentarlo[4] e intere popolazioni solidarizzarono attivamente con i braccianti senza terra e i contadini poveri. A Taranto, nell’ottobre 1952, furono distribuiti volantini agli operai dell’Arsenale, dei cantieri navali Tosi e a Massafra, come in alcuni altri centri della provincia “gli artigiani e i commercianti esposero fuori dai loro esercizi cartelli riportanti la scritta ‘questo negozio solidarizza con i braccianti in lotta per un giusto salario.’” [5]

Anche gli anni ’50, dunque, si aprono all’insegna delle lotte e delle mobilitazioni, anche a Massafra, animate da capilega e, si direbbe oggi, leaders popolari con forte ascendente sulle categorie in movimento rivendicativo:  sono anche gli anni del tramonto per Angelo Antonicelli, che dovrà passare in secondo piano, anche per questioni anagrafiche (nato il 1883, nel 1953 compiva 70 anni) rispetto ad altre figure emergenti, come Arduino Rossi, il nuovo segretario cittadino della Camera del Lavoro, e per lo stretto rapporto intercorrente tra sindacato e partito comunista, questo significava anche un certo accantonamento operato dal partito, in favore degli emergenti Domenico Cazzato, capolega di Castellaneta, dove si organizzavano riusciti ‘scioperi a rovescio’, il più giovane Antonio Romeo, che diventerà in quegli anni segretario della Federbraccianti e successivamente membro della Direzione nazionale e segretario regionale pugliese del PCI,[6] la generazione, cioè, successiva ai punti di riferimento di Antonicelli, come Odoardo Voccoli e Giuseppe La Torre, anche lui onorevole, che proveniva dalle fila del sindacato e che morirà nel 1952, dopo aver conquistato l’amministrazione di Ginosa con le elezioni amministrative del 10 giugno 1951, eccezione in un panorama che vedeva l’affermarsi della Democrazia Cristiana.

(..)

Gli anni del tramonto di Antonicelli, fino alla sua morte avvenuta nel 1963, le sue rimostranze verso il partito e una faticosa accettazione del declino di un’intera epoca, corrispondono però, ha ragione Maglio, ad una “conquista storica di una rinnovata coscienza dei propri diritti.”,[1] avvenuta grazie proprio alle figure, moltissime sparse nell’intero Mezzogiorno, come quella di Angelo.  Il loro tramonto, la fine di quella generazione di combattenti con scarsissima alfabetizzazione e mezzi culturali, ma indomiti e tenaci, era anche la nuova alba cantata da Scotellaro. Le loro radici costituivano lo stesso humus di un’identità finalmente liberata dalla soggezione. Solo un progetto di definitiva emancipazione sociale poteva però conservare i connotati salienti della propria terra, proprio perché liberati dal servaggio e inseriti in una non malintesa modernizzazione: l’alba sempre nuova nascerà da una notte antica e il dolore non sarà il dolore sempiterno tracciato dal secolare destino, ma sofferenza di travaglio per un nuovo mondo.       

 

Ferdinando Dubla, storico del movimento operaio,


 

[1] S.N.Maglio, cit., p.178, che conclude il suo lavoro: “E’ anche per questo che oggi, a tanti anni di distanza da questi avvenimenti, si sente il bisogno di capire e far conoscere alle nuove generazioni cosa è avvenuto in quegli anni, raccogliendo i riflessi dei bagliori di lotta di classe che più di mezzo secolo fa si accendevano nella Murgia.”, ibidem

 


 

[1] Il dato è in F.De Felice, cit., pag.279.

[2] Cfr. Michele Mancino, Lotte contadine in Basilicata, prefazione di Tommaso Pedìo, Galzerano, 1983.

[3] Cfr. I Congressi della CGIL, vol.III, ESI, Roma, 1949.

[4] “Lo spettacolo, all’alba, nei centri agricoli era impressionante ed entusiasmante. Dalle piazze principali – quelle stesse ove si svolgeva la contrattazione della giornata di lavoro e del salario – partivano, per riversarsi lungo le strade di campagna e fermarsi nelle terre dei grandi agrari, lunghi cortei con in testa donne e ragazzi, bandiere rosse al vento, seguiti da un interminabile fila di carri e carretti trainati da animali da lavoro, uomini a piedi e a cavallo. Dopo alcune ore di permanenza sulle terre, nelle ore pomeridiane, stesso spettacolo dell’alba – uno spettacolo di lotta, di festa e di fierezza contadina e popolare -; l’interminabile corteo ritornava in paese fino alla piazza da cui era partito.”, Gramegna, cit., pp.120-121.

[5] Forte, Braccianti, cit., p.237..

[6] A.Romeo è autore, tra l’altro, di un testo significativo, Il metalmezzadro, Lacaita, 1989, che nel titolo riprende un’espressione del giornalista Walter Tobagi (cfr. Corriere della Sera, 15 ottobre 1979) per indicare una tipizzazione di classe dell’operaio-contadino della provincia jonica. Prima dell’insediamento del Quarto Centro Siderurgico la popolazione attiva di Taranto e Provincia era per il 55,2% nel settore agricolo, per il 12,3% nell’industria (rappresentata specialmente dai Cantieri Navali, dall’Arsenale Militare e dalle aziende loro complementari), per il 15% nella pubblica amministrazione, cfr. anche tesi di laurea di Riccardo Mongelli, Ilva (ex-Italsider) di Taranto: L’italsiderino e il metalmezzadro – da braccianti e pescatori a metalmeccanici, Università di Siena, Facoltà di Scienze Politiche, , a.a. 2005-2006.

 


 

[1] L’episodio è citato sia in S.N.Maglio, cit., pag.80, sia in Forte, cit., pag.276.

[2] Archivio Ministero dell’Interno, relazione nr.5964 del 1 settembre 1947, che sottolinea l’assenza di episodi di violenza, mentre due mesi dopo, a Palagianello, a pochi Km. da Massafra, lo sciopero dei braccianti che durò dal 17 al 21 novembre,  richiese l’intervento dei Carabinieri per sedare i disordini.


 

[1] Cfr. G.Forte, Braccianti, lotte e sviluppo nelle campagne, sta in CGIL-Taranto, Un cammino lungo cent’anni, a cura di R.Nistri e M.Di Cesare, Ediesse, 2006, pag.224. L’autore utilizza dati e documenti presenti in Lucia Motolese, Le campagne tarantine nei primi anni ‘50, tesi di laurea depositata presso la CGIL di Taranto.

[2] Gramegna, cit., pag.13

[3] Cfr. A.Pesenti, La cattedra e il bugliolo, Milano, 1972, pag.217, libro autobiografico pubblicato un anno prima della morte.

 


 

[1] Ruggiero Grieco (1893-1955), foggiano di nascita, fu tra i fondatori, nel 1921, del Partito Comunista d'Italia, si schierò con Antonio Gramsci, che gli affidò il compito di organizzare la sezione agraria e, insieme a Giuseppe Di Vittorio, fondò l'Associazione di difesa dei contadini poveri. Cfr. intervento al Senato di Ruggiero Grieco del 6 ottobre del 1950, in Atti parlamentari. Senato della Repubblica, vol.XVI, Roma, 1950, p.19686. Nell’inchiesta Massafra era inserita, nella relazione del delegato tecnico Enrico Presutti, nella cosiddetta ‘zona granifera’, insieme ai comuni di Mottola, Castellaneta, Laterza, Palagianello, Ginosa, Palagiano e Taranto.

[2] Cfr. G.Procacci, La lotta di classe in Italia agli inizi del secolo XX, Editori Riuniti, 1970, pp.141.

[3] Cfr. G.Gramegna, Braccianti e popolo in Puglia – Cronache di un protagonista, De Donato, 1976, pag.9.

[4] A Massafra era già sorta, nel settembre 1913, la Lega degli operai di campagna: “Primo presidente fu Salvatore Tramonte, che, con atto di presentazione ufficiale all’Amministrazione comunale, indirizzò, il 22 aprile 1914, una petizione firmata da 124, tra contadini e proprietari terrieri, con cui veniva chiesto lo sgravio delle tasse comunali sui terreni”, cfr. Ladiana, cit., p.175, con una scarsa politica classista, quindi, contrariamente a quella fondata da Antonicelli nel 1919,