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nr.6 - nuova serie - novembre 2002

Intervento di Angiolo Gracci ('Gracco') al Convegno di Carrara sulla figura di Secchia

 SECCHIA, LA MEMORIA E IL PRESENTE

  Il 25 ottobre scorso si è tenuto a Carrara un convegno organizzato da L'Ernesto toscano su "La figura di Pietro Secchia nella storia del comunismo italiano". Tra i contributi al dibattito, quello appassionato di Angiolo Gracci, che lo conobbe di persona

La memoria di Secchia

è una memoria attiva: chiama i comunisti di oggi ad una coerente lotta antimperialista e a portare a compimento il processo rifondativo del partito del proletariato italiano

 



Care compagne, cari compagni,


grazie per questo convegno in ricordo della figura di Pietro Secchia, del suo esempio di militante rivoluzionario e del grande patrimonio di esperienze e insegnamenti da lui lasciatoci.

L'economia dei lavori mi consente un tempo troppo breve perché ceda alla tentazione di una rievocazione emotiva pur giustificata dall'essere, tra i presenti, l'unico che ha avuto la possibilità, il privilegio, di conoscerlo personalmente, nel dopoguerra, dopo averlo avuto suo massimo dirigente politico nella Guerra di Liberazione essendo lui Commissario generale delle Brigate "Garibaldi" d'assalto ed io comandante di una di queste.


Perciò, lascio a quanto Dubla ha pubblicato, nel saggio "Secchia, il PCI e il '68", come mia testimonianza circa quel rapporto. Una testimonianza, ricordo, che ha riguardato il tentativo -agli inizi della seconda metà degli anni '60- di fare accettare a quel prestigioso compagno, emarginato dalla direzione togliattiana, la guida del movimento dei comunisti marxisti-leninisti. Un movimento costituitosi,allora, con compagni usciti dal PCI per impegnarsi nella difficile lotta per riportarlo alle naturali radici rivoluzionarie di classe, in ideale continuità con la Resistenza e contro il sempre più evidente revisionismo ideologico; un revisionismo che procedeva parallelamente alla pratica accettazione dell'assoggettamento del Paese all'imperialismo USA- NATO e, per esso, al restaurato potere della corrotta borghesia capitalista collaborazionista indigena.


Altri compagni hanno colto l'occasione straordinaria di questo convegno per illustrare e approfondire alcune delle molte tematiche suggerite dalla vita esemplarmente intensa di Pietro Secchia, profondamente segnata dalla drammaticità dei tempi e dalle conseguenti contraddizioni, spesso laceranti. Contraddizioni ch'egli dovette affrontare soprattutto all'interno del gruppo dirigente del PCI, nel concitato contesto storico di incalzanti, traumatici avvenimenti e drastiche scelte epocali che, però, avevano portato alla ribalta del Mondo, con tutte le sue problematiche, la questione comunista nel concreto esistere e operare del primo stato dichiaratamente socialista, l'Unione Sovietica. Un giovane gigante comparso sulla scena del più grande conflitto bellico di tutti i tempi.

Mi concentrerò, pertanto, nel richiamare l'attenzione dei compagni su due punti nodali e attuali di quel suo vasto patrimonio di esperienze e insegnamenti.

Il primo riguarda la Resistenza, quale punto più alto di capacità egemonica raggiunto dal movimento operaio italiano nella storia nazionale e nella lotta di classe vissuta dalle masse lavoratrici subalterne del Paese.


Il secondo concerne, invece, il dovere di coerenza cui questo medesimo convegno sollecita le nostre coscienze di comunisti militanti. Ciò nel senso che, mentre, da una parte, dobbiamo considerare l'odierna, lodevole iniziativa semplicemente come avvio, prima pagina scritta per pervenire al più presto al ricupero dialetticamente positivo dell'eredità secchiana, per trarne, attraverso una rilettura aggiornata, il massimo degli insegnamenti utili al progredire verso la troppo lungamente attesa rifondazione del Partito, dall'altra, oggi e da oggi, dobbiamo sentirci, tutti, più che mai coinvolti nell'esigenza di aprire un preciso fronte di lotta, interno a quel medesimo processo rifondativo, per rimpossessarci saldamente dell'intera memoria storica dell'ampia, irrinunciabile e inalienabile eredità lasciataci dal movimento operaio italiano e dalla sua avanguardia comunista.

Un'operazione - lo sottolineiamo in modo esplicito- mai ancora organicamente posta all'o.d.g. dal centro dirigente nazionale responsabile dei processo in corso da oltre un decennio. Una operazione di ricupero di memoria, di esperienze -e, quindi, di forza politica- da considerare assolutamente indispensabile per portare avanti quel processo fino alle sue logiche, concrete conclusioni.

Perché, in sintesi, parlare del compagno Pietro Secchia per farne rivivere creativamente la memoria, significa approfondire, in primo luogo, i temi della Resistenza e della sua continuità e quello, interconnesso, del ruolo primario che i comunisti italiani ebbero e devono riuscire a riconquistare, ora, nella vita, nella storia del Paese.

Quale, dunque, l'esperienza, quali gli insegnamenti essenziali che quel compagno ci ha lasciato e che dobbiamo sapere utilizzare riconoscendone la permanente validità e, sotto molti aspetti, la innegabile attualità nel quadro della situazione politica che caratterizza, oggi, l'italia?

Pietro Secchia, di origine contadina e di dura formazione operaia - così come tanti altri compagni costruttori dell'unico partito che seppe reggere il fronte della ventennale lotta, nella clandestinità, contro la dittatura fascista- è stato uno dei massimi artefici della Resistenza, di quello che è stato il punto più alto di capacità egemonica raggiunto, fino ad oggi, dal movimento operaio italiano. Nello stesso tempo, Pietro Secchia è stato il primo e più severo studioso di quell'eccezionale, alto momento storico e, insieme, il suo primo e più strenuo difensore contro l'irrompente controffensiva restauratrice alimentata, con ogni mezzo, dagli Stati Uniti, la nuova potenza imperialista straniera che, subentrata, da vincente, a quella germanica, imponeva i suoi particolari interessi, i suoi presidi armati e le sue scelte strategiche all'appena riconquistata libertà del popolo italiano.

Possiamo affermare che la parte politicamente più matura della vita militante di Secchia -quella che lo vide protagonista di primo piano nella Guerra partigiana di Liberazione e, contemporaneamente e poi, in posizioni di massime responsabilità nella direzione del P.C.I.- fu contrassegnata dall'impegno costante in una lotta su due fronti: far prevalere nel gruppo dirigente del Partito le posizioni di classe e, all'esterno, contrastare e battere le forze che, via via, tendevano a ridurre, contenere, frantumare lo sviluppo della pulsione rivoluzionaria, l'impetuosa volontà di radicale rinnovamento della classe operaia e delle masse popolari. Infatti, le forze conservatrici italiane, in buona parte sopravvissute e riciclatesi nei Comitati di Liberazione nazionale - col decisivo sostegno degli "Alleati" angloamericani, presentatisi nell'iniziale veste di "liberatori" e, successivamente, grazie al diretto, e imperioso attivismo della superpotenza statunitense- erano riuscite, fin dagli anni '50, a bloccare e, gradualmente, a logorare la poderosa spinta in avanti che la Resistenza aveva impresso all'intero popolo lavoratore italiano.

Qui, compagne e compagni, vale la pena esemplificare con le sue stesse parole, la denuncia, irriducibilmente antagonista, che Pietro Secchia mosse contro lo spudorato insediamento al potere del governo uscito dalle truffaldine elezioni politiche del 18 aprile del '48 ,vinte dalle forze moderate e conservatrici solo per l'aperto sostegno dato loro dall'imperialismo statunitense: " Il governo del partito americano è nato.... il parto è stato piuttosto difficile perché ai bassi intrighi dei trafficanti nostrani si intrecciavano pesantemente le esigenze non meno inconfessabili degli imperialisti stranieri. Gli americani volevano i saragattiani, gli inglesi per controbilanciare, chiedevano posti per i liberali, al mercato delle vacche parteciparono direttamente i padroni da Washington e da Londra. Così, tra sfacciate macchinazioni di intriganti affamati e di servi in livree esotiche, è nato questo governo del dollaro e della reazione...  Questi uomini, le loro parole, i loro atti sono tutto un programma: trovare la via più rapida per isolare la classe operaia, per spezzare la sua unità, per scindere i sindacati, per disgregare le forze democratiche e tutto questo allo scopo di spremere altri profitti dalla pelle dei lavoratori e di obbligare il popolo italiano a portare il giogo dell' imperialismo straniero... questo governo è nato nel sangue, suggello tragico del suo programma..Le aggressioni violente e sanguinose contro gli scioperanti, contro le manifestazioni dei lavoratori, le brutalità dei carabinieri, le provocazioni poliziesche, l'uso dei manganelli, e dei mitra da parte delle forze dell' "ordine" stanno diventando un sistema, una cosa normale.

Nel corso della Guerra di liberazione si era creata una unità di tutti gli italiani amanti della libertà. Nella lotta contro i tedeschi e i fascisti, popolo ed esercito, operai e carabinieri, contadini ed agenti di polizia, soldati e partigiani avevano lottato, sofferto e combattuto spalla a spalla. Là, per la prima volta il popolo italiano si era sentito veramente unito contro lo straniero, contro l'oppressore, contro la tirannia.

Per alcuni anni dopo il 25 aprile forze dell' esercito e della polizia non furono impiegate contro i lavoratori, non intervennero nelle lotte tra capitale e lavoro. Le cose sono cambiate da quando l' onorevole Scelba andò al Viminale, da quando il partito del Vaticano e dell' America riuscì ad impossessarsi del potere... dove vuole arrivare questo governo? (..) vuole forse che ogni sciopero diventi una cruenta lotta di strada e che ogni aumento di salario debba essere pagato dai lavoratori col sangue?

Può darsi che tutto questo sia nel programma di coloro che prendono ordini da Washington e da Londra. Ma questo non è nel programma di milioni di lavoratori; questo non è nel programma delle forze schierate del Fronte popolare, questo non è il programma degli italiani che si sono battuti per fare un 'Italia libera, unita, repubblicana.

Bisogna impedire a questo governo dello straniero di obbligare gli italiani ad uccidere altri italiani, di obbligare dei lavoratori, in nome dell' ordine e della Repubblica, a sparare su altri lavoratori.

Non c 'è tempo da perdere. Il Fronte democratico popolare deve mobilitare gli italiani. Si tratta di salvare la loro libertà e la pace". (da "Vie Nuove" n.22 del 30 maggio 1948).

E altrettanto appassionata e serrata fu la denuncia delle persecuzioni antipartigiane: " (i casi) di violenza inauditi perpetrati a danno dei partigiani sono innumerevoli. Anche qui non sono i fatti che mancano, ma c 'è solo l'imbarazzo della scelta... nelle caserme e nelle scuole di polizia gli agenti vengono educati ad odiare i lavoratori, a considerare i comunisti, i socialisti, i partigiani come i "sovversivi", come i nemici della patria e della società proprio come erano considerati all' epoca del fascismo... .ma chi sono gli uomini imparziali, gli uomini non settari, adatti a far rispettare le libertà democratiche e le leggi della repubblica che l' onorevole Scelba ha riassunto in servizio al posto dei partigiani? Sono gli ex dirigenti dell 'Ovra, gli ex fascisti repubblichini e molti gerarchi della milizia fascista... senza dubbio Mussolini era il responsabile numero uno... ; ma capi dell 'Ovra , certi ufficiali della milizia fascista sono pure responsabili del lento assassinio di Antonio Gramsci, dell' assassinio dei fratelli Rosselli, di Gastone Sozzi, di Antonio Sanvito, di Iside Viana e di tanti altri morti nelle carceri italiane prima del 25 luglio, morti in seguito alle torture e alle sevizie cui furono sottoposti... questi uomini, che per oltre vent' anni hanno servito il regime della tirannia nelle funzioni più sporche e criminali, questi uomini, che per oltre vent' anni hanno lottato contro la libertà e la democrazia, questi uomini che hanno odiato gli antifascisti, che sono stati educati ai sentimenti più antidemocratici... non possono essere impiegati ad arrestare, ad inquisire, a giudicare gli antifascisti e i partigiani... è la più bassa delle infamie, è la più rivoltante delle ingiustizie, è l'insulto più atroce che potesse essere fatto a tutti coloro che hanno combattuto e sofferto, a tutti coloro che sono morti per la libertà, quella di fare oggi arrestare e giudicare i partigiani e gli antifascisti proprio dai fascisti di ieri, proprio da coloro che hanno tradito la patria e che oggi sono salvi grazie alla generosità del popolo italiano, degli antifascisti e dei sinceri democratici."

E, riferendosi al nuovo "casellario politico centrale", Pietro Secchia denunciava, con altrettanta veemenza il fatto che :" molti comandanti e partigiani del Corpo volontari della Libertà, che hanno mostrato notevoli capacità di organizzare eroiche azioni gappiste e attacchi di guerriglia contro formazioni tedesche e repubblicine vengono schedati sotto la voce "violenti politici capaci di atti di terrorismo,... partigiani valorosi decorati di medaglie d'oro e d'argento si trovano iscritti in questo CPC come elementi pericolosi, da vigilare e il giudizio che se ne dà, in molti casi, non è diverso da quello che davano le SS tedesche. E non può essere diverso, perché coloro che danno questi giudizi sono in molti casi ex fascisti repubblichini, ex ufficiali della milizia."

Nell'ottobre 1961, al Consiglio nazionale dell'ANPI, Pietro Secchia, tenendo la sua relazione affrontava il delicato problema delle nuove generazioni che, non avendo vissuto la Resistenza, ritenevano, in parte, che questa avesse esaurito la sua funzione, fosse cosa che apparteneva al passato, che non potesse più interessarli. Rivolgendosi, quindi , a quei giovani ammoniva: "La Resistenza non è soltanto passato, non è soltanto tradizione,... essa non ha soltanto vinto la Guerra di liberazione, ma ha combattuto e si propone di combattere altre lotte per portare avanti la democrazia nel nostro Paese. La vittoria del 25 aprile 1945 ha aperto una strada, una prospettiva che, soprattutto per i giovani deve essere un punto di partenza. Gli ideali della Resistenza conservano in pieno il loro valore rivoluzionario perché ieri si trattò di abbattere il fascismo, di riconquistare al popolo italiano le libertà, di dare al Paese la Costituzione democratica, repubblicana. Oggi la Resistenza si propone di attuare la Costituzione, di portare a compimento quel processo di rinnovamento di cui la Resistenza di ieri aveva gettato le basi e le premesse. La Costituzione non può essere attuata senza delle ampie lotte unitarie, delle lotte democratiche che devono trovare la gioventù in prima linea, che rinnovino le vecchie strutture del nostro Paese attraverso lotte che non è retorica chiamare rivoluzionarie...le grandi idee non muoiono, la libertà è sempre viva, è una bandiera che deve essere sempre portata avanti.

Gli uomini che lottarono nella Resistenza, che si batterono 18-20 anni or sono, lottarono per ideali di libertà che non erano nati allora, per ideali che avevano una lunga tradizione; non per nulla le nostre formazioni partigiane portavano il nome di "Garibaldi ", "Mazzini "Pisacane", ".Mameli ", "Giustizia e Libertà", "Matteotti", "Giovane Italia".

Così i giovani di oggi non devono vedere negli ideali del passato solo delle cose passate o le schiere di tanti altri giovani come loro, oggi, caduti sui campi di battaglia, fucilati, impiccati, torturati, bruciati vivi. No, la Resistenza non è un cimitero, né oggetto soltanto di celebrazioni e neppure soltanto lotte di un tempo passato. La Resistenza è lotta di oggi per attuare la Costituzione... nelle sue file molti sono i giovani e ancora più numerosi devono essere. Per questo è sempre viva, per questo non si spegne... la Resistenza è opposizione al conformismo, lotta per il rinnovamento democratico del paese, è rinnovamento continuo dell' uomo, della società, è lotta per attuare la Costituzione. E questa Costituzione di cui tanto parliamo non è soltanto il patto che racchiude la storia del nostro popolo, è soprattutto presente e avvenire: il presente che vogliamo cambiare, l' avvenire che deve essere conquistato ".

Nè può essere dimenticata l'incrollabile coerenza con cui Pietro Secchia - sia sul piano della sua azione di dirigente nazionale, sia su quello della lunga rilevante riflessione sulla Resistenza- manifestò sempre una elevatissima coscienza nazionale che, quale Commissario politico della più organizzata e combattiva componente del Corpo dei Volontari della Libertà- riuscì a trasmettere a tutti i partigiani delle Brigate garibaldine. Di ciò fanno testimonianza le loro stesse canzoni, i loro inni di lotta che, nell'esprimere la ferma determinazione di raggiungere avanzati livelli di giustizia sociale, si compenetravano in una formidabile miscela propulsiva, nella esplicita volontà di conquistare all'Italia il traguardo del socialismo attraverso l'obiettivo del bene primario dell'indipendenza nazionale.

Non a caso ne "I comunisti e l'insurrezione" (1943-1945) - saggio che con "La Resistenza accusa -1945-1973" rappresenta, forse, l'opera più importante di Pietro Secchia - la dedica che volle apporvi fu rivolta "ai garibaldini e a tutti gli eroici partigiani caduti per la libertà, l'indipendenza e la rinascita dell'Italia".

Nello stesso tempo e nonostante le terribili sofferenze morali sopportate stoicamente in conseguenza della crescente emarginazione operata dal gruppo dirigente togliattiano, Secchia non desistette dal considerare la propria vita indissolubile da quella del "suo" Partito ch'egli continuò a vedere come un tutt'uno con la classe operaia. Pertanto, penso che risiedano proprio anche in questa incrollabile, rigida visione tanto la grandezza quanto il limite di un compagno della statura storica di Pietro Secchia.

Nè è possibile, d'altra parte, valutare la sua figura, ma anche quella di altri grandi compagni dirigenti della sua generazione -quali Emilio Sereni, Mauro Scoccimarro, Girolamo Li Causi, Camilla Ravera, Giuseppe Di Vittorio, Luigi Longo, Teresa Noce, Giuseppe Dozza, Ilio Barontini, i fratelli Giancarlo e Giuliano Paietta, Rita Montagnana, Giuseppe Alberganti, Velio Spano , Lina Fibbi e tanti, tanti altri- fuori dal  contesto storico in cui si formarono e da cui furono, a loro volta, inevitabilmente condizionati. Contesto storico dominato non soltanto dal sorgere e dilagare delle dittature fascista e nazista, ma anche, sul versante della sinistra, dal consolidarsi, tra l'altro, dell'aberrante "culto della personalità" e dalla verticistica liquidazione dell'Internazionale. Con le negative, pesanti conseguenze che, poi, a media e lunga scadenza, hanno segnato e contribuito a mettere in crisi l'intero movimento operaio nazionale e internazionale e la sua avanguardia comunista.

Esistono, certo,altri aspetti importanti della vita di Pietro Secchia degni di essere ricordati. Uno di essi è costituito dalla grande importanza che Secchia dette all'organizzazione del Partito e le lotte ch'esso promuoveva e orientava. In questo settore di lavoro politico egli dimostrò straordinarie capacità combattendo risolutamente ogni atteggiamento attendista e opportunista e attenendosi alla regola leninista del "pensare per agire e agire pensando".

Notevole fu la parallela, continua attenzione con la quale mai trascurò di richiamare lealmente gli altri compagni del centro del Partito sulla necessità di praticare una direzione collegiale, ciò in trasparente polemica con l'accentuata tendenza personalistica di Palmiro Togliatti.

Infine, prima di concludere col secondo argomento propostomi, considero doveroso invitare tutti noi a riflettere su quella che è stata la drammatica fine del compagno Secchia. Sono convinto -infatti- come del resto lui lo fu sempre e come, penso, dovremmo esserlo noi tutti, ch'egli morì avvelenato dagli agenti di quell'imperialismo USA-NATO che, fin dai primi anni del dopoguerra, con coraggio instancabile aveva denunciato, in ogni occasione, in ogni sede, nel Parlamento, nei Congressi, sulle piazze e nei suoi scritti, essere il nemico principale della Resistenza, della ricostruzione della nuova Italia su quelle nuove basi profondamente rinnovatrici solennemente poste dai "principi fondamentali" della Costituzione repubblicana e democratica fondata sul lavoro che egli giustamente considerava conquista politica essenziale della lunga lotta antifascista e resistenziale.

Non è ammissibile, infatti, per noi comunisti impegnati nelle lotte di oggi, dimenticare che nel nostro Paese, all'indomani della vittoriosa insurrezione nazionale del 25 aprile, il nemico imperialista straniero, in aperta collusione con il restaurato potere della borghesia capitalista indigena, aprì una nuova fase di  guerra civile contro il movimento operaio e la sua avanguardia cosciente e organizzata, praticamente contro l'intero popolo lavoratore italiano. Non è ammissibile dimenticare la catena di orrende stragi che hanno insanguinato, per decenni, piazze e strade d'Italia. Fra le tante prove di questa verità storica cito una sola insospettabile testimonianza che conferma quanto ormai accertato negli stessi atti processuali di inchieste condotte da valorosi magistrati italiani. Victor Marchetti, ex agente della CIA, intervistato da RAI 2, l'11 dicembre del '97, sulla strage di Piazza Fontana non ha avuto esitazioni nell'ammettere cinicamente: "... certo, ci sono stati molti morti: ma in una guerra ci sono sempre morti..".

Ebbene anche il compagno Pietro Secchia è caduto, da intrepido combattente, in questa lunga "guerra sporca" impostaci dall'imperialismo statunitense e coperta dall'omertà infame della classe dirigente italiana. L'ultima missione politica svolta da Secchia fu quella del viaggio in Cile, per portare al compagno Salvatore Allende e al popolo cileno -minacciati dall'incombente congiura delle forze reazionarie locali istigate da Washington- il prezioso aiuto internazionalista della sua esperienza. Missione generosa e, purtroppo, vana perché l'alba apertasi al socialismo in quel lontano paese fratello, venne, come sappiamo, spietatamente spenta dal golpe dei generali di Pinochet asserviti alla CIA . E l'imperialismo yankee trovò, appunto, in quel frangente, l'occasione propizia per sbarazzarsi, una volta per tutte, anche del suo più irriducibile e pericoloso antagonista in Italia. Secchia manifestò i sintomi del subìto avvelenamento il 13 gennaio 1972, appena due giorni dopo il ritorno in patria. Da quel momento la sua vita divenne una lenta agonia che si concluse con la morte il 7 luglio dell'anno successivo.

Anziché denunciare il subdolo attentato alla vita di uno dei più grandi dirigenti della Resistenza, di uno dei più autentici rappresentanti del movimento operaio e comunista italiano, la direzione togliattiana del PCI mise la sordina sul fatto, non si impegnò in alcuna adeguata indagine, si astenne dal farne motivo di agitazione e protesta di massa e rinunciò perfino dal prospettare pubblicamente l'ipotesi del crimine sebbene l'imperialismo USA avesse la responsabilità, forse, del dicembre del '69, a Milano,della prima delle stragi che nei decenni successivi avrebbero insanguinato il Paese. Questa omissione, questo disinteresse possono essere spiegati dal fatto che quella stessa direzione nazionale del PCI, fattasi paladina della sciagurata tesi degli "opposti estremismi", si era già orientata a non considerare più l'imperialismo  occupante come nemico giurato dei comunisti, bensì valido "ombrello protettivo" sulla strada senza ritorno dell'abbandono della prospettiva della rivoluzione socialista.

Ecco, dunque, compagne e compagni, l'importanza di un nostro deciso impegno unitario per aprire, da oggi, all'interno del perdurante processo rifondativo, un chiaro fronte di lotta: per esigere e realizzare il ricupero, costruttivamente critico-autocritico, ma a tutto campo, dell'intera memoria storica del movimento operaio, del movimento comunista del nostro Paese. Una memoria storica verso cui siamo e abbiamo il dovere di comportarci da legittimi, coscienti eredi, sentendone l'orgoglio e, insieme, la coerente responsabilità politica. Dobbiamo, pertanto - senza rinvii e inammissibili concessioni "perdonistiche" - porci e rispondere a  una serie di precise, pertinenti domande:

- Perché in quest' ultimo decennio è stato omesso il ricupero dell'organica, naturale continuità tra passato e presente della storia dei comunisti, della storia dialetticamente, incontestabilmente unitaria dell'intero movimento operaio italiano?

- Chi ha voluto scientemente operare questa rottura, questa discontinuità?

- Per quali fini essa è stata portata avanti con tanta nascosta determinazione impedendo, così, alle nuove generazioni di possibili compagni di conoscere, sentirsi forti e fiere di un passato glorioso, della memoria e dell' esempio di tanti comunisti che, come Pietro Secchia, affrontarono licenziamenti, emigrazione, processi, anni e anni di galera e di confino, che bruciarono, per quello che continua ad essere il nostro grande ideale, la giovinezza, gli anni migliori della vita in privazioni, sofferenze, persecuzioni, torture ed anche morte, nelle carceri e sul campo di battaglia?

- A chi ha giovato e giova questo crescente, abissale, intollerabile vuoto di memoria storica e di antagonistica coscienza politica di classe? 

- Il comunista Antonio Gramsci aveva denunciato, a suo tempo, come fosse stata proprio la coltivata ignoranza della storia a costituire l'arma fondamentale delle classi privilegiate dominanti per mantenere il dominio, lo sfruttamento delle masse popolari del nostro Paese.

- Come,dunque, sarà possibile portare a conclusione il processo rifondativo di un vero, forte, combattivo partito comunista - il partito di cui hanno sempre più urgente bisogno il movimento operaio e l'intero popolo lavoratore italiano- prescindendo dall'assoluta necessità di ricollegarci,  fare vivere- rivivere, come nostro, l'intero grande capitale di memoria, di esperienze, di insostituibili insegnamenti lasciatici dalle precedenti generazioni di combattenti per il socialismo e il comunismo a prezzo di così grandi sacrifici personali e collettivi?

Sì, compagne e compagni, osiamo porci queste domande e troviamo il coraggio di rispondere. Troviamo il coraggio, la coerenza di socializzarle nelle nostre istanze di base, ma, soprattutto, incalziamo con queste domande i compagni in posizione dirigente e, in primo luogo, quelli al centro dirigente del processo rifondativo.  Perchè loro, per primi, hanno il tassativo, preciso dovere, la responsabilità politica di rispondere.

Al momento, qui e oggi, a noi non resta che concludere questa meritoria iniziativa riconoscendo,

- rispetto, onore, gratitudine al compagno Pietro Secchia e a tutti i valorosi combattenti comunisti della sua e delle precedenti generazioni!

- vergogna, e biasimo a quanti, avendo il dovere di farlo, hanno, invece, rimosso la loro memoria e sabotato, così, il già arduo processo rifondativo!

- Nel ricordo di Pietro Secchia e di quei compagni, rafforziamo, allora, il nostro impegno per portare a compimento la lotta per la ricostr~zJone del partito del proletariato!


Angiolo Gracci (Gracco),

ottobre 2002


 

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