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Chiudere l'era degli Orazi e Curiazi. Per l’unità dei comunisti. Per l’unità della sinistra
di Vladimiro Giacchè
su Il Manifesto del 06/10/2010
“ PRC e PdCI sono in verità così poco presuntuosi da non osare l’unica azione ambiziosa che sarebbe nelle loro mani: rimettersi insieme. Per formare una forza dotata di massa critica decente, in grado di rappresentare una sponda solida e affidabile per le lotte sociali”
Per l’unità dei comunisti. Per l’unità della sinistra.
Mentre i dati economici ci raccontano impietosamente un disastro industriale
senza precedenti e la crisi seppellisce il mito reazionario del “piccolo è
bello”, la politica e l’informazione sembrano avere occhi soltanto per
l’appartamento delle libertà in quel di Montecarlo. Nessun ragionamento - che
non sia schermaglia tattica - sui problemi infiniti di questo paese. Nessuna
idea chiara, neppure a sinistra, sulla risposta da dare alla crisi più acuta
degli ultimi 80 anni (la prova migliore: i liberisti invitati da Vendola a
spiegare la crisi alle sue Fabbriche…).
Eppure non è difficile capire come stanno le cose. Con la crisi mondiale
scoppiata nel 2007 è saltato il modello di accumulazione capitalistica degli
ultimi decenni, fondato sulla finanziarizzazione e la crescita a debito
(pubblico o privato). Quanto alla crisi italiana, tra le più gravi a livello
mondiale, essa dimostra l’assoluto fallimento di un modello di competitività
fondato su bassi salari ed evasione fiscale (una volta divenuta inutilizzabile
l’altra leva classica, quella delle svalutazioni periodiche della lira).
L’obiettivo perseguito da Confindustria e sindacati neocorporativi (CISL, UIL,
UGL), governo e buona parte dell’opposizione parlamentare - uscire dalla crisi
con un’ulteriore compressione dei salari e una confisca di diritti elementari
dei lavoratori - rappresenta quindi un’ulteriore passo sulla via del disastro
economico, già così tenacemente percorsa in questi anni.
In questo deprimente panorama mediatico-politico non poteva mancare il Michele
Serra di turno con l’ennesima tirata sui “partitini neocomunisti”, ovviamente
“presuntuosi e residuali”. Le competenze di Michele Serra in fatto di
presunzione sono innegabili; tuttavia su questo punto si sbaglia. Perché PRC e
PdCI sono in verità così poco presuntuosi da non osare l’unica azione ambiziosa
che sarebbe nelle loro mani: rimettersi insieme. Per formare una forza dotata di
massa critica decente, in grado di rappresentare una sponda solida e affidabile
per le lotte sociali. E anche per restituire voce a tutti coloro i quali pensano
che il capitalismo non costituisca il punto di arrivo della storia e che proprio
questo (e non uno spengleriano “tramonto dell’Occidente”) ci racconti la crisi
attuale. Secondo questo punto di vista il “dopo” del capitalismo non è un
generico “altro mondo possibile”, bensì il controllo sociale dei mezzi di
produzione. E al di fuori di questo orizzonte la prospettiva è fatta di
regressione sociale, barbarie pseudoidentitaria, distruzione ambientale e
probabilmente, in un domani non troppo lontano, di guerra.
È un punto di vista fondato. E anche molto più diffuso di quanto si creda. Chi
lo condivide, avverte oggi acutamente l’assenza di un partito comunista. La
ricostruzione di questa casa comune, dopo 19 anni, non è in contraddizione con
il rafforzamento della Federazione della Sinistra, né con il dialogo con le
altre forze progressiste a sinistra e all’interno del Pd. E neppure con
possibili alleanze tattiche su obiettivi condivisi, primo fra tutti quello di
cacciare un governo che rappresenta un insulto quotidiano al mondo del lavoro,
oltreché alla legalità democratica e alla decenza. Ma la ricostruzione di un
partito, di una forza organizzata di un qualche peso, in grado di essere
presente nelle lotte e di restituire una rappresentanza ai lavoratori, è oggi la
priorità assoluta. Abbiamo bisogno di chiudere l’èra degli Orazi e Curiazi che
ha devastato la sinistra comunista in questi anni. Non è ancora troppo tardi per
farlo. Ma il tempo stringe. E l’alternativa è l’irrilevanza.